Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 23856 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 23856 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15356/2017 R.G. proposto da NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, presso il cui studio è elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del direttore pro-tempore , domiciliata ope legis in Roma, INDIRIZZO, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 11134/34/16 della C.T.R. di RAGIONE_SOCIALE, depositata il 12 dicembre 2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12 luglio 2024 dalla AVV_NOTAIO.AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
Rilevato che:
RAGIONE_SOCIALE emetteva, a carico della RAGIONE_SOCIALE l’avviso di accertamento n. NUMERO_DOCUMENTO, relativo all’anno d’imposta 2009, accertando un reddito complessivo di euro 198.365,00. Con riferimento al medesimo anno d’imposta, l’Ufficio, considerato che
la RAGIONE_SOCIALE era da ritenersi a ristretta base partecipativa, che NOME COGNOME era socia con una quota di partecipazione del 97,5% e che i maggiori utili dovevano ritenersi affluiti nella disponibilità della stessa, emetteva l’avviso di accertamento sintetico n. NUMERO_DOCUMENTO, con cui determinava, per l’anno d’imposta 2009, una maggiore imposta Irpef e una maggiore addizionale regionale Irpef, oltre alle sanzioni, per un totale di euro 79.431,00.
La contribuente proponeva ricorso avverso quest’ultimo avviso di accertamento, eccependo: la nullità dell’atto per la violazione dell’art. 7, commi 1 e 2, lett. a), della l. 212 del 2000, dell’art. 5 della l. 241 del 1990 e dell’art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973; l’illegittimità e l’infondatezza dell’accertamento impugnato.
La Commissione Tributaria Provinciale di RAGIONE_SOCIALE, con sentenza n. 26502/28/2015, depositata il 27.11.2015, rigettava il ricorso e condannava NOME COGNOME al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese di lite. Nella decisione in esame, rigettata l’eccezione relativa all’omessa produzione della delega in favore del funzionario che aveva firmato l’avviso di accertamento (perché proposta solo con le memorie illustrative e non con il ricorso introduttivo), i giudici di primo grado rilevavano che la ricorrente non aveva fornito alcuna prova contraria idonea a far venir meno la presunzione di distribuzione degli utili accertati nei confronti della società.
La contribuente, con ricorso in appello del 2.3.2016, impugnava la decisione di primo grado, che, in seguito alla costituzione dell’Ufficio, veniva integralmente confermata in secondo grado.
In particolare, la C.T.R., con sentenza n. 11134/34/2016, dopo aver confermato la decisione della C.T.P. nella parte relativa alla declaratoria di inammissibilità dell’eccezione relativa all’assenza di delega di firma in favore del funzionario che aveva sottoscritto l’avviso di accertamento, ha affermato: che il ricorso proposto avverso l’avviso di accertamento emesso nei confronti della RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE era stato rigettato, con sentenza passata in giudicato; che, contrariamente rispetto a quanto eccepito dall’appellante, l’omessa allegazione dell’avviso di ricevimento emesso a carico della società non rilevava ai fini dell’adempimento dell’obbligo di motivazione, atteso che la sig. COGNOME aveva ‘la quasi totalità RAGIONE_SOCIALE quote della società, il 97%, per cui v’era un grado elevato di conoscibilità degli affari e RAGIONE_SOCIALE vicende della società e non v’è dubbio che il verbale di accertamento, per il notevole importo degli introiti che erano risultati non contabilizzati, non aveva costituito una vicenda di marginale rilievo’.
Contro tale decisione propone ricorso per cassazione la contribuente, con due motivi.
L’RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
La trattazione del ricorso è stata fissata dinanzi a questa sezione per l’adunanza in camera di consiglio del 12 luglio 2024, ai sensi degli artt. 375, secondo comma, e 380bis .1 c.p.c.
Considerato che:
1.Con il primo motivo, rubricato ‘omessa e/o insufficiente motivazione in ordine all’art. 42 del d.P.R. 600/1972, in relazione agli artt. 2 e 7, comma 2, della l. n. 212 del 2000 e dell’art. 2697 c.c.’, la contribuente contesta la decisione impugnata, nella parte in cui aveva ritenuto inammissibile l’eccezione relativa al difetto di prova della delega di firma (perché proposta solo con le memorie illustrative), rilevando che a pag. 3 del ricorso era stato affermato che: ‘l’accertamento, inoltre, è da considerarsi nullo anche per violazione RAGIONE_SOCIALE disposizioni di cui all’art. 7, comma 1, della l. 212/2000 e art. 42 del d.P.R. 600/1973′.
1.1. Il primo motivo è inammissibile e, comunque, infondato.
In primo luogo, avuto riguardo alla regola di cui all’art. 348 -ter , ultimo comma, c.p.c., applicabile ratione temporis , la quale esclude la possibilità di ricorrere per cassazione ai sensi del numero 5 dell’art. 360 dello stesso codice, nell’ipotesi in cui la sentenza di
appello impugnata rechi l’integrale conferma della decisione di primo grado (c.d. ‘doppia conforme’); in proposito, questa Corte ha da tempo chiarito che la predetta esclusione si applica, ai sensi dell’art. 54, comma 2, del decreto legge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012, ai giudizi d’appello introAVV_NOTAIOi con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012, e che il presupposto di applicabilità della norma risiede nella c.d. ‘doppia conforme’ in facto , sicché il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo, ha l’onere nella specie non assolto -di indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. 18/12/2014, n. 26860; Cass. 22/12/2016, n. 26774; Cass. 06/08/2019, n. 20994; da ultimo, Cass. 28/02/2023, n. 5947).
1.2. In merito alla censura relativa all’ omessa motivazione, si osserva che le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito che la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 RAGIONE_SOCIALE preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza”
della motivazione (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830 -01, conformi, tra le più recenti: Sez. 1 Ordinanza n. 7090 del 03/03/2022, Rv. 664120 – 01). Nella specie, la motivazione, sebbene in modo sintetico, illustra le ragioni della decisione (con specifico riferimento alla motivazione dell’avviso di accertamento e alla presunzione di distribuzione degli utili extra bilancio), così rispondendo al c.d. minimo costituzionale.
1.3. Nonostante tale dirimente considerazione, si osserva che il motivo di ricorso è comunque infondato. E’ infatti orientamento consolidato di questa Corte che «Nel processo tributario, caratterizzato dall’introduzione della domanda nella forma della impugnazione dell’atto tributario per vizi formali o sostanziali, l’indagine sul rapporto sostanziale non può che essere limitata ai motivi di contestazione dei presupposti di fatto e di diritto della pretesa dell’Amministrazione che il contribuente deve specificamente dedurre nel ricorso introduttivo di primo grado, con la conseguenza che, ove il contribuente deduca specifici vizi di invalidità dell’atto impugnato, il giudice deve attenersi all’esame di essi e non può, “ex officio”, annullare il provvedimento impositivo per vizi diversi da quelli deAVV_NOTAIOi, anche se risultanti dagli stessi elementi acquisiti al giudizio, in quanto tali ulteriori profili di illegittimità debbono ritenersi estranei al “thema controversum”, come definito dalle scelte del ricorrente. L’oggetto del giudizio, come circoscritto dai motivi di ricorso, può essere modificato solo nei limiti consentiti dalla disciplina processuale e, cioè, con la presentazione di motivi aggiunti, consentita però, ex art. 24 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, nel solo caso di “deposito di documenti non conosciuti ad opera RAGIONE_SOCIALE altre parti o per ordine della commissione”» (tra le molte, Sez. 5, Sentenza n. 19337 del 22/09/2011, Rv. 619083 -01; Sez. 5, Sentenza n. 23326 del 15/10/2013, Rv. 628832 -01;
Sez. 5, Sentenza n. 15051 del 02/07/2014, Rv. 631568 – 01).
Nel caso in esame la lettura del ricorso introduttivo esclude la possibilità di ritenere tempestivamente formulata l’eccezione relativa al difetto di delega. Il mero richiamo alla violazione dell’art. 42 del d.P.R. 600/1973, infatti, è del tutto inidoneo a ritenere formulata l’eccezione predetta, che, invece, risulta articolata, per la prima volta, solo con la memoria illustrativa.
Come correttamente ritenuto da entrambe le decisioni di merito (di primo e secondo grado), l’eccezione deve, pertanto, considerarsi inammissibile.
Con il secondo motivo di ricorso, rubricato ‘omessa e/o insufficiente motivazione in ordine all’art. 7, comma 1, della l. 212/2000, in relazione agli artt. 42, comma 4, d.P.R. 600/1973 e 56 d.P.R. 633/1972’, la contribuente censura la decisione della C.T.R. nella parte in cui ha ritenuto irrilevante, ai fini dell’adempimento dell’obbligo di motivazione dell’avviso di accertamento, la mancata allegazione dell’atto emesso a carico della società, atteso che la socia, la quale deteneva la quasi integralità RAGIONE_SOCIALE quote sociali, era ben consapevole del suo contenuto. La ricorrente contesta altresì la decisione nella parte in cui ha ritenuto fornita la prova della distribuzione degli utili extra bilancio alla socia, pur in assenza di alcuna prova in merito a detta distribuzione.
2.1. Il motivo è infondato.
Questa Corte, con orientamento condiviso dal Collegio, ha da tempo chiarito che il socio ‘è in grado di prendere visione della documentazione in possesso della società, avvalendosi dei suoi poteri di controllo e consultazione’ (cfr. Cassazione n. 7149/2001, n. 6330/2002, n. 8407/2002); pertanto, il rinvio per relationem , nella rettifica dei redditi del socio, a quella notificata alla società soddisfa l’obbligo di porre il contribuente in condizione di conoscere le ragioni dalle quali deriva la pretesa fiscale, giacché, ai sensi dell’articolo 2261 c.c., il medesimo ha il potere di consultare la
documentazione relativa alla società e, conseguentemente, di prendere visione sia dell’accertamento presupposto sia dei documenti richiamati a suo fondamento, ovvero di rilevarne l’omessa comunicazione (tra le più recenti, Cass., Sez. 5 Ordinanza n. 20157 del 15/07/2021, Rv. 661887 – 01).
Nel caso in esame pertanto, NOME COGNOME, titolare del 97,5% RAGIONE_SOCIALE quote sociali, ben avrebbe potuto prendere visione dell’avviso di accertamento a carico della società RAGIONE_SOCIALE, sebbene quest’ultimo non fosse stato allegato all’avviso di accertamento dalla stessa ricevuto.
2.2. In merito alla presunzione di distribuzione di utili extra bilancio, questa Corte è ferma nel ritenere che è legittima la presunzione di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà del contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non sono stati distribuiti, ma accantonati dalla società, ovvero da essa reinvestiti (Cass. n. 5076 del 2011, n. 9519 del 2009 e n. 7564 del 2003; Cass. n. 6780/03; Cass. n. 7564/03; Cass. n. 16885/03; Cass. n.18640/2008; Cass. n.8954/13). Tale principio è stato completato precisandosi che la presunzione di distribuzione degli utili extra bilancio può essere vinta dando la dimostrazione della propria estraneità alla gestione e conduzione societaria (cfr.Cass.n.1932/2016, Cass.n.17461/2017, Cass.n.26873/2016).
Contrariamente rispetto a quanto deAVV_NOTAIOo dalla ricorrente, era quest’ultima (e non l’Ufficio) gravata dell’onere di dimostrare che i predetti utili non fossero stati distribuiti, prova che, nel caso in esame, è del tutto assente.
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese di lite in favore della controricorrente che quantifica in € 5.600,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, l. n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 12/07/2024