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Presunzione distribuzione utili: quando è legittima?

Un socio di una S.r.l. ha impugnato un avviso di accertamento per IRPEF, basato sulla presunzione di distribuzione di utili extra-contabili. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando che per le società a ristretta base partecipativa opera la presunzione distribuzione utili ai soci. La Corte ha chiarito che non è necessaria la definitività dell’accertamento societario e che non si tratta di una doppia presunzione, essendo la ristrettezza della base sociale il fatto noto da cui scaturisce la presunzione.

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Pubblicato il 19 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Presunzione Distribuzione Utili: la Cassazione conferma la legittimità per le Società a Base Ristretta

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, è tornata a pronunciarsi su un tema di grande interesse per le società a ristretta base partecipativa: la presunzione distribuzione utili non contabilizzati. Questa pronuncia chiarisce i presupposti per la sua applicazione e i limiti delle difese opponibili dal socio contribuente, confermando un orientamento consolidato che attribuisce un onere probatorio significativo a carico di quest’ultimo. Il caso analizzato offre spunti cruciali per comprendere come l’Amministrazione Finanziaria possa legittimamente accertare un maggior reddito in capo al socio basandosi sui profitti occulti della società.

I Fatti di Causa

Tutto ha origine da un avviso di accertamento notificato dall’Agenzia delle Entrate a un contribuente, socio di una società a responsabilità limitata con solo tre soci. L’Ufficio contestava al socio un maggior reddito da capitale per l’anno 2012, quantificato in oltre 70.000 euro. Tale importo derivava, secondo il Fisco, dalla presunta distribuzione di utili extra-contabili accertati nei confronti della società per un ammontare superiore a 550.000 euro. L’accertamento si basava su una presunzione legale: nelle società con pochi soci, gli utili non dichiarati si considerano distribuiti pro-quota tra di loro.

Il contribuente ha impugnato l’atto impositivo, ma sia la Commissione Tributaria Provinciale che la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado hanno respinto le sue ragioni, confermando la legittimità dell’operato dell’Agenzia. Il socio ha quindi deciso di ricorrere in Cassazione, basando la sua difesa su due motivi principali: la violazione delle norme processuali sulla tardività delle eccezioni e la violazione del divieto di ‘doppia presunzione’.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso del contribuente, ritenendo entrambi i motivi infondati e confermando la validità dell’accertamento. I giudici hanno ribadito i principi cardine che regolano la materia, fornendo chiarimenti importanti sull’onere della prova e sulla natura della presunzione stessa.

In primo luogo, la Corte ha sottolineato che, in caso di società di capitali a ristretta base partecipativa, la presunzione distribuzione utili opera in modo quasi automatico. Spetta al socio fornire la prova contraria, dimostrando, ad esempio, che i maggiori ricavi accertati in capo alla società sono stati accantonati a riserva o reinvestiti nell’attività aziendale. Non è sufficiente, per il socio, limitarsi a contestare genericamente la mancanza di un accertamento definitivo nei confronti della società.

La presunzione distribuzione utili non è una ‘doppia presunzione’

Uno dei punti più qualificanti della difesa del contribuente era l’accusa di aver violato il divieto di doppia presunzione. Secondo il ricorrente, il Fisco avrebbe basato una presunzione (la distribuzione al socio) su un’altra presunzione (l’esistenza di utili extra-contabili della società). La Cassazione ha smontato questa tesi, chiarendo la struttura logica della presunzione applicata.

Il ‘fatto noto’ da cui scaturisce la presunzione di distribuzione non è la sussistenza dei maggiori redditi societari, bensì la ristrettezza della base sociale e il vincolo di solidarietà e reciproco controllo che tipicamente lega i pochi soci. È questa particolare conformazione societaria che rende altamente probabile che gli utili non contabilizzati vengano effettivamente distribuiti. La sussistenza degli utili extra-contabili, invece, non è il punto di partenza della presunzione, ma il presupposto stesso dell’accertamento. Pertanto, non si configura alcuna doppia presunzione vietata.

Le motivazioni

La Corte ha motivato la sua decisione evidenziando l’autonomia dei giudizi fiscali nei confronti della società e del socio. La definitività dell’accertamento societario non costituisce un prerequisito indispensabile per poter procedere all’accertamento nei confronti del singolo socio. L’affermazione della definitività, peraltro, non è un’eccezione in senso tecnico, ma una mera difesa, e l’onere di provare la non definitività (ad esempio, dimostrando che l’accertamento societario era stato impugnato) gravava sul contribuente, onere che in questo caso non è stato assolto.

In sostanza, per superare la presunzione, il socio deve contestare nel merito l’effettivo conseguimento dei maggiori utili da parte della società o, in alternativa, dimostrare la loro mancata distribuzione. La semplice allegazione formale della mancanza di un accertamento definitivo è stata giudicata irrilevante. La natura immediatamente esecutiva dell’accertamento societario rafforza ulteriormente questa impostazione.

Le conclusioni

L’ordinanza in esame consolida un principio fondamentale in materia di accertamento fiscale per le società a ristretta base sociale: il forte legame tra i soci giustifica la presunzione che i profitti occulti vengano divisi tra loro. Per i soci, ciò comporta un’inversione dell’onere della prova. Per difendersi efficacemente, non basta contestare aspetti procedurali, ma è necessario entrare nel merito della questione, fornendo prove concrete che smentiscano la presunzione di distribuzione. Questa pronuncia serve da monito per amministratori e soci di piccole società, sottolineando l’importanza di una gestione contabile trasparente e della capacità di documentare il reale destino di tutti i proventi societari.

Per accertare il reddito di un socio è necessario che l’accertamento verso la società sia definitivo?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la definitività dell’avviso di accertamento emesso nei confronti della società non è una condizione necessaria per l’emissione e la validità dell’accertamento nei confronti del socio per la presunta distribuzione di utili extra-contabili.

La presunzione di distribuzione degli utili ai soci di una S.r.l. a base ristretta è una ‘doppia presunzione’ vietata?
No. La Corte ha chiarito che non si tratta di una doppia presunzione. Il fatto noto che fonda la presunzione non è l’esistenza degli utili non dichiarati, ma la ristrettezza della base sociale e il vincolo di solidarietà tra i soci. L’esistenza degli utili è il presupposto dell’accertamento, non l’elemento di partenza della presunzione.

Cosa deve fare un socio per contestare la presunzione di distribuzione degli utili?
Il socio non può limitarsi ad allegare genericamente la mancanza di prova di un accertamento definitivo verso la società. Deve invece contestare l’effettivo conseguimento di tali utili da parte della società oppure, se non è in grado di farlo, deve fornire la prova contraria dimostrando che gli utili non sono stati distribuiti ma, ad esempio, sono stati accantonati o reinvestiti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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