Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 30908 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 30908 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 03/12/2024
Avv. Acc. IRPEF 2009
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9908/2017 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , con sede in Roma, INDIRIZZO C/D, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato.
-ricorrente – contro
COGNOME rappresentato e difeso dall’Avvocato NOME COGNOME e domiciliato ope legis presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, Roma.
-controricorrente –
Avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. PUGLIA n. 2371/14/2016, depositata in data 12 ottobre 2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17 ottobre 2024 dal Consigliere dott.ssa NOME COGNOME
Rilevato che
In data 4 aprile 2014 NOME COGNOME riceveva notifica dell’avviso di accertamento ai fini IRPEF n. NUMERO_DOCUMENTO per l’anno d’imposta 2009. L’Agenzia delle Entrate -direzione
provinciale di Barletta -Andria -Trani -rideterminava sinteticamente il reddito complessivo del detto contribuente ex art. 38, quarto comma e ss., d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, accertando un maggior reddito di € 59.230,00 per l’anno 2009. La rettifica era motivata attraverso il richiamo ad un atto impositivo emesso nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE (di cui il contribuente era stato socio fino al 30/12/2009 con partecipazione del 50%).
Avverso l’avviso il contribuente proponeva ricorso dinanzi alla C.t.p. di Bari; si costituiva in giudizio anche l’Ufficio, chiedendo la conferma del proprio operato.
La C.t.p., con sentenza n. 2881/03/2014, rigettava integralmente il ricorso del contribuente.
Contro tale decisione proponeva appello il contribuente dinanzi la C.t.r. della Puglia; si costituiva in giudizio anche l’Agenzia delle Entrate, chiedendo la conferma di quanto statuito in primo grado.
Con sentenza n. 2371/14/2016, depositata in data 12 ottobre 2016, la C.t.r. adita accoglieva l’appello del contribuente.
Avverso la sentenza della C.t.r. della Puglia, l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
Il contribuente ha resistito con controricorso.
La causa è stata trattata nella camera di consiglio del 17 ottobre 2024 per la quale il contribuente ha depositato memoria.
Considerato che
Con il primo motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 38 del d.P.R. n. 600/1973, dell’art. 47 (già art. 44) del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, dell’art. 2263 cod. civ., degli artt. 2697, 2727, 2729 cod. civ. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.» l’Ufficio lamenta l’error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. non ha fatto applicazione della presunzione degli utili extra-bilancio ai
soci, esonerando quindi il contribuente dall’onere di prova contraria e gravando l’ufficio della prova di detta distribuzione.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso, così rubricato: «Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.» l’Ufficio lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha mancato di valutare la circostanza che, per ammissione dello stesso contribuente, la sua partecipazione alla società era finita il penultimo giorno dell’anno di imposta 2009, durante il quale, quindi, non solo egli aveva partecipato alla società e al godimento degli utili della stessa (anche extracontabili), ma aveva anche l’onere di esercitare il controllo sullo svolgimento degli affari sociali.
Preliminarmente va respinta l’eccezione, avanzata dal controricorrente, in ordine al difetto di autosufficienza del ricorso per mancata indicazione della scrittura privata di cessione della quota; invero, è il contribuente medesimo che la indica sia negli atti di merito che nel controricorso, laddove a pg. 3 fa riferimento all’atto per Notar COGNOME del 30/12/2009 di cessione di quota sociale. Inoltre, per quanto qui interessa ed è pacifico nei rispettivi atti delle parti del giudizio di legittimità, questa Corte, per le deduzioni delle parti e per quanto risulta dalla sentenza impugnata, è stata posta a conoscenza del contenuto dello stesso atto in maniera sufficiente, rispetto alle questioni rilevanti ai fini della decisione in questa sede.
Passando alla disamina dei due motivi di ricorso, che possono esaminarsi congiuntamente stante la stretta connessione e l’affinità delle critiche sollevate, essi sono fondati.
3.1. Invero, costituisce consolidato orientamento di questa Corte quello secondo cui in materia di imposte sui redditi, nell’ipotesi di società di capitali a ristretta base sociale, è legittima la presunzione
di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà del contribuente di offrire la prova contraria del fatto che i maggiori redditi non siano stati distribuiti, ma accantonati dalla società, ovvero da essa reinvestiti ( ex plurimis , Cass. n. 19013/2016, Cass. n. 18854/2020, Cass. n. 15393/2021 e Cass. n. 22578/2023), giacché la «ristrettezza della compagine societaria implica un vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci nella gestione sociale, che fa ritenere plausibile in tutti la conoscenza degli affari sociali e la consapevolezza della esistenza di utili extra-bilancio, alla cui distribuzione è ragionevole ritenere che tutti i soci abbiano partecipato in misura conforme al loro apporto sociale, fatta salva l’anzidetta possibilità riconosciuta al contribuente di fornire la prova contraria» (Cass. n. 28542/2017 e Cass. n. 752/2021).
3.2. Si è poi ulteriormente aggiunto che la presunzione di distribuzione degli utili extracontabili ai soci «non si pone in contrasto con il divieto di presunzione di secondo grado, in quanto il fatto noto non è dato dalla sussistenza di maggiori redditi accertati induttivamente nei confronti della società, bensì dalla ristrettezza dell’assetto societario, che implica un vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci nella gestione sociale, con la conseguenza che, una volta ritenuta operante detta presunzione, spetta poi al contribuente fornire la prova contraria» (Cass. n. 1947/2019 e Cass. n. 26171/2023).
3.3. Orbene, proprio partendo dal dato di esperienza che nella generalità dei casi le società di capitali sono composte da soci legati da rapporti di coniugio o di stretta parentela che comporta un elevato grado di compartecipazione dei soci alla gestione della società e al reciproco controllo tra i soci medesimi, questa Corte ha avuto modo di completare il principio sopra enunciato precisando che la presunzione di distribuzione degli utili extrabilancio può essere vinta dal contribuente dimostrando la propria estraneità alla
gestione e conduzione societaria attraverso un ragionamento deduttivo del giudice di merito incensurabile in cassazione sotto il profilo della violazione di legge (Cass. n. 21790/2022, Cass. n. 19171/2019, Cass. n. 18042/2018, Cass. n. 17461/2017 e Cass. n. 26873/2016).
Sempre nell’ottica di un superamento della presunzione in oggetto, poi, la giurisprudenza di legittimità, estendendo anche alle società di capitali il principio affermato per le società di persone, ha riconosciuto che: «’qualora nel corso di un esercizio sociale di una società di persone si sia verificato il mutamento della composizione della compagine sociale, con il subentro di un socio nella posizione giuridica di un altro, i redditi della società devono essere imputati, ai sensi e per gli effetti dell’art. 5 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, esclusivamente al contribuente che sia socio al momento della approvazione del rendiconto (e, quindi, al socio subentrante) proporzionalmente alla sua quota di partecipazione agli utili, e non già al socio uscente ed a quello subentrante attraverso una ripartizione in funzione della rispettiva durata del periodo di partecipazione alla società nel corso dell’esercizio. Ciò in quanto una siffatta semplicistica ripartizione alla stregua del periodo di partecipazione non corrisponde necessariamente alla produzione del reddito da parte della società nei vari periodi (produzione non continua né uniforme nel tempo, e quindi insuscettibile di essere in tale misura frazionata), mentre secondo i principi civilistici in tema di ripartizione degli utili nelle società di persone – cui la disciplina tributaria coerentemente si uniforma – il diritto agli utili matura solo con l’approvazione del rendiconto’ (Cass. 19238 del 16 dicembre 2003; Cass. 8423 del 15 ottobre 1994); benché nel caso che occupa si tratti non di utili risultanti da bilancio ma di utili extrabilancio, vale comunque il principio affermato nei precedenti citati, per cui non è giustificabile la imputazione del maggior reddito societario, ai soci receduti in corso d’anno, in rapporto al
periodo di partecipazione, posto che la maturazione del reddito da parte della società non avviene necessariamente secondo un criterio costante ed uniforme nel tempo; né gli elementi forniti dall’amministrazione finanziaria sono stati ritenuti idonei, dal giudice di merito, a fornire l’opposta dimostrazione della effettiva e specifica imputabilità al C. del maggior reddito contestatogli» (Cass. n. 20126/2018).
3.4. Nella fattispecie in esame, la C.t.r. ha fatto malgoverno dei principi normativi e giurisprudenziali testé illustrati, allorquando ha statuito che: «L’Ufficio ha presuntivamente attribuito, in base all’accertamento fatto nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE i maggiori redditi accertati per l’anno di imposta 2009 in capo ai soci, poiché la società risulta essere stata a ristretta base azionaria. Sul tema è intervenuta più volte la Cassazione (Sent. 16729/2005; 21573/2005; 3896/2008) affermando che detto presupposto sussiste a meno che non risultano esservi prove tali da dimostrare che la realtà dei fatti risulti diversa dalla assunta presunzione. Nella fattispecie risultano esservi prove che dimostrano chiaramente esservi stata divergenza tra i soci che avevano indotto il socio COGNOME Vito a presentare le proprie dimissioni da amministratore sin dall’anno 2008, di richiedere in data 9/10/2009 lo scioglimento del vincolo societario e sempre nel corso dell’anno 2009 di vendere la propria quota societaria (atto quest’ultimo redatto con scrittura privata notarile). I redditi di esercizio relativi all’esercizio 2009 non potevano che essere quantificati certamente solo nei primi mesi dell’anno 2010 epoca questa in cui il Sig. COGNOME non aveva né titolo né la possibilità di conoscere quale fosse stato il risultato della gestione sociale né il diritto di pretendere un eventuale quota di utile di esercizio avendo ceduto la propria quota sociale prima della chiusura dell’esercizio sociale ad altro soggetto. Non risulta esservi stata alcuna prova contraria atteso, fra l’altro, che nessun trasferimento finanziario è stato provato essere stato fatto dalla
società al Sig. COGNOME La riscontrata omissione di ulteriori prove a supporto della tesi dell’Ufficio induce alla compensazione delle spese».
3.5. Le considerazioni non sono corrette atteso che l’Ufficio ha presuntivamente attribuito, in base all’accertamento fatto nei confronti della società contribuente, i maggiori redditi accertati per l’anno d’imposta 2009 in capo ai soci, poiché la società risultava essere stata a ristretta a base azionaria. Più in particolare, posto che è pacifico che il contribuente, per vincere la presunzione, deve provare che gli utili che si presumono distribuiti siano stati in realtà reinvestiti o accantonati, non risultando sufficiente la mera deduzione del profilo per cui l’esercizio sociale ufficiale si fosse concluso eventualmente con perdite contabili, costituisce circostanza certa e provata che il socio/contribuente Molfetta partecipava al 100% alla compagine sociale fino al 30 dicembre 2009, anno oggetto dell’accertamento di maggior reddito di capitale in conseguenza dei maggiori ricavi accertati in capo alla società. Infatti, è proprio il socio che, al fine di provare la fine della propria partecipazione sociale, allegava la scrittura privata autenticata del 30 dicembre 2009, ossia del penultimo giorno dell’anno oggetto di accertamento, durante il quale quindi egli aveva partecipato alla società e al godimento degli utili della stessa (anche extracontabili), nonché aveva anche l’onere di esercitare il controllo sullo svolgimento degli affari sociali a mente dell’art. 2476 cod. civ. Ne consegue che, in assenza di documentazione contabile di una valida delibera assembleare, la distribuzione dei maggiori utili accertati in capo ai soci deve presumersi avvenuta nello stesso periodo di imposta in cui gli utili sono stati conseguiti; tale reddito va imputato al socio nell’anno in cui è conseguito e non nel periodo di imposta successivo alla chiusura dell’esercizio sociale, atteso che il principio secondo cui il reddito deve essere imputato al socio nel periodo successivo alla chiusura dell’esercizio sociale vale per
gli utili esposti in bilancio, non per quelli occulti che si presumono, al contrario distribuiti nello stesso periodo in cui sono stati conseguiti (Cass. 09/06/2009, n. 13223).
In conclusione, il ricorso va accolto, la sentenza impugnata va cassata ed il giudizio va rinviato al giudice a quo affinché, in diversa composizione, proceda a nuovo e motivato esame nonché provveda in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia il giudizio innanzi alla Corte di giustizia di secondo grado della Puglia affinché, in diversa composizione, proceda a nuovo e motivato esame nonché provveda in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 17 ottobre 2024.