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Presunzione distribuzione utili: onere della prova del socio

L’Agenzia delle Entrate accertava maggiori redditi a una S.r.l. immobiliare, estendendo la tassazione ai soci per presunzione distribuzione utili non dichiarati. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 10004/2025, ha accolto il ricorso dell’Agenzia, riaffermando che in una società a ristretta base vige la presunzione di distribuzione degli utili extra-contabili. Spetta al socio fornire la prova contraria, dimostrando rigorosamente la propria estraneità alla gestione e alla percezione di tali utili.

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Pubblicato il 7 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Presunzione Distribuzione Utili: La Cassazione Chiarisce l’Onere della Prova per il Socio

In materia fiscale, la presunzione distribuzione utili ai soci di società a ristretta base azionaria è un principio consolidato ma spesso oggetto di contenzioso. L’ordinanza della Corte di Cassazione del 16 aprile 2025 offre un’importante occasione per ribadire i confini di questa presunzione e, soprattutto, per definire con precisione quale sia l’onere probatorio a carico del socio che intende contestarla. Il caso analizzato riguarda un accertamento fiscale su una società immobiliare esteso poi ai soci, portando la Suprema Corte a delineare un principio di diritto chiaro e rigoroso.

I Fatti del Caso: Dall’Accertamento alla Società all’Imputazione al Socio

La vicenda trae origine da un’azione dell’Agenzia delle Entrate, che ha ripreso a tassazione redditi non dichiarati da una società immobiliare a responsabilità limitata. Tali redditi provenivano da una serie di cessioni di immobili i cui valori reali, secondo l’Amministrazione Finanziaria, erano superiori a quelli dichiarati.

La società non ha impugnato l’avviso di accertamento, che è quindi diventato definitivo. Di conseguenza, l’Agenzia ha esteso l’accertamento ai tre soci, imputando loro i maggiori utili in proporzione alle rispettive quote di partecipazione, qualificandoli come distribuzione di utili extra-contabili. Uno dei soci ha impugnato l’atto, ottenendo ragione sia in primo grado (CTP) che in appello (CTR). Secondo i giudici di merito, la sola appartenenza a una società a ristretta base non era sufficiente a far scattare la presunzione di complicità e di effettiva distribuzione degli utili, valorizzando la posizione del socio non amministratore. L’Agenzia delle Entrate ha quindi proposto ricorso per cassazione.

La Decisione della Corte e la presunzione distribuzione utili

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, cassando la sentenza della Commissione Tributaria Regionale. La Suprema Corte ha ribadito con forza l’orientamento consolidato secondo cui, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, la legge legittima la presunzione distribuzione utili pro quota ai soci per i profitti extra-bilancio realizzati da società di capitali a ristretta base azionaria. Questo principio comporta una fondamentale inversione dell’onere della prova, che passa dall’Amministrazione Finanziaria al contribuente.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte fonda la sua decisione su argomentazioni precise, delineando un percorso logico-giuridico che rafforza il principio della presunzione.

La Ristretta Base Sociale come Fondamento della Presunzione

Il fulcro del ragionamento risiede nella natura stessa della società a ristretta base. In tali contesti, caratterizzati da un numero esiguo di soci, spesso legati da rapporti personali o familiari, è logico presumere (secondo l’ id quod plerumque accidit, ovvero ‘ciò che accade di solito’) che i soci siano a conoscenza della gestione societaria e che i maggiori utili prodotti vengano effettivamente distribuiti. La Corte considera questa una presunzione forte, che non può essere scardinata semplicemente affermando la propria estraneità alla gestione.

L’Onere della Prova a Carico del Socio

La conseguenza diretta di questa presunzione è che spetta al socio fornire la prova contraria. Tale prova deve essere rigorosa e non può limitarsi a una generica dichiarazione di non partecipazione alla conduzione societaria. Il socio deve dimostrare, anche tramite presunzioni, una delle seguenti circostanze:
1. I maggiori ricavi non sono stati effettivamente realizzati dalla società.
2. La società non ha distribuito gli utili, ma li ha accantonati o reinvestiti.
3. Un altro soggetto (ad esempio, l’amministratore) si è appropriato indebitamente di tali utili.
4. La propria assoluta estraneità alla vita sociale, intesa non solo come mancata partecipazione alla gestione, ma anche come assenza di controllo e di accesso alle informazioni societarie.

Effetti della Definitività dell’Accertamento sulla Società

Un punto cruciale evidenziato dalla Corte è che, essendo l’accertamento nei confronti della società divenuto definitivo, il socio non può più mettere in discussione l’esistenza dei maggiori redditi. La sua difesa può concentrarsi unicamente sulla dimostrazione del mancato percepimento della sua quota di utili, nei termini sopra indicati. Il socio, in virtù dell’art. 2476 c.c., ha diritto di accesso agli atti sociali e avrebbe potuto quindi conoscere e, se del caso, impugnare l’accertamento rivolto alla società.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame consolida un principio fondamentale in materia di accertamento fiscale per le società a ristretta base. La presunzione distribuzione utili non è una finzione giuridica, ma una regola basata sull’esperienza comune. Per il socio, questo significa che la passività non è una difesa sufficiente. È richiesta una prova attiva e rigorosa per dimostrare di non aver beneficiato dei profitti non dichiarati. La decisione chiarisce che il velo della personalità giuridica, in contesti societari ristretti, è meno opaco di fronte alle pretese del Fisco, e che la responsabilità fiscale può estendersi ai soci a meno che questi non riescano a fornire una prova contraria convincente e circostanziata.

In una società a ristretta base, gli utili non dichiarati si presumono distribuiti ai soci?
Sì, secondo l’orientamento consolidato della Corte di Cassazione, in presenza di una società a ristretta base azionaria vige la presunzione di distribuzione degli utili extra-contabili fra i soci in proporzione alle loro quote. Questo comporta l’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente.

Cosa deve dimostrare un socio per evitare la tassazione degli utili extra-contabili presunti?
Il socio deve fornire una prova rigorosa che i maggiori ricavi non sono stati realizzati o che non sono stati distribuiti (ma accantonati o reinvestiti), oppure che un altro soggetto se ne è appropriato. In alternativa, deve dimostrare la propria assoluta estraneità alla gestione, al controllo e al flusso informativo della vita sociale, non essendo sufficiente la semplice mancanza di partecipazione formale all’amministrazione.

Se l’accertamento fiscale nei confronti della società è definitivo, il socio può ancora contestarlo?
No, il socio non può più contestare il fondamento della ripresa fiscale effettuata nei confronti della società (cioè l’esistenza dei maggiori redditi). La sua difesa può vertere unicamente sulla dimostrazione di non aver percepito la propria quota di utili, poiché l’accertamento definitivo nei confronti della società crea un nesso di derivazione che impedisce di rimetterne in discussione il merito.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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