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Presunzione distribuzione utili: onere della prova

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 6708/2025, ha rigettato il ricorso di un socio al 99% di una S.r.l. contro un avviso di accertamento IRPEF. L’Agenzia delle Entrate aveva applicato la presunzione di distribuzione utili extracontabili. La Corte ha confermato che l’onere della prova per superare tale presunzione grava sul contribuente, il quale, nonostante non fosse più amministratore, non ha fornito elementi sufficienti a dimostrare la sua estraneità alla percezione dei redditi.

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Pubblicato il 17 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Presunzione distribuzione utili: la Cassazione conferma l’onere della prova sul socio

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, è tornata a pronunciarsi su un tema cruciale del diritto tributario societario: la presunzione distribuzione utili extracontabili nelle società a ristretta base proprietaria. Questa decisione ribadisce un principio fondamentale: spetta al socio dimostrare di non aver percepito tali utili, anche se non riveste più la carica di amministratore. Analizziamo nel dettaglio la vicenda e le implicazioni di questa pronuncia.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine da un avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate nei confronti di un contribuente, socio titolare di una quota del 99% di una S.r.l. L’amministrazione finanziaria, a seguito di una verifica fiscale sulla società che aveva fatto emergere ricavi non dichiarati (i cosiddetti ricavi ‘in nero’), aveva rettificato la dichiarazione dei redditi del socio per l’anno 2007.

L’atto impositivo si fondava sulla presunzione secondo cui, nelle società di capitali a ristretta base proprietaria, gli utili extracontabili accertati si considerano distribuiti ai soci. Il contribuente aveva impugnato l’avviso, sostenendo di essersi disinteressato della gestione societaria da diversi anni, avendo cessato di essere amministratore unico nel 2003. La Commissione Tributaria Provinciale aveva inizialmente accolto il suo ricorso, ma la decisione era stata ribaltata in appello dalla Commissione Tributaria Regionale, che aveva dato ragione all’Agenzia delle Entrate.

La presunzione distribuzione utili e le argomentazioni delle parti

Il contribuente ha quindi proposto ricorso per cassazione, lamentando la violazione delle norme sull’onere della prova (art. 2697 c.c.). A suo dire, la Commissione Regionale avrebbe errato nel considerarlo responsabile per non aver vigilato sull’operato dei nuovi amministratori (una sorta di culpa in vigilando) e nel non ritenere sufficiente la prova della sua estraneità alla gestione attiva della società.

Il punto centrale del dibattito è la cosiddetta presunzione distribuzione utili, un meccanismo giuridico basato sull’esperienza comune (id quod plerumque accidit), secondo cui in una compagine sociale ristretta, dove i soci hanno un forte controllo sull’attività, è altamente probabile che i profitti non contabilizzati vengano di fatto incassati dai soci stessi. Di conseguenza, l’onere di dimostrare il contrario ricade su di loro.

L’Analisi della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso infondato, confermando l’orientamento consolidato in materia e fornendo chiarimenti importanti sul riparto dell’onere probatorio.

L’onere della prova grava sul contribuente

I giudici hanno ribadito che la violazione dell’art. 2697 c.c. si verifica solo se il giudice di merito inverte l’onere della prova, attribuendolo a una parte diversa da quella prevista dalla legge. In questo caso, la Commissione Regionale ha correttamente applicato il principio secondo cui, una volta che l’Amministrazione Finanziaria ha dimostrato l’esistenza di utili extracontabili in una società a ristretta base, spetta al socio fornire la prova contraria per superare la presunzione di distribuzione.

La posizione del socio quasi totalitario

La Corte ha ritenuto ‘non verosimile’ l’assunto del contribuente di essersi completamente disinteressato delle vicende della società, dato che ne deteneva quasi la totalità del capitale sociale (99%). Secondo i giudici, una partecipazione così schiacciante rende ‘sospetto prima ancora che inspiegabile’ un presunto disinteresse. La prova offerta dal contribuente non è stata quindi considerata idonea a ‘sovvertire’ la presunzione legale.

L’irrilevanza della colpa per mancata vigilanza

Infine, la Corte ha specificato che le considerazioni dei giudici di secondo grado sul ‘difetto di diligenza’ del socio nel vigilare sui nuovi amministratori costituiscono un mero ‘argomento rafforzativo’ del ragionamento. La vera ratio della decisione non risiede in una presunta colpa, ma nel fatto oggettivo che il contribuente non ha adempiuto al suo onere di fornire la prova contraria alla percezione degli utili.

le motivazioni
Le motivazioni della Corte si fondano su un principio di logica e coerenza giuridica. La presunzione di distribuzione degli utili in società a ristretta base proprietaria è uno strumento essenziale per contrastare l’evasione fiscale. La Corte ha ritenuto che la posizione del socio quasi totalitario rende intrinsecamente debole la tesi del disinteresse gestionale. Spettava a lui, e non all’Agenzia delle Entrate, fornire prove concrete e positive (come, ad esempio, la prova che gli utili fossero stati reinvestiti o accantonati) per dimostrare la mancata percezione dei fondi.

le conclusioni
Questa ordinanza consolida un importante principio: nelle società a ristretta base sociale, il socio che intende contestare la tassazione degli utili extracontabili della società deve assumersi un onere probatorio significativo. Non è sufficiente affermare di essere estraneo alla gestione o di non rivestire più cariche amministrative. È necessario fornire elementi concreti e convincenti che dimostrino che quegli utili non sono finiti nelle sue tasche. La pronuncia serve da monito per i soci di maggioranza, i quali non possono invocare una formale separazione dalla gestione per sfuggire alle proprie responsabilità fiscali.

In una società a ristretta base proprietaria, chi deve provare che gli utili non dichiarati non sono stati distribuiti ai soci?
Secondo la sentenza, l’onere della prova spetta al socio contribuente. È lui che deve fornire la prova contraria, cioè dimostrare di non aver percepito gli utili, per superare la presunzione di avvenuta distribuzione.

Essere un socio quasi totalitario (99%) ma non più amministratore è sufficiente per evitare la tassazione sugli utili extracontabili?
No. La Corte ha stabilito che la titolarità di una partecipazione pressoché totalitaria rende inverosimile un completo disinteresse per le sorti della società. La sola cessazione dalla carica di amministratore non è stata ritenuta una prova sufficiente a superare la presunzione di distribuzione degli utili.

Cosa succede se il socio non riesce a fornire la prova contraria alla presunzione di distribuzione?
Se il socio non riesce a superare la presunzione fornendo prove adeguate, gli utili extracontabili accertati in capo alla società vengono considerati come suo reddito da partecipazione e sono tassati di conseguenza ai fini IRPEF, in proporzione alla sua quota di possesso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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