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Presunzione distribuzione utili: onere della prova

La Corte di Cassazione conferma la legittimità della presunzione di distribuzione utili ai soci di una S.r.l. a ristretta base partecipativa. L’ordinanza stabilisce che spetta al socio, e non all’Amministrazione Finanziaria, fornire la prova contraria che i maggiori ricavi accertati alla società non siano stati distribuiti, ma reinvestiti o accantonati. La Corte ha rigettato il ricorso della contribuente, che deteneva il 97,5% delle quote, ribadendo che l’onere della prova grava su di lei.

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Pubblicato il 16 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Presunzione Distribuzione Utili: la Cassazione ribadisce l’onere della prova a carico del socio

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio cardine del diritto tributario societario: la presunzione di distribuzione utili ai soci di società a responsabilità limitata a ristretta base partecipativa. Questa pronuncia chiarisce in modo inequivocabile su chi gravi l’onere di dimostrare che i maggiori ricavi accertati non siano finiti nelle tasche dei soci. Vediamo nel dettaglio il caso e le importanti conclusioni della Suprema Corte.

I Fatti del Caso

La vicenda trae origine da un avviso di accertamento notificato dall’Amministrazione Finanziaria a una società a responsabilità limitata, con cui veniva contestato un maggior reddito per l’anno d’imposta 2009. Data la natura della società, considerata a ‘ristretta base partecipativa’, l’Ufficio emetteva un secondo avviso di accertamento, questa volta nei confronti della socia di maggioranza, che deteneva il 97,5% delle quote.

L’Amministrazione Finanziaria, basandosi sulla presunzione che gli utili extra-bilancio della società fossero stati distribuiti alla socia, le richiedeva il pagamento di maggiori imposte (Irpef e addizionale regionale), oltre alle relative sanzioni.

La contribuente impugnava l’atto, contestandone la validità sotto diversi profili, tra cui la presunta violazione dell’obbligo di motivazione e il difetto di delega del funzionario firmatario. Sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale respingevano le sue doglianze, confermando la legittimità dell’operato dell’Ufficio. La questione giungeva così all’esame della Corte di Cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione

Con l’ordinanza in esame, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso della contribuente, confermando le decisioni dei giudici di merito. I giudici hanno ritenuto infondati entrambi i motivi di ricorso, fornendo chiarimenti cruciali su due aspetti: uno procedurale e uno sostanziale.

Sul piano procedurale, la Corte ha dichiarato inammissibile l’eccezione relativa al difetto di delega di firma, poiché sollevata tardivamente (solo nelle memorie illustrative e non nel ricorso introduttivo). Sul piano sostanziale, ha ribadito la piena validità della presunzione di distribuzione utili e ha chiarito la ripartizione dell’onere della prova.

Le Motivazioni della Decisione: Presunzione Distribuzione Utili e Onere della Prova

Il cuore della pronuncia risiede nelle motivazioni relative al secondo motivo di ricorso. La Corte ha affrontato due questioni centrali.

In primo luogo, ha ritenuto irrilevante la mancata allegazione dell’avviso di accertamento notificato alla società. Secondo i giudici, una socia che detiene la quasi totalità delle quote ha, per definizione, un elevato grado di conoscibilità degli affari sociali. In virtù dei suoi poteri di controllo e consultazione (art. 2261 c.c.), è perfettamente in grado di accedere a tutta la documentazione societaria, incluso l’atto presupposto. Pertanto, il rinvio per relationem a tale atto nell’accertamento notificato al socio è sufficiente a soddisfare l’obbligo di motivazione.

In secondo luogo, e con ancora maggior forza, la Corte ha consolidato il proprio orientamento sulla presunzione di distribuzione utili. È legittimo presumere che i maggiori ricavi accertati a una società a ristretta base partecipativa siano stati distribuiti ai soci. Tale presunzione, tuttavia, non è assoluta. Il contribuente ha la facoltà di superarla, ma l’onere della prova ricade interamente su di lui. Spetta al socio dimostrare, con prove concrete, che i maggiori utili:

* Non sono stati distribuiti.
* Sono stati accantonati dalla società.
* Sono stati reinvestiti nell’attività d’impresa.

Nel caso specifico, la ricorrente non ha fornito alcuna prova in tal senso. La sua difesa si è limitata a contestare la presunzione stessa, senza offrire elementi concreti per vincerla. Di conseguenza, la Corte ha concluso che era la contribuente (e non l’Ufficio) a dover dimostrare la mancata distribuzione degli utili, prova che è risultata del tutto assente.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza rafforza un principio fondamentale per i soci di S.r.l. a compagine ristretta. Non è sufficiente contestare genericamente l’accertamento basato sulla presunzione di distribuzione degli utili. Per difendersi efficacemente, il socio deve assumere un ruolo attivo, fornendo prove documentali (delibere assembleari, scritture contabili, piani di investimento) che attestino in modo inequivocabile una diversa destinazione dei maggiori ricavi accertati. In assenza di tale prova contraria, la presunzione legale resta pienamente operativa, con la conseguente tassazione dei redditi in capo al socio.

In una S.r.l. a ristretta base, a chi spetta dimostrare che gli utili non dichiarati sono stati distribuiti?
La sentenza chiarisce che vige una presunzione di distribuzione. Pertanto, spetta al socio contribuente l’onere di fornire la prova contraria, ossia dimostrare che i maggiori ricavi accertati alla società non sono stati distribuiti ma, ad esempio, accantonati o reinvestiti.

Il socio può contestare un avviso di accertamento perché non è allegato l’atto impositivo notificato alla società?
No. Secondo la Corte, il socio di maggioranza (in questo caso al 97,5%) ha ampi poteri di controllo e accesso alla documentazione societaria. Pertanto, può facilmente prendere visione dell’accertamento notificato alla società, e la sua mancata allegazione all’atto destinato al socio non vizia l’obbligo di motivazione.

È possibile sollevare un’eccezione processuale, come il difetto di delega di firma dell’atto, per la prima volta in una memoria illustrativa successiva al ricorso?
No. La Corte ha stabilito che i vizi dell’atto devono essere specificamente dedotti nel ricorso introduttivo di primo grado. Un’eccezione come il difetto di delega, se sollevata per la prima volta in una memoria successiva, è da considerarsi tardiva e quindi inammissibile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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