Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 2990 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 2990 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 01/02/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 17411/2016 R.G. proposto da NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in Roma alla INDIRIZZO presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, dal quale è rappresentato e difeso unitamente all’AVV_NOTAIO -ricorrente- contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso gli uffici dell’Avvocatura AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO, dalla quale è rappresentata e difesa ope legis
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DELLA LOMBARDIA n. 165/2016 depositata il 18 gennaio 2016
Udita la relazione svolta nell’udienza pubblica del 12 gennaio 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, il quale ha concluso per l’accoglimento del secondo motivo di ricorso, respinto il primo
Uditi per il ricorrente l’AVV_NOTAIO e per la controricorrente l’AVV_NOTAIO
FATTI DI CAUSA
Militari della Guardia di Finanza operavano una verifica fiscale nei confronti di NOME COGNOME, il cui nominativo compariva nella cd. ‘Lista RAGIONE_SOCIALE‘, in merito alla presunta detenzione di investimenti e altre attività presso la filiale di Ginevra della banca britannica HSBC (Hongkong & Shangai Banking Corporation) negli anni dal 2004 al 2007.
Sulla scorta RAGIONE_SOCIALE risultanze della suddetta verifica, l’RAGIONE_SOCIALE notificava al COGNOME avviso di accertamento con il quale, in relazione all’anno d’imposta 2007, veniva contestata al contribuente la violazione RAGIONE_SOCIALE norme in materia di monitoraggio fiscale di cui all’art. 4, commi 1, D.L. n. 167 del 1990, convertito in L. n. 227 del 1990, con conseguente recupero a tassazione, ai fini dell’IRPEF, di un maggior imponibile rappresentato da attività finanziarie detenute all’estero e presuntivamente costituite, ex art. 12, comma 2, D.L. n. 78 del 2009, convertito in L. n. 102 del 2009, mediante redditi sottratti a imposizione.
Su tali redditi, determinati in complessivi 18.931,27 euro, anche in virtù della presunzione di fruttuosità sancita dall’art. 6 del citato D.L. n. 167 del 1990, veniva applicata l’imposta con aliquota del 27%.
NOME impugnava il predetto avviso di accertamento dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Milano, che con sentenza n. 4754/2014 del 20 maggio 2014 accoglieva il ricorso, annullando l’atto impositivo.
La decisione veniva in sèguito parzialmente riformata dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, la quale, con sentenza n. 165/2016 depositata il 18 gennaio 2016, accogliendo per quanto di ragione il gravame esperito dall’RAGIONE_SOCIALE,
statuiva che ai maggiori redditi accertati dovesse essere applicata l’imposta con aliquota del 12,50%.
Rilevava il giudice regionale, per quanto in questa sede ancora interessa: -che erroneamente il primo giudice aveva escluso l’applicabilità della presunzione legale relativa di evasione fiscale di cui all’art. 12, comma 2, D.L. n. 78 del 2009 con riferimento ai rapporti tributari anteriori all’entrata in vigore della norma, in quanto la locuzione «in deroga a ogni vigente disposizione di legge» ivi utilizzata doveva essere intesa come una chiara ed esplicita manifestazione della volontà del legislatore di superare il generale divieto di efficacia retroattiva RAGIONE_SOCIALE norme tributarie imposto dall’art. 3, comma 1, L. n. 212 del 2000 (Statuto del contribuente); -che la previsione in commento non crea nuove obbligazioni tributarie, né modifica quelle preesistenti o amplia ex tunc la base imponibile, limitandosi ad incidere esclusivamente su aspetti procedimentali; -che essa rimane, perciò, soggetta alla regola «tempus regit actum» ; -che l’adesione del COGNOME al cd. «scudo fiscale ter » non precludeva l’effettuazione di accertamenti tributari per gli importi eccedenti quelli indicati nella dichiarazione riservata di cui all’art. 13 D.L. n. 350 del 2001, convertito in L. n. 409 del 2001, o comunque non riconducibili ai capitali rimpatriati; -che non risultava idoneamente supportato sul piano probatorio l’assunto del contribuente secondo cui i redditi presuntivamente non dichiarati in relazione all’anno d’imposta 2007 dovevano considerarsi meri incrementi del valore degli investimenti esteri da lui effettuati negli anni precedenti.
Contro questa sentenza il COGNOME ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.
L’RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
La causa è stata trattata all’udienza pubblica del 12 gennaio 2024.
In prossimità dell’udienza il Pubblico Ministero ha depositato memoria, con la quale ha chiesto di accogliere il secondo motivo di
ricorso, respinto il primo.
Anche il ricorrente ha depositato sintetica memoria illustrativa, insistendo per l’accoglimento dell’impugnazione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., viene denunciata la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 13 -bis , commi 4 e 6, D.L. n. 78 del 2009, convertito in L. n. 102 del 2009 (cd. scudo fiscale ter ), nonchè degli artt. 14 e 15 D.L. n. 350 del 2001, convertito in L. n. 409 del 2001.
Si rimprovera alla RAGIONE_SOCIALE di aver tralasciato di considerare: -che i maggiori redditi accertati dall’Ufficio in capo al COGNOME erano riferiti all’anno 2007; -che, avendo il contribuente aderito al cd. e rimpatriato per la quota di sua pertinenza (pari al 50%) tutte le somme presenti alla data del 31 dicembre 2008 sul conto corrente aperto presso la filiale di Ginevra della HSBC, cointestato a lui e alla moglie, doveva ritenersi preclusa ogni attività di accertamento in relazione agli anni d’imposta anteriori. Con il secondo e il terzo motivo, pure ricondotti al paradigma dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., viene lamentata la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 12 D.L. n. 78 del 2009, convertito in L. n. 102 del 2009.
A sostegno RAGIONE_SOCIALE sollevate censure si deduce quanto segue.
Ha errato la C.T.R. nel ritenere applicabile retroattivamente, in virtù del principio «tempus regit actum» , la presunzione legale relativa di evasione fiscale stabilita dall’art. 12, comma 2, D.L. cit..
La soluzione interpretativa accolta dal collegio d’appello si pone, infatti, in contrasto con il chiaro tenore letterale dell’art. 11, comma 1, RAGIONE_SOCIALE disposizioni preliminari al codice civile e dell’art. 3, comma 1, L. n. 212 del 2000 (Statuto del contribuente), i quali escludono, rispettivamente, l’effetto retroattivo della legge in generale e RAGIONE_SOCIALE norme tributarie in particolare.
Peraltro, poiché la norma in commento opera non soltanto sul piano processuale, ma anche su quello sostanziale, introducendo una nuova e diversa regolamentazione dell’onere probatorio, derogatoria della disciplina generale fissata dall’art. 2697 c.c., deve escludersi che rispetto ad essa possa trovare applicazione il principio «tempus regit actum» richiamato nell’impugnata sentenza; né, con riguardo al caso di specie, può indurre a diversa conclusione la circostanza che il periodo d’imposta in contestazione (anno 2007) fosse ancora suscettibile di accertamento alla data di entrata in vigore del menzionato D.L..
Sotto altro profilo, si contesta alla C.T.R. di aver a torto affermato la sussistenza del presupposto impositivo, pur emergendo dagli estratti conto acquisiti agli atti di causa che nel periodo oggetto di accertamento non erano stati effettuati da parte del contribuente nuovi versamenti di denaro sottratti a tassazione in Italia: da tale circostanza era lecito inferire che gli incrementi del saldo del conto accertati dall’Ufficio altro non rappresentassero che .
Oltretutto, nel conteggio effettuato dall’RAGIONE_SOCIALE non erano stati tenuti in considerazione i decrementi di valore di alcuni prodotti finanziari verificatisi nell’anno di riferimento.
Il primo motivo è infondato.
Ai sensi dell’art. 13 -bis , comma 4, D.L. n. 78 del 2009, convertito con modificazioni dalla L. n. 102 del 2009, il pagamento della prevista imposta straordinaria sulle attività finanziarie e patrimoniali detenute fuori AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO in violazione RAGIONE_SOCIALE disposizioni del D.L. n 167 del 1990, convertito in L. n. 227 del 1990, e successivamente regolarizzate o rimpatriate in Italia produce gli effetti di cui agli artt. 14 e 15 e rende applicabili le disposizioni contenute nell’art. 17 D.L. n. 350 del 2001, convertito in L. n. 409 del 2001.
Il comma 1, lettera a), del richiamato art. 14 D.L. n. 350 del 2001 dispone, a sua volta, che, salvo quanto stabilito dal comma 7 del medesimo articolo, il rimpatrio RAGIONE_SOCIALE attività finanziarie effettuato ai sensi dell’art. 12 e nell’osservanza RAGIONE_SOCIALE modalità di cui all’art. 13 -ovvero mediante presentazione di una dichiarazione riservata RAGIONE_SOCIALE predette attività e il versamento di una somma pari al 2,5% dell’importo dichiarato o, in alternativa, la sottoscrizione di titoli di AVV_NOTAIO per un importo pari al 12% dell’ammontare RAGIONE_SOCIALE stesse -preclude nei confronti del dichiarante e dei soggetti solidalmente obbligati ogni accertamento tributario e contributivo per i periodi d’imposta per i quali non è ancora decorso il termine per l’azione di accertamento alla data di entrata in vigore del decreto, «limitatamente agli imponibili rappresentati dalle somme o dalle altre attività costituite all’estero e oggetto di rimpatrio».
Sul tema in discussione questa Corte ha già avuto modo di chiarire: -che l’effetto preclusivo del generale potere di accertamento tributario sancito dall’art. 14, comma 1, lettera a), D.L. n. 350 del 2001 -in dottrina definito anche provvedimento di condono fiscale ‘impuro’ intrinsecamente agevolativo -non importa una limitazione oggettiva, la quale si esaurisca nella mera corrispondenza quantitativa fra le somme rimpatriate e qualsiasi imponibile oggetto di possibile accertamento, come se l’importo di cui alla dichiarazione riservata possa rappresentare una sorta di franchigia opponibile dal contribuente all’Amministrazione Finanziaria, sino a concorrenza, rispetto a qualunque tipologia di reddito successivamente accertato;
-che la limitazione normativa agli imponibili rappresentati dalle somme o dalle altre attività costituite all’estero e oggetto di rimpatrio richiede la prova di una correlazione oggettiva fra il reddito accertato e la provenienza RAGIONE_SOCIALE somme o dei beni rimpatriati o regolarizzati, nel senso che il reddito non dichiarato, oggetto di accertamento, deve essere collegato alle somme o ai
beni emersi a sèguito del rimpatrio attraverso la dimostrazione, il cui onere è posto a carico del contribuente, dell’astratta riconducibilità RAGIONE_SOCIALE somme rientrate proprio al reddito contestato (cfr. Cass. n. 30776/2023, Cass. n. 38722/2021, Cass. n. 34577/2019).
Alla stregua del surriferito orientamento giurisprudenziale di legittimità, che va qui ribadito, deve escludersi la sussistenza della denunciata violazione di legge, in quanto la circostanza che il COGNOME, aderendo al cd. ‘scudo fiscale ter ‘, avesse rimpatriato le somme di sua pertinenza presenti alla data del 31 dicembre 2008 sul conto corrente svizzero a lui cointestato non impediva all’Amministrazione Finanziaria di procedere alla determinazione di un maggior reddito non dichiarato con riferimento agli anni precedenti.
Invero, poiché l’efficacia inibente AVV_NOTAIO ‘scudo’, quale misura eccezionale di agevolazione del contribuente, era da intendere normativamente limitata agli imponibili rappresentati dalle somme e dalle altre attività rimpatriate dall’odierno ricorrente, non risultava precluso nei suoi confronti l’accertamento di redditi non riconducibili, neppure astrattamente, alle dette somme e attività.
D’altro canto, una volta stabilito che incombeva sul contribuente l’onere di dimostrare l’astratta riconducibilità alle somme oggetto di rimpatrio del maggior imponibile accertato dall’Ufficio con riferimento all’anno 2007, va notato che una simile prova non risulta essere stata da lui fornita nei gradi di merito, per quanto è dato ricavare dalla ricostruzione della fattispecie concreta operata dalla C.T.R., soltanto entro questi limiti potendo apprezzarsi la ricorrenza del denunciato vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c. (cfr. Cass. n. 26399/2022, Cass. n. 10992/2020, Cass. n. 16746/2019, Cass. Sez. Un. n. 21301/2017).
Il secondo motivo è invece fondato.
Per giurisprudenza ormai consolidata di questa Corte, la
presunzione di evasione sancita dall’art. 12, comma 2, D.L. n. 78 del 2009 con riguardo agli investimenti e alle altre attività di natura finanziaria detenuti negli Stati o territori a regime fiscale privilegiato (cd. paradisi fiscali), in vigore dal 1° luglio 2009, ha natura sostanziale e non può, pertanto, trovare applicazione per i periodi d’imposta anteriori all’anno predetto.
A sostegno di tale soluzione interpretativa si è argomentato che le norme in tema di presunzioni sono collocate, nel codice civile, fra quelle sostanziali e che una diversa esegesi del testo legislativo in esame potrebbe pregiudicare, in contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., l’effettività del diritto di difesa del contribuente rispetto alla scelta in ordine alla conservazione di un certo tipo di documentazione (cfr. Cass. n. 35629/2023, Cass. n. 12007/2023, Cass. n. 29632/2019, Cass. n. 2662/2018).
È stato, peraltro, precisato che, sebbene la cennata presunzione legale non sia suscettibile di applicazione retroattiva agli anni d’imposta anteriori all’entrata in vigore del D.L. n. 78 del 2009, l’Ufficio può comunque ricorrere ai medesimi fatti che di essa formano oggetto (redditi non dichiarati occultamente detenuti in Paesi a fiscalità privilegiata) ‘sub specie’ di presunzione semplice (cfr. Cass. n. 6570/2021, Cass. n. 6154/2021, Cass. n. 33893/2019, Cass. n. 31243/2019).
Ciò posto, va osservato che la C.T.R. lombarda, muovendo dall’assunto che la previsione contenuta nell’art. 12, comma 2, D.L. n. 78 del 2009 abbia natura meramente procedimentale e trovi, quindi, applicazione anche relativamente agli anni d’imposta (come quello di cui trattasi) anteriori alla sua entrata in vigore, ha fondato la propria decisione, sfavorevole alle ragioni addotte dalla parte privata, esclusivamente sulla ritenuta operatività della presunzione posta dalla citata norma, in tal modo adottando un’opzione ermeneutica contrastante con gli innanzi ricordati insegnamenti di questa Corte regolatrice.
Stante l’accertata sussistenza della dedotta violazione di legge, va, dunque, accolto il secondo motivo di ricorso, con conseguente assorbimento del terzo.
Si impone, pertanto, ai sensi dell’art. 384, comma 2, prima parte, c.p.c., la cassazione dell’impugnata sentenza con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, perché proceda a un nuovo esame della controversia uniformandosi ai seguenti princìpi di diritto:
-« La presunzione di evasione stabilita, con riguardo agli investimenti e alle attività di natura finanziaria detenuti negli Stati o territori a regime fiscale privilegiato, dall’art. 12, comma 2, D.L. n. 78 del 2009, convertito con modificazioni dalla L. n. 102 del 2009, in vigore dal 1° luglio 2009, non ha natura procedimentale, bensì sostanziale -sia perché le norme in tema di presunzioni sono collocate, nel codice civile, tra quelle sostanziali, sia perché una diversa interpretazione potrebbe pregiudicare, in contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., l’effettività del diritto di difesa del contribuente rispetto alla scelta in ordine alla conservazione di un certo tipo di documentazione -, con la conseguenza che non può ad essa riconoscersi efficacia retroattiva»;
-«Nei casi in cui non è applicabile ratione temporis la presunzione legale relativa posta dall’art. 12, comma 2, D.L. n. 78 del 2009, convertito con modificazioni dalla L. n. 102 del 2009, l’Amministrazione finanziaria può comunque ricorrere ai medesimi fatti oggetto della suddetta presunzione (redditi non dichiarati occultamente detenuti in Paesi a fiscalità privilegiata) ‘sub specie’ di presunzione semplice».
Al giudice del rinvio viene rimessa anche la pronuncia sulle spese del presente giudizio di legittimità, a norma dell’art. 385, comma 3, seconda parte, c.p.c..
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, respinto il primo e
assorbito il terzo; cassa l’impugnata sentenza, in relazione al motivo accolto, e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione