Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 17784 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 17784 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 01/07/2025
IRPEF -IVA -IRAP -Avv. Acc. 2009 -Utili extracontabili -Redditi di partecipazione
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23035/2018 R.G. proposto da:
NOMECOGNOME rappresentata e difesa dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avvocato NOME COGNOME sito in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, INDIRIZZO è domiciliata ex lege .
-controricorrente –
Avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. CAMPANIA SEZ. DIST. SALERNO n. 8942/2019, depositata in data 28 novembre 2019. Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 8
maggio 2025 dal Consigliere dr.ssa NOME COGNOME.
Rilevato che:
L’Agenzia delle Entrate emetteva nei confronti di NOME COGNOME socia nella misura del 33,34% della società RAGIONE_SOCIALE, l’avviso di accertamento n. TF9010701230, con il quale l’Ufficio ha accertato a suo carico, per l’anno di imposta 2010, ai
fini IRPEF, Addizionali regionale e comunali IRAP e IVA, maggior redditi da partecipazione per euro 41.985,00.
Avverso l’avviso di accertamento, la contribuente proponeva ricorso dinanzi alla C.t.p. di Salerno, la quale con sentenza n. 3007/2017 riteneva infondate tutte le doglianze del ricorso, affermando che la ristretta base sociale costituiva mera presunzione dell’automatica traslazione dei ricavi non contabilizzati dalla società ai soci, presunzione nella specie non superata dalla ricorrente.
Contro tale sentenza proponeva appello la contribuente dinanzi alla C.t.r. della Campania; l’Ufficio si costituiva chiedendo il rigetto del gravame.
La C.t.r. della Campania, con sentenza n. 8942/2019, depositata in data 28 novembre 2019, riteneva infondato l’appello, confermando la sentenza di primo grado.
Avverso la sentenza della C.t.r. della Liguria, la contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi. L’Agenzia delle Entrate ha depositato controricorso.
La causa è stata trattata nella camera di consiglio dell’8 maggio 2025.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione degli artt. 116 e 132 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.» la contribuente lamenta l’error in procedendo nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha omesso di motivare, ovvero ha motivato apparentemente, a fronte dello specifico motivo di impugnazione con il quale si affermava di aver dato la prova della mancata percezione degli utili extracontabili con l’esibizione delle movimentazioni bancarie.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso, così rubricato: «Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio (movimentazioni bancarie quale prova della mancata percezione di utili
extracontabili) che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.», la contribuente lamenta l’omessa valutazione di un fatto decisivo per il giudizio nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha completamente omesso ogni valutazione circa la censura relativa alla idoneità delle movimentazioni bancarie a costituire la prova del mancato incasso di utili extracontabili, nonostante la stessa fosse stata posta a fondamento della richiesta di annullamento fin dall’atto introduttivo del giudizio e, successivamente, con l’atto di appello.
Il primo motivo di ricorso proposto è infondato.
2.1. Con riguardo al vizio di motivazione occorre dire che la mancanza della stessa, rilevante ai sensi dell’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. e, nel caso di specie, dell’art. 36, comma 2, n. 4, D.Lgs. n. 546/1992, riconducibile all’ipotesi di nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., si configura quando questa manchi del tutto -nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere, risultante dallo svolgimento del processo, segue l’enunciazione della decisione, senza alcuna argomentazione -ovvero nel caso in cui essa formalmente esista come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum (Cass., SS. UU., sent. 7 aprile 2014 n. 8053; successivamente, tra le tante, Cass. n. 6626/2022 e Cass. n. 22598/2018).
2.2. Ebbene, una volta sancita questa riduzione al «minimo costituzionale» del sindacato che questa Corte può effettuare sulla motivazione, risulta evidente come la decisione della C.t.r. qui impugnata non possa dirsi affetta dal vizio in discussione.
Essa, infatti, nonostante la sinteticità, statuisce in maniera compiuta che: «E per vero l’argomento di fondo della gravata
sentenza, per il quale la ristretta base sociale costituisce mera presunzione dell’automatica traslazione dei ricavi non contabilizzati dalla società ai soci (cfr. Cass. sent. n. 1906/08; sent. n. 26428/10; ord. n. 18032/13) che deve essere superata dai soci, non era stata sufficientemente superata. Nel contempo non si può ritenere superata la presunzione in parola, segnatamente quando, come nella specie, dagli elementi indicati dalla appellante la medesima non è da ritenersi vinta. Su tali elementi valorizzati dalla C.T.P. nessuna censura può essere mossa, in particolare in quanto la appellata non adduce argomenti contrari alla proposizione espressa nella sentenza impugnata».
2.3. Con particolare riferimento alla presunzione di distribuzione ai soci di utili extracontabili secondo un recente arresto, confermativo di altri di eguale tenore (Cass. 30/01/2024, n. 2752) costituisce consolidato orientamento giurisprudenziale, quello secondo cui in materia di imposte sui redditi, nell’ipotesi di società di capitali a ristretta base sociale, è ammessa la presunzione di attribuzione ai soci degli utili extracontabili, che non si pone in contrasto con il divieto di presunzione di secondo grado, in quanto il fatto noto non è dato dalla sussistenza di maggiori redditi accertati induttivamente nei confronti della società, bensì dalla ristrettezza dell’assetto societario, che implica un vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci nella gestione sociale, con la conseguenza che, una volta ritenuta operante detta presunzione, spetta poi al contribuente fornire la prova contraria (tra molte, si veda Cass. n. 1947 del 24/01/2019; n. 26171 del 2023). In particolare, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di società di capitali a ristretta base partecipativa, è legittima la presunzione di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà del contribuente di offrire la prova contraria del fatto che i maggiori redditi non sono stati distribuiti, ma accantonati dalla società, ovvero da essa reinvestiti (tra le
tante: Cass. 27 settembre 2016, n. 19013; Cass. 4 settembre 2020, n. 18383; Cass., 11 settembre 2020, n. 18854; Cass. 3 giugno 2021, n. 15393; Cass. n. 22578 del 2023), giacché la ristrettezza della compagine societaria implica un vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci nella gestione sociale, che fa ritenere plausibile in tutti la conoscenza degli affari sociali e la consapevolezza della esistenza di utili extra-bilancio, alla cui distribuzione è ragionevole ritenere che tutti i soci abbiano partecipato in misura conforme al loro apporto sociale, fatta salva l’anzidetta possibilità riconosciuta al contribuente di fornire la prova contraria (Cass. 29 dicembre 2017, n. 28542; Cass., 19 gennaio 2021, n. 752; Cass. n. 24719 del 2023). Questa Corte ha anche più volte precisato che il contribuente non si ritiene dispensato dall’onere della prova contraria solo che alleghi la mancata prova di un valido accertamento nei confronti della società, ma è necessario che provi la mancata distribuzione degli utili extracontabili, se non l’inesistenza a monte di un loro effettivo conseguimento, stante l’autonomia dei giudizi (Cass. 19 dicembre 2019, n. 33976; Cass. n. 20694 del 2023).
2.4. Ancora si è sostenuto (Cass. 10/10/2024, n. 26473) che, in tema di imposte sui redditi, la presunzione di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili, fondata sulla ristretta base partecipativa della società di capitali sottoposta ad accertamento, è superata dalla dimostrazione, a carico del socio, anche solo della sua estraneità assoluta alla gestione ed alla vita societaria, che non appare in contrasto con la ragione dell’operatività della presunzione, basata su una massima di comune esperienza per la quale dalla ristrettezza della base sociale deriva un elevato grado di compartecipazione dei soci alla gestione della società e di reciproco controllo tra gli stessi; ne consegue che, assolto detto onere probatorio da parte del socio, la suddetta massima di esperienza perde il suo rilievo probatorio e non consente più di ritenere
legittima la presunzione di distribuzione degli utili extracontabili in favore di tutti i soci.
Il secondo motivo di ricorso proposto è inammissibile.
3.1. Con esso si lamenta sostanzialmente l’omessa valutazione della censura d’appello circa l’idoneità delle movimentazioni bancarie a costituire la prova del mancato incasso di utili extracontabili.
Ebbene, in giurisprudenza si ritiene che l’omessa pronuncia su alcuni dei motivi di appello – così come l’omessa pronuncia su domanda, eccezione o istanza ritualmente introdotta in giudizio risolvendosi nella violazione della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, integri un difetto di attività del giudice di secondo grado, che deve essere fatto valere dal ricorrente non con la denuncia della violazione di una norma di diritto sostanziale ex art. 360, n. 3, cod. proc. civ., o del vizio di motivazione ex art. 360, n. 5, cod. proc. civ., in quanto siffatte censure presuppongono che il giudice del merito abbia preso in esame la questione oggetto di doglianza e l’abbia risolta in modo giuridicamente non corretto ovvero senza giustificare (o non giustificando adeguatamente) la decisione al riguardo resa, ma attraverso la specifica deduzione del relativo ” error in procedendo ” – ovverosia della violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, n. 4, cod. proc. civ., la quale soltanto consente alla parte di chiedere e al giudice di legittimità – in tal caso giudice anche del fatto processuale – di effettuare l’esame, altrimenti precluso, degli atti del giudizio di merito e, così, anche dell’atto di appello ( ex plurimis , Cass. n. 29952/2022). Inoltre, nella specie il giudice di appello ha ritenuto che parte contribuente non avesse adeguatamente censurato la statuizione del giudice di prime cure, che aveva ritenuto che non fosse stata fornita idonea prova contraria.
In conclusione, il ricorso va rigettato.
Le spese seguono il criterio della soccombenza e sono liquidati in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente a rifondere all’Agenzia delle Entrate le spese processuali che si liquidano in € 2.300,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis del medesimo art. 13, se dovuto. Così decisa in Roma in data 8 maggio 2025
La Presidente NOME COGNOME