Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 8270 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 8270 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 29/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8895/2023 R.G. proposto da:
COGNOME, rappresentato e difeso dall’avv. COGNOME COGNOME in virtù di procura speciale allegata al ricorso,
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore protempore, domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato dalla quale è rappresentata e difesa ex lege ,
-controricorrente – avverso la sentenza della Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Lazio n. 4419/01/2022, depositata il 12 ottobre 2022;
AVVISO DI ACCERTAMENTO -IRPEF 2012.
udita la relazione della causa svolta nell’adunanza in camera di consiglio del 17 dicembre 2024 dal consigliere relatore dott. NOME COGNOME
– Rilevato che:
L’Agenzia delle Entrate Direzione provinciale III di Roma notificava, in data 21 settembre 2017, a COGNOME COGNOME Vittorio avviso di accertamento n. TK7013402884/2017, con il quale l’Ufficio accertava nei suoi confronti un reddito di capitale, conseguito nell’anno 2012 , quantificato in € 70.165,00, imponibile ai fini dell’IRPEF, della relativa addizionale regionale, nonché della relativa addizionale comunale, così determinato in ragione del reddito accertato, per lo stesso anno, nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE, pari ad € 553.410,00; della quota societaria posseduta pari al 25,5%; del combinato disposto dell’art. dell’art. 47, comma 1 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, e dell’art. 1 del D.M. 2 aprile 2008, che dispone la tassazione del 49,72% degli utili che si ritengono distribuiti.
Il contribuente impugnava il suddetto avviso di accertamento dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Roma la quale, con sentenza n. 219/32/2019, depositata il 9 gennaio 2019, lo rigettava, condannando il ricorrente alla rifusione delle spese di lite.
Interposto gravame dal COGNOME la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado (nuova denominazione della Commissione Tributaria Regionale) del Lazio, con sentenza n. 4419/1/2022, pronunciata il 13 settembre 23022 e depositata in segreteria il 12 ottobre 2022, rigettava l’appello,
condannando nuovamente il contribuente alla rifusione delle spese di giudizio.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione COGNOME VittorioCOGNOME sulla base di due motivi (ricorso notificato il 12 aprile 2023).
Resiste con controricorso l’Age nzia delle Entrate.
In data 14 maggio 2024 il Consigliere delegato emetteva proposta di definizione accelerata del ricorso ex art. 380bis , comma 1, c.p.c., ritenendo entrambi i motivi manifestamente infondati.
In data 17 giugno 2024 il ricorrente ha proposto istanza di trattazione e decisione ex art. 380bis , comma 2, c.p.c.
Con decreto del 1° agosto 2024 è stata quindi fissata la discussione del ricorso dinanzi a questa sezione per l’adunanza in camera di consiglio del 17 dicembre 2024, ai sensi degli artt. 375, secondo comma, e 380bis .1 cod. proc. civ.
Il ricorrente ha depositato memoria.
– Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso NOME eccepisce violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115, 167 e 345 c.p.c., nonché degli artt. 23, 57 e 58 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 4), c.p.c.
Deduce, in particolare, il ricorrente che erroneamente la C.G.T. di secondo grado aveva ritenuto ritualmente proposta e provata l’eccezione di definitività dell’accertamento di maggiori introiti extra-contabili da parte della società – circostanza che era stata contestata dal ricorrente (già convenuto in senso sostanziale in primo grado) -stante la tardività della
costituzione dell’Ufficio in primo grado, ed il divieto di proporre nuove eccezioni in appello.
Il motivo è infondato.
Ed invero, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, in caso di società di capitali a ristretta base partecipativa (qual è, indubbiamente, quella di cui il ricorrente era socio, in cui vi erano solo n. 3 soci), ove siano accertati utili non contabilizzati, opera la presunzione di attribuzione pro-quota ai soci degli utili stessi, restando a carico del socio l’onere di fornire la prova contraria che i maggiori ricavi sono stati accantonati o reinvestiti; per escludere l’operatività della presunzion e di distribuzione degli utili extra-contabili, non è sufficiente che il socio si limiti ad allegare genericamente la mancanza di prova di un valido e definitivo accertamento nei confronti della società, ma deve contestare lo stesso effettivo conseguimento, da parte della società, di tali utili, ove non sia in grado di dimostrare la mancanza distribuzione degli stessi, stante l’autonomia dei giudizi ed il rapporto di pregiudizialità dell’accertamento nei confronti del primo rispetto al secondo (Cass. 19 agosto 2020, n. 17356; Cass. 18 ottobre 2017, n. 24534).
Conseguentemente, nella fattispecie in esame, è irrilevante la circostanza che l’Agenzia delle Entrate non abbia tempestivamente eccepito (in quanto costituitasi tardivamente nel giudizio di primo grado) la definitività dell’avviso di accertamento societario, in quanto tale (eventuale) mancata definit ività non impedisce l’emissione dell’avviso di accertamento nei confronti dei soci, con riferimento alla presunzione di distribuzione degli utili extra-contabili, stante
anche la natura immediatamente esecutiva dell’accertamento societario (art. 29 d.l. 31 maggio 2010, n. 78, conv. in l. 30 luglio 2022, n. 122).
Peraltro , l’affermazione della definitività dell’avviso di accertamento societario non costituiva una eccezione di merito, ma una mera difesa, in quanto, avendo il ricorrente contestato tale definitività (in via di eccezione rispetto all’accertamento societario), era onere dello stesso ricorrente provare la non definitività di tale avviso di accertamento, onere che non è stato assolto. In ogni caso, il contribuente non ha mai allegato, da quanto risulta dagli atti consultabili, che l’accertamento nei confronti della società non era definitivo in quanto impugnato con un ricorso specifico, né tanto meno ha prodotto gli atti di un ipotetico giudizio attivato dalla società nei confronti dell’accertamento extracontabile in contestazione, ma ha sollevato in astratto ed in via del tutto generica una mera valutazione giuridica tesa a mettere in discussione l’operatività della presunzione di distribuzione degli utili extracontabili ai soci.
Con il secondo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., nonché degli artt. 2727 e 2697 c.c., e dell’art. 39, comma 1, lett. d ), d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3), c.p.c.
Deduce, in particolare, il ricorrente che la definitività dell’accertamento nei confronti della società costituisce un indispensabile antecedente logicogiuridico dell’accertamento nei confronti dei soci, e che la C.G.T. di secondo grado aveva violato il divieto di doppia presunzione, proprio per la
mancanza di prova in ordine alla definitività dell’accertamento nei confronti della società.
Anche tale motivo è infondato.
La presunzione di distribuzione ai soci degli utili non contabilizzati non viola il divieto di presunzione di secondo grado, in quanto il fatto noto non è costituito dalla sussistenza dei maggiori redditi accertati nei confronti della società, ma dalla ristrettezza della base sociale e dal vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci (Cass. 4 novembre 2024, n. 28337; Cass. 24 settembre 2024, n. 25559; Cass. 24 gennaio 2019, n. 1947).
La detta presunzione, in altri termini, non va corroborata da altri elementi indiziari; in particolare non occorre che l’accertamento emesso nei confronti dei soci risulti fondato anche su elementi di riscontro tesi a verificare, attraverso l’analisi delle loro movimentazioni bancarie, l’intervenuto acquisto di beni di particolare valore, non giustificabili sulla base dei redditi dichiarati (Cass. 11 agosto 2020, n. 16913).
Sotto altro profilo, deve evidenziarsi che, ai fini dell’emissione e della validità dell’avviso di accertamento nei confronti dei soci per ripartizione di utili extra-contabili, non è necessaria la definitività dell’avviso di accertamento emesso nei confronti della società: questa Corte, infatti, ha chiarito che nella presunzione di distribuzione ai soci degli utili extracontabili di una società a ristretta base sociale, il fatto noto che sorregge la presunzione di distribuzione degli utili non è costituito dalla sussistenza di questi ultimi, ma dalla ristrettezza della base sociale e dal vincolo di solidarietà dei soci che, in tal caso, normalmente caratterizza la gestione
sociale. La sussistenza di utili extracontabili costituisce il presupposto non della presunzione di distribuzione degli stessi tra i soci, ma dell’accertamento della concreta percezione di una determinata somma, da ciascun socio, in ragione della sua quota di partecipazione agli utili sociali. Pertanto, per escludere l’operatività della presunzione di distribuzione degli utili extracontabili, conseguiti e non dichiarati da una società a ristretta base partecipativa, non è sufficiente che il socio si limiti ad allegare genericamente la mancanza di prova di un valido e definitivo accertamento nei confronti della società, ma deve contestare lo stesso effettivo conseguimento, da parte della società, di tali utili, ove non sia in grado di dimostrare la mancata distribuzione degli stessi, stante l’autonomia dei giudizi nei confronti della società e del socio e il rapporto di pregiudizialità dell’accertamento nei confronti della prima rispetto a quello verso il secondo (cfr. Cass. 8 maggio 2024, n. 12575; Cass. 21 dicembre 2022, n. 37361).
3. Consegue il rigetto del ricorso.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza del ricorrente, secondo la liquidazione di cui al dispositivo.
Ricorrono i presupposti processuali per dichiarare il ricorrente tenuto al pagamento di una somma di importo pari al contributo unificato previsto per la presente impugnazione, se dovuto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
Ai sensi dell’art. 380 -bis , comma 3, c.p.c., il ricorrente deve essere condannato al pagamento, in favore della controparte, di una somma equitativamente determinata ex art. 96, comma 3, c.p.c. in € 1.500,00, nonché al pagamento di una somma in
favore della cassa delle ammende, che viene determinata in € 1.500,00.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente alla rifusione, in favore dell’Agenzia delle Entrate, delle spese del presente giudizio, che si liquidano in € € 2.300,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito. Dà atto della sussistenza dei presupposti per il pagamento, da parte del ricorrente, di una somma pari al contributo unificato previsto per la presente impugnazione, se dovuto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore dell’Agenzia delle Entrate, dell’ulteriore somma di € 1.500,00 ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della Cassa delle ammende, dell’ulteriore somma di € 1.500,00, ai sensi dell’art. 96, comma 4, c.p.c. Così deciso in Roma, il 17 dicembre 2024.