Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 10004 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 10004 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato ;
– ricorrente
–
contro
NOME COGNOME ;
– intimato
–
a vverso la sentenza della CTR dell’Emilia -Romagna, n. 2322/16 depositata il 26 settembre 2016.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 6 marzo 2025 dal consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1.L’Agenzia delle entrate riprendeva a tassazione redditi non dichiarati dalla soc. RAGIONE_SOCIALE in relazione a una serie di cessione di immobili per assunti valori superiori a quello dichiarato. La società non impugnava l’accertamento, e lo stesso veniva poi esteso ai tre soci, in proporzione alle quote di partecipazione, quale distribuzione di utili extra-contabili.
La CTP accoglieva il ricorso del contribuente, e la CTR confermava la sentenza di primo grado.
RISTRETTA BASE GESTIONE VITA SOCIALE
Ricorre, pertanto, l’Agenzia in cassazione affidandosi a due motivi, mentre il contribuente è rimasto intimato.
CONSIDERATO CHE
1.Con il primo motivo si deduce ‘Violazione degli artt. 38 comma 3 del d.p.r. 600/73, 44 e 47 TUIR, 2697 e 2729 c.c., (art. 360 n. 3 c.p.c.)’, laddove la sentenza d’appello ha stabilito che ‘dalla ristretta base societaria non è possibile che si faccia discendere solo la presunzione di complicità tra i soci stessi, al punto da far discendere sia la presunzione di complicità tra i soci che quella di effettiva distribuzione di utili ai soci stessi’ e ulteriormente che ‘sarebbero state dimostrate caratteristiche dei “rapporti tra i soci e l’amministratore” nonché una “situazione” in cui sarebbe stato “oltremodo difficile per un socio verificare tutti gli elementi essenziali dell’accertamento né altri vizi eventuali relativi alla gestione della società affidata unicamente all’amministratore delegato, unico conoscitore della contabilità e della gestione…’.
Con ciò la CTR, da un lato, avrebbe negato la sussistenza di una presunzione di distribuzione degli utili in caso di società a ristretta base azionaria; dall’altro , avrebbe consentito di esimere il socio dall’imputazione degli utili in caso di assenza di sua influenza nella gestione sociale, laddove la presunzione sarebbe ormai oggetto di un orientamento consolidato, e casomai il socio potrebbe andare esente dall’obbligo fiscale solo dimostrando in concreto di non aver percepito gli utili, restando ininfluente la sua partecipazione o meno alla gestione.
Infine, l’Agenzia ritiene che , erroneamente, la CTR sia entrata nel merito della fondatezza dell’accertamento, dal momento che la presunzione di conoscenza che fonda la posizione del socio di società a ristretta base azionaria determinava la definitività dell’accertamento anche nei suoi confronti.
1.1. In effetti la decisione impugnata si fonda essenzialmente su un’erronea ricostruzione dei rapporti tra soci e società a ristretta
base azionaria, sotto il profilo dell’imputazione ai primi degli utili ritratti dalla seconda da attività non dichiarate agli effetti fiscali.
Questa Corte, con consolidato orientamento, afferma infatti che in tema di accertamento delle imposte sui redditi, la previsione di cui all’art. 39, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 600 del 1973, legittima la presunzione di attribuzione pro quota ai soci degli utili extra bilancio prodotti da società di capitali a ristretta base azionaria, con la conseguente inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale non può limitarsi a denunciare la propria estraneità alla gestione e conduzione societaria, ma deve dimostrare -eventualmente anche ricorrendo alla prova presuntiva -che i maggiori ricavi non sono stati effettivamente realizzati dalla società e che quest’ultima non li ha distribuiti, ma accantonati o reinvestiti, ovvero che degli stessi se ne è appropriato altro soggetto (v. Cass. n.21158/2024).
Né nella specie può invocarsi quanto pure statuito da questo Corte, a mezzo della sentenza n. 26473/24, secondo cui in ogni caso sarebbe dato al socio di provare la propria estraneità dalla vita sociale, poiché in tal caso egli deve dimostrare appunto non solo la semplice mancata partecipazione alla gestione, ma in modo rigoroso la sua estraneità dalla vita sociale, cioè non avere concretamente svolto alcuna delle attività di gestione e controllo riservate dalla legge (e dallo statuto) al socio della società a responsabilità limitata, e senza essere destinatario dei relativi presupposti informativi da parte degli organi di gestione diretta.
Pertanto, la presunzione va confermata in presenza di una società a ristretta base, qual indiscutibilmente e pacificamente è quella di specie.
La sentenza d’appello, anziché verificare la sussistenza di una prova rigorosa circa l’assenza di gestione, controllo e informazione sulla vita sociale, si abbandona a una vana rilettura delle conseguenze che in base all’ id quod plerumque accidit si determina
in caso di un numero ristretto di soci (non senza escludere la possibilità dell’esistenza di una concreta ‘complicità’ fra i soci così lasciando trasparire vieppiù la mancanza di un concreto accertamento sul punto), fa generici riferimenti alle controdeduzioni, configura ad onta della presunzione di cui sopra un onere probatorio in capo all’amministrazione e finisce per ricondurre la prova dell’insussistente della gestione e controllo nei termini indicati alla sussistenza di un amministratore delegato, conclusioni del tutto dissociate dall’orientamento di questa Corte che si deve ribadire nei termini che si sono indicati.
Va dunque affermato il seguente principio di diritto:
‘In presenza di una società a ristretta base azionaria sussiste la presunzione di distribuzione degli utili fra i soci stessi, a meno che gli stessi non provino che i maggiori ricavi non sono stati effettivamente realizzati dalla società o che quest’ultima non li ha distribuiti, ma accantonati o reinvestiti, ovvero che degli stessi se ne è appropriato altro soggetto, ovvero ancora non dimostrino con prova rigorosa la propria assoluta estraneità alle gestione, al controllo ed all’informazione circa la vita sociale’.
Quanto poi agli effetti della definitività dell’accertamento nei confronti della società a carico del singolo socio si osserva quanto segue. Il nesso di derivazione dell’accertamento nei confronti del socio da quello effettuato nei riguardi della società, in assenza di prova dell’impugnazione del secondo da parte del socio stesso, che in virtù del disposto di cui all’art. 2476 c.c. ha accesso agli atti sociali ed in particolare all’avviso di accertamento ed ai relativi allegati, comporta che la sua definitività impedisce al socio di riporre in discussione il fondamento della ripresa effettuata nei riguardi della società, ferma restando ovviamente la possibilità, come già detto, di dimostrare il mancato percepimento degli utili nei termini indicati.
L’accoglimento del superiore motivo determina l’assorbimento dell’altro e quindi la cassazione della sentenza impugnata con rinvio al giudice d’appello che, in diversa composizione, provvederà altresì alla quantificazione delle spese di lite.
P. Q. M.
La Corte in accoglimento del primo motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata, e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Emilia -Romagna che, in diversa composizione, provvederà altresì alla liquidazione delle spese di lite.
Così deciso in Roma, il 6 marzo 2025