Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 6708 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 6708 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 13/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16985/2021 R.G. proposto da COGNOME NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. COGNOME NOME (domicilio digitale: EMAIL -ricorrente- contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso gli uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato, dalla quale è rappresentata e difesa ope legis
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DELLA PUGLIA n. 843/2021 depositata il 4 marzo 2021
Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 22 gennaio 2025 dal Consigliere COGNOME NOME
FATTI DI CAUSA
La Direzione Provinciale di Lecce dell’Agenzia delle Entrate emetteva nei confronti di NOME COGNOME socio della RAGIONE_SOCIALE titolare di una quota del 99%, un avviso di accertamento mediante il quale rettificava la dichiarazione dei
redditi da lui presentata ai fini dell’IRPEF per l’anno 2007, recuperando a tassazione un maggior reddito da partecipazione determinato in base alla presunzione di distribuzione di utili extracontabili ai soci di società di capitali a ristretta base proprietaria.
L’atto impositivo faceva sèguito all’avviso di accertamento emesso dal medesimo Ufficio a carico della prefata società, con il quale erano stati ad essa imputati ricavi emersi dall’attività di verifica svolta nei suoi confronti.
Il COGNOME contestava la pretesa erariale dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Lecce, che accoglieva il suo ricorso, annullando l’avviso di accertamento impugnato.
La decisione veniva, però, successivamente riformata dalla Commissione Tributaria Regionale della Puglia, la quale, con sentenza n. 843/2021 del 4 marzo 2021, in accoglimento dell’appello dell’Amministrazione Finanziaria, respingeva l’originario ricorso della parte privata.
Avverso tale sentenza il COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a un unico motivo.
L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
La causa è stata avviata alla trattazione in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380 -bis .1 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., sono denunciate la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2697 c.c..
1.1 Si sostiene che avrebbe errato la CTR nel reputare non assolto da parte del contribuente l’onere della prova della non avvenuta percezione degli utili extracontabili accertati in capo alla RAGIONE_SOCIALE
1.2 Viene, al riguardo, posto in evidenza che il COGNOME era riuscito a
dimostrare di essersi disinteressato delle sorti della società partecipata sin da quando, nel novembre del 2003, aveva cessato di rivestire la qualità di amministratore unico.
1.3 Cionondimeno, i giudici regionali hanno ritenuto a lui ascrivibile un difetto di diligenza per non aver esercitato il dovuto controllo sulla condotta dei nuovi amministratori, onde evitare che fossero posti in essere atti di evasione fiscale, lasciando così intendere che tale supposta «culpa in vigilando» fosse sufficiente a giustificare l’imputazione a suo carico, nei limiti della quota detenuta, degli utili extracontabili accertati in capo alla società, indipendentemente dalla prova della loro effettiva percezione.
1.4 A fronte degli elementi di prova contraria offerti dal contribuente, era, invece, onere dell’Ufficio .
2. Il ricorso è infondato.
2.1 Per consolidata giurisprudenza di questa Corte, la violazione dell’art. 2697 c.c. si configura soltanto qualora il giudice abbia attribuito l’onere della prova a una parte diversa da quella che ne era gravata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni, e non invece quando oggetto di censura sia la valutazione delle prove compiuta dal giudice (cfr., ex permultis , fra le più recenti, Cass. n. 31434/2024, Cass. n. 28182/2024, Cass. n. 28115/2024, Cass. n. 28021/2024, Cass. n. 27844/2024).
2.2 Nel caso di specie, le regole sul riparto dell’onere probatorio non sono state affatto invertite dalla CTR, avendo essa correttamente affermato che, stante l’operatività della presunzione semplice di distribuzione ai soci degli utili extracontabili accertati in capo a una società di capitali a ristretta base proprietaria -quale doveva essere considerata la RAGIONE_SOCIALE, partecipata al 99%
dal COGNOME-, spettava al contribuente fornire la prova contraria atta a superare l’anzidetta presunzione.
2.3 Sulla base di tale corretta premessa giuridica, la Commissione ha espresso il convincimento che non poteva reputarsi verosimile l’assunto secondo cui il COGNOME si sarebbe disinteressato delle vicende della società, pur avendo conservato la titolarità della partecipazione pressochè totalitaria al capitale sociale ( «Il COGNOME è sempre stato socio in ragione del 99% del capitale sociale della RAGIONE_SOCIALE sicchè il suo presunto disinteresse nei confronti delle vicende afferenti alla società appare sospetto prima ancora che inspiegabile, così come la tardiva denunzia nei confronti degli amministratori di essa RAGIONE_SOCIALE è con tutta evidenza meramente strumentale a costruire ex post elementi di prova a fondamento di tale estraneità» ).
2.4 Non sussiste, pertanto, la dedotta violazione di legge; né è possibile rivedere, in questa sede di legittimità, l’apprezzamento in fatto delle risultanze istruttorie operato dai giudici di merito, i quali, oltretutto, non hanno mancato di prendere in esame la prova contraria addotta dal contribuente al fine di dimostrare la sua pretesa estraneità alla gestione e alla vita societaria, ritenendola, però, inidonea a sovvertire la cennata presunzione.
2.5 Quanto, poi, alle considerazioni svolte dal collegio di secondo grado in ordine all’asserito difetto di diligenza imputabile al socio per non aver vigilato sulla condotta dei nuovi amministratori ( «Il generale principio di buona fede che presiede anche alla tutela dei terzi aventi causa di una società di capitali quale la RAGIONE_SOCIALE con soli due soci, avrebbe richiesto, da parte del socio quasi totalitario, una diligenza quanto meno ordinaria nel verificare atti e comportamenti societari per evitare che altri potessero compiere violazioni delle leggi sia civili che penali» ), esse rappresentano un mero argomento rafforzativo del complessivo ragionamento decisorio, la cui eventuale inesattezza o incongruenza non
impedisce di cogliere l’effettiva «ratio» della pronuncia gravata nel rilievo dell’omesso assolvimento da parte del contribuente dell’onere della prova contraria su di lui gravante.
2.6 Per le ragioni esposte, il ricorso deve essere respinto.
Le spese processuali seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
Stante l’esito dell’impugnazione, viene resa nei confronti del ricorrente l’attestazione contemplata dall’art. 13, comma 1 -quater , del D.P.R. n. 115 del 2002 (Testo Unico delle spese di giustizia), inserito dall’art. 1, comma 17, della L. n. 228 del 2012.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rifondere all’Agenzia delle Entrate le spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi 5.600 euro, oltre ad eventuali oneri prenotati a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del D.P.R. n. 115 del 2002 (Testo Unico delle spese di giustizia), dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la proposta impugnazione, a norma del comma 1bis dello stesso articolo, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione