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Presunzione distribuzione utili: non serve accertamento

Una società a responsabilità limitata in liquidazione ha ricevuto due avvisi di accertamento: uno per maggiori ricavi e l’altro per omesse ritenute su utili che si applica la presunzione di distribuzione utili ai soci. La Corte di Cassazione ha stabilito che l’accertamento per le omesse ritenute è legittimo anche se quello sul reddito societario non è ancora definitivo. La Corte chiarisce che il rapporto tra i due atti è di pregiudizialità logico-giuridica, che può giustificare una sospensione del processo ma non l’invalidità dell’atto. Inoltre, ha affermato che il deposito tardivo di una procura alle liti preesistente è una mera irregolarità sanabile.

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Pubblicato il 22 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Presunzione distribuzione utili: l’accertamento sui soci non attende quello sulla società

Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 26215 del 2024, ha fornito chiarimenti cruciali sul tema della presunzione distribuzione utili nelle società a ristretta base azionaria. Il principio affermato è di notevole impatto pratico: l’Amministrazione Finanziaria può legittimamente notificare un avviso di accertamento per omesse ritenute d’acconto ai soci, anche se il giudizio sul maggior reddito accertato in capo alla società è ancora pendente. Vediamo nel dettaglio la vicenda e le motivazioni della Corte.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda una società a responsabilità limitata in liquidazione che è stata oggetto di due distinti procedimenti di accertamento da parte dell’Amministrazione Finanziaria per l’anno d’imposta 2007.
1. Il primo accertamento contestava alla società maggiori ricavi per quasi due milioni di euro, con conseguente recupero di IRES, IVA e IRAP.
2. Il secondo accertamento, logicamente collegato al primo, recuperava le ritenute d’acconto non versate sugli utili che, a seguito dei maggiori ricavi, si presumevano distribuiti ai due soci della compagine a ristretta base azionaria.

Ne sono scaturiti due contenziosi paralleli. Nel giudizio relativo alle ritenute, i giudici di merito avevano dato ragione alla società, ritenendo l’accertamento illegittimo perché l’atto presupposto (l’accertamento del maggior reddito societario) non era ancora definitivo. Nel giudizio relativo al reddito societario, invece, il ricorso della società era stato dichiarato inammissibile per il deposito tardivo della procura alle liti.

Entrambe le decisioni sono state impugnate dinanzi alla Corte di Cassazione, che ha deciso di riunire i ricorsi data la loro evidente connessione.

La questione della presunzione distribuzione utili e la pendenza del giudizio societario

Il cuore della controversia legale risiede nel rapporto tra i due accertamenti. La presunzione distribuzione utili è un meccanismo fiscale che si applica alle società di capitali con pochi soci (a ‘ristretta base’), dove si assume che gli utili non contabilizzati accertati dall’Ufficio siano stati, in realtà, distribuiti ai soci. Di conseguenza, la società avrebbe dovuto operare e versare la relativa ritenuta d’acconto.

I giudici tributari regionali avevano sostenuto che, per poter validamente richiedere le ritenute, fosse indispensabile la definitività dell’accertamento sul reddito della società. Senza questa certezza, l’atto successivo sarebbe stato privo del suo fondamento. La Cassazione, tuttavia, ha ribaltato questa interpretazione.

La decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto entrambi i ricorsi, seppur per ragioni diverse, cassando le sentenze impugnate e rinviando la causa al giudice di secondo grado per una nuova valutazione.

Sul rapporto tra accertamento societario e accertamento sui soci

La Corte ha stabilito che la validità dell’accertamento sulle ritenute d’acconto non dipende dalla definitività dell’accertamento sul reddito societario. Il fondamento della presunzione distribuzione utili non è l’esistenza di un maggior reddito accertato in via definitiva, ma la ‘ristrettezza dell’assetto societario’. Questa condizione implica un vincolo di solidarietà e controllo reciproco tra i soci che rende verosimile la distribuzione degli utili extra-bilancio.

Il rapporto tra i due giudizi è di pregiudizialità logico-giuridica, non di dipendenza assoluta. Questo significa che il giudice che si occupa delle ritenute non deve dichiarare nullo l’atto, ma può, se lo ritiene opportuno, sospendere facoltativamente il processo in attesa dell’esito della causa sul reddito societario, per evitare il rischio di giudicati contrastanti.

Sulla sanatoria del difetto di procura

Riguardo al secondo ricorso, la Corte ha corretto un errore procedurale dei giudici di merito. Essi avevano dichiarato inammissibile il ricorso della società perché la procura alle liti, sebbene preesistente, era stata depositata oltre il termine fissato dal giudice. La Cassazione ha chiarito che in questo caso non si trattava di assenza di ‘ius postulandi’ (il potere di stare in giudizio), ma di una mera irregolarità documentale. Tale irregolarità può essere sanata anche tardivamente, con efficacia retroattiva (ex tunc), senza che ciò comporti l’inammissibilità del ricorso.

Le Motivazioni della Sentenza

La decisione della Corte si fonda su una netta distinzione tra l’aspetto sostanziale della pretesa tributaria e quello processuale della gestione del contenzioso. Sostanzialmente, l’Amministrazione Finanziaria ha il potere di emettere l’atto relativo ai soci basandosi sulla presunzione legale legata alla struttura della società. La validità dell’atto non è subordinata all’esito di un altro procedimento. Processualmente, invece, per garantire coerenza ed economia processuale, il sistema offre strumenti come la riunione dei giudizi o la sospensione facoltativa per gestire le cause connesse ed evitare conflitti tra decisioni.

Questa interpretazione bilancia l’esigenza dell’Erario di agire tempestivamente per l’accertamento dei tributi con il diritto di difesa del contribuente e la necessità di un’ordinata amministrazione della giustizia. La Corte, inoltre, ribadisce un principio di ‘favor processualis’, volto a salvaguardare la validità degli atti processuali rispetto a vizi puramente formali e sanabili, come il tardivo deposito di un documento preesistente.

Conclusioni

La sentenza analizzata offre due importanti insegnamenti pratici:
1. L’Amministrazione Finanziaria può accelerare le procedure di accertamento nei confronti dei soci di società a ristretta base azionaria, senza dover attendere la conclusione, spesso lunga, del contenzioso con la società.
2. I contribuenti e i loro difensori non possono invocare la pendenza del giudizio societario come causa di automatica illegittimità dell’accertamento sulle ritenute. La strategia difensiva dovrà concentrarsi sul merito della pretesa o sulla richiesta di sospensione del giudizio.
3. Viene confermato un orientamento giurisprudenziale che contrasta l’eccessivo formalismo, riconoscendo la possibilità di sanare con effetto retroattivo le irregolarità documentali che non inficiano il diritto di difesa sostanziale.

Per accertare le ritenute sugli utili presunti distribuiti ai soci, è necessario che l’accertamento sul maggior reddito della società sia definitivo?
No, la Corte di Cassazione ha chiarito che non è necessaria la definitività dell’accertamento societario. Il presupposto della presunzione è la ristretta base sociale, non l’accertamento definitivo dei maggiori ricavi.

Cosa succede se l’avviso di accertamento sui soci viene emesso mentre è ancora in corso la causa sul reddito della società?
L’avviso di accertamento è valido. Tuttavia, il giudice che valuta l’accertamento sui soci può disporre, in via facoltativa, la sospensione del giudizio in attesa della definizione di quello societario, per evitare decisioni contrastanti.

Il deposito tardivo della procura alle liti rende il ricorso inammissibile?
No, se la procura esisteva già al momento della notifica del ricorso. Secondo la Corte, il deposito tardivo costituisce una mera irregolarità documentale sanabile con effetto ex tunc (retroattivo), e non comporta la mancanza dello ius postulandi che renderebbe l’atto nullo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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