Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 12752 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 12752 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/05/2025
Oggetto : Società di capitali a ristretta base partecipativa – Presunzione di distribuzione degli utili – Onere della prova
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6427/2024 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato dalla quale è rappresentata e difesa ope legis ;
-ricorrente –
contro
COGNOME NOMECOGNOME NOME e COGNOME NOMECOGNOME rappresentati e difesi, in virtù di procura speciale rilasciata su foglio separato e allegato al controricorso, dall’Avv. NOME COGNOME che ha indicato il domicilio digitale avvEMAIL
-controricorrenti – avverso la sentenza della Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Piemonte, n. 25/02/2023, depositata in data 27 gennaio 2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14 aprile 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
1. L’Agenzia delle entrate notificava a NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME tre distinti avvisi di accertamento, con i quali veniva imputato ai contribuenti, nella loro veste di soci della società a ristretta base azionaria RAGIONE_SOCIALE e, quindi, recuperato a tassazione, ai fini IRPEF per l’anno 2014, un maggiore reddito di capitali.
Gli avvisi traevano origine da una verifica fiscale eseguita dalla Guardia di Finanza nei confronti della società , all’esito della quale veniva accertato che l ‘ente aveva omesso di presentare le dichiarazioni Modello Unico e Modello IRAP per l’anno d’imposta 2015 e di redigere e depositare il bilancio di esercizio al 31 dicembre 2014. L’Agenzia emetteva, quindi, nei confronti della società l’avviso di accertamento n. CODICE_FISCALE, con cui veniva accertato maggiore reddito per oltre un milione e mezzo di euro, divenuto definitivo per mancata impugnazione.
I soci presentavano, avverso gli avvisi personali, distinti ricorsi innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Alessandria, deducendo il difetto di preventivo contraddittorio e lamentando che l’Agenzia aveva fondato gli avvisi di accertamento sul principio di presunzione di distribuzione ai soci degli utili non contabilizzati, presunzione non avvalorata da indici rivelatori della effettiva distribuzione degli utili.
La CTP, previa riunione delle cause, accoglieva i ricorsi affermando che ‘le motivazioni alla base degli accertamenti sono piuttosto deboli, non solo perché scaturiscono sempre da presunzioni su presunzioni, ma anche perché fondate su ipotesi varie che dal fisco non sono verificate caso per caso’; inoltre, una volta accertati utili non dichiarati in capo alla società ‘non si può automaticamente desumere la riscossione degli stessi ad opera dei soci, essendo possibili anche destinazioni e conclusioni div erse’; riteneva, in definitiva, necessaria la prova della reale percezione dell’utile da parte dei soci.
Interposto gravame dal l’Ufficio , la Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Piemonte confermava la sentenza di primo grado; dopo aver acclarato il rispetto del contraddittorio preventivo, statuiva che i soci avevano dato, ‘in modo sufficiente ed adeguato’, la prova contraria alla presunzione di distribuzione degli utili extracontabili della società.
Avverso la decisione della Corte di giustizia tributaria di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione l’Ufficio, affidandosi a due motivi.
I contribuenti hanno resistito con controricorso, eccependo preliminarmente l’inammissibilità del ricorso .
È stata, quindi, fissata l’adunanza camerale per il 14/04/2025.
Considerato che:
Con il primo motivo l’Ufficio deduce la «violazione dell’art. 2697 co. 2 c.c. , in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c.», conseguendone la nullità della decisione impugnata, per avere la CGT-2 affermato che i documenti prodotti dai contribuenti comproverebbero il mancato introito degli utili. Opina di contro che l’onere probatorio incombente sui soci, come tracciato dalla giurisprudenza di legittimità, non sarebbe stato assolto.
1.1. Il motivo è inammissibile sotto il profilo della asserita violazione dell’art. 2697 cod. civ.; la disamina operata dalla C GT-2 esclude la fondatezza della doglianza del l’Ufficio , la quale, ancorché proposta in termini di violazione di legge, si risolve in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice, tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia di fatto, certamente estranea alla natura e ai fini del giudizio di cassazione (Cass., Sez. U., 25/10/2013, n. 24148).
1.2. La violazione del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ. si configura unicamente nell’ipotesi in cui il giudice di merito abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, non anche quando il ricorrente intenda lamentare che, a causa di una incongrua
valutazione delle acquisizioni istruttorie, la sentenza impugnata abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata non avesse (o avesse) assolto tale onere (Cass., 21/03/2022, n. 9055).
Il giudice di merito, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass., 02/08/2016, n. 16056); la valutazione del compendio probatorio è preclusa a questa Corte, essendo riservata al giudice di merito al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr. Cass., 13/01/2020, n. 331; Cass., 04/08/2017, n. 19547; Cass., 04/11/2013, n. 24679; Cass., 16/12/2011, n. 27197; Cass., 07/02/2004 n. 2357).
1.3. Nella specie la CGT-2, sulla base della documentazione prodotta dai contribuenti, ha ritenuto assolto l’onere , incombente sui medesimi, della prova contraria alla presunzione di distribuzione degli utili extracontabili della società; in tal modo, non ha affatto violato il disposto dell’art. 2697 cod. civ., come dedotto dalla ricorrente Agenzia, che espressamente lamenta, sub specie di violazione della detta norma, il mancato assolvimento dell’onere della prova contraria da parte dei controricorrenti.
Con il secondo motivo l’Ufficio lamenta la «nullità della sentenza per omessa, carente e/o apparente motivazione, in violazione dell’art. 36 D .lgs. 546/1992, dell’art. 132 c.p.c. e dell’art.
111 Cost., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c.». Deduce, in particolare, che la CGT-2, posto il principio per cui il socio può contestare l’accertamento societario, anche se questo è divenuto definitivo, ove non abbia preso parte al relativo giudizio, avrebbe poi affermato che nella specie il contribuente aveva invano chiesto l’accesso agli atti relativi all’accertamento societario.
Il motivo è inammissibile, in quanto censura un mero obiter dictum della sentenza gravata. L’affermazione impugnata, infatti, è svolta ad adubdantiam senza nemmeno corroborare la ratio decidendi del rigetto del gravame dell’Ufficio (imperniata, si ripete, sull’assolvimento dell’onere probatorio incombente sul contribuente ed avente ad oggetto la dimostrazione della mancata distribuzione degli utili).
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte «in sede di legittimità, le censure rivolte avverso argomentazioni contenute nella motivazione della sentenza impugnata e svolte “ad abundantiam” o costituenti “obiter dicta” sono inammissibili per difetto di interesse, poiché esse, in quanto prive di effetti giuridici, non determinano alcuna influenza sul dispositivo della decisione» (da ultimo, Cass. 24/01/2025, n. 1770).
Il ricorso va, in definitiva, dichiarato inammissibile.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Rilevato che risulta soccombente l’Agenzia delle entrate, ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’articolo 13 comma 1quater del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della l. 228 del 2012 (Cass. 29/01/2016, n. 1778).
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore di NOME COGNOME NOME COGNOME ed NOME COGNOME, in solido, delle spese processuali del giudizio di
legittimità, che liquida in Euro 8.000,00, oltre esborsi liquidati in Euro 200,00, oltre rimb. spese forf. nella misura del 15% dei compensi, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 14 aprile 2025.