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Presunzione distribuzione utili: socio unico risponde

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza 2477/2024, ha confermato che la presunzione distribuzione utili si applica al socio unico di una S.r.l. quando l’accertamento di maggiori redditi in capo alla società diventa definitivo. Il socio è tenuto a pagare le imposte personali sui profitti presunti, anche se al momento della notifica dell’atto non ricopriva più alcuna carica sociale. Spetta al contribuente l’onere di provare che gli utili non sono stati distribuiti.

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Pubblicato il 26 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Presunzione Distribuzione Utili: Quando il Fisco Bussa alla Porta del Socio Unico

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha ribadito un principio fondamentale del diritto tributario che riguarda i soci di società a responsabilità limitata a ristretta base partecipativa. La vicenda analizzata chiarisce come la presunzione distribuzione utili operi in modo quasi automatico una volta che l’accertamento fiscale nei confronti della società sia divenuto definitivo, con importanti conseguenze per la tassazione personale del socio.

I Fatti di Causa: Dall’Accertamento Societario a Quello Personale

Il caso ha origine da un avviso di accertamento notificato a un contribuente, al quale veniva richiesto il pagamento di maggiore IRPEF per l’anno d’imposta 2009. La pretesa del Fisco si fondava su maggiori redditi non dichiarati dalla società S.r.l. unipersonale di cui egli era l’unico socio. L’accertamento nei confronti della società, basato sul rilievo di costi per operazioni inesistenti, era già divenuto definitivo.

Successivamente, l’Agenzia delle Entrate ha emesso un ulteriore avviso di accertamento direttamente nei confronti del socio, presumendo che quei maggiori utili societari non dichiarati gli fossero stati distribuiti. Il contribuente ha impugnato l’atto, sostenendo che al momento della notifica non era più né socio né amministratore della società, e che quindi la pretesa fosse infondata.

La Difesa del Contribuente e la Decisione dei Giudici di Merito

Il contribuente ha basato la sua difesa su due motivi principali:
1. Violazione delle norme sulla motivazione degli atti: L’avviso di accertamento era motivato per relationem, ossia rinviando all’accertamento già notificato alla società. Il ricorrente riteneva illegittima tale modalità, poiché al momento della notifica dell’atto personale non aveva più la legittimazione per contestare l’atto presupposto (quello societario).
2. Carenza di prove: La pretesa impositiva si basava su presunzioni che, a suo dire, non erano gravi, precise e concordanti.

La Commissione Tributaria Regionale, riformando la decisione di primo grado, aveva dato ragione all’Agenzia delle Entrate, ritenendo che il contribuente fosse perfettamente a conoscenza delle contestazioni, avendo ricevuto a suo tempo sia l’avviso di accertamento della società sia il processo verbale di constatazione. Inoltre, l’accertamento societario era divenuto definitivo senza che il socio avesse fornito elementi per contrastare la presunzione di distribuzione degli utili.

Le Motivazioni della Cassazione: La potente presunzione distribuzione utili

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso del contribuente, confermando la decisione d’appello con argomentazioni nette.

In primo luogo, i giudici hanno smontato la tesi sulla presunta illegittimità della notifica per relationem. Hanno sottolineato che il contribuente era già a conoscenza di tutti gli addebiti, avendo ricevuto gli atti relativi alla società quando ne era ancora socio unico. Il fatto che avesse perso tale carica al momento della notifica dell’atto personale è stato giudicato irrilevante, poiché la sua conoscenza dei fatti era già consolidata.

In secondo luogo, e questo è il punto cruciale, la Corte ha dichiarato inammissibile il motivo sulla carenza di prove, in quanto non coglieva la ratio decidendi della sentenza impugnata. La decisione dei giudici di merito non si fondava su specifici elementi di prova raccolti contro il socio, ma sulla ferrea presunzione distribuzione utili. Tale presunzione, consolidata nella giurisprudenza, stabilisce che i maggiori redditi accertati a una società di capitali a ristretta base azionaria si considerano distribuiti ai soci. L’accertamento definitivo nei confronti della società costituiva il presupposto sufficiente per attivare tale presunzione. Di conseguenza, l’onere di fornire la prova contraria – cioè di dimostrare che quegli utili non erano stati distribuiti ma, ad esempio, reinvestiti o accantonati – spettava unicamente al socio. In assenza di tale prova, la pretesa del Fisco è legittima.

Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa ordinanza rafforza un importante monito per gli amministratori e i soci di S.r.l. a base ristretta:

1. L’indissolubile legame fiscale tra società e socio: La definitività di un accertamento fiscale sulla società può avere ripercussioni dirette e automatiche sul reddito personale dei soci.
2. L’onere della prova è del contribuente: Non è il Fisco a dover provare l’avvenuta distribuzione degli utili extra-bilancio, ma è il socio a dover dimostrare il contrario.
3. L’irrilevanza dei cambi di carica: Perdere la qualifica di socio o amministratore non è sufficiente a schermarsi da responsabilità fiscali pregresse, specialmente se si era a conoscenza degli atti che hanno originato la pretesa.

Un accertamento fiscale notificato per relationem è valido se il contribuente ha già ricevuto gli atti richiamati in un’altra veste, ad esempio come socio unico?
Sì, la Cassazione ha ritenuto valida la notifica. Se il contribuente era già a conoscenza degli addebiti perché aveva ricevuto gli atti prodromici (come l’avviso di accertamento alla società e il processo verbale di constatazione), la notifica per relationem è legittima, anche se nel frattempo ha perso la carica sociale.

In una S.r.l. a ristretta base partecipativa, cosa succede ai soci se l’accertamento di maggiori redditi alla società diventa definitivo?
Scatta una presunzione legale secondo cui i maggiori redditi non dichiarati dalla società sono stati distribuiti ai soci. Di conseguenza, l’Agenzia delle Entrate può legittimamente accertare un maggior reddito imponibile ai fini IRPEF in capo a ciascun socio in proporzione alla sua quota di partecipazione.

Chi deve fornire la prova che gli utili accertati alla società non sono stati distribuiti al socio?
L’onere della prova spetta esclusivamente al socio. Una volta che l’accertamento sulla società è definitivo e si attiva la presunzione di distribuzione degli utili, è il contribuente che deve fornire elementi concreti e idonei a dimostrare che tali utili non sono entrati nella sua disponibilità, ma sono stati, ad esempio, reinvestiti nell’attività aziendale o accantonati a riserva.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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