LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Presunzione distribuzione utili: la prova contraria

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 18797/2024, ha affrontato il tema della presunzione distribuzione utili nelle società a ristretta base sociale. Nel caso esaminato, un socio unico, residente all’estero e di fatto estraneo alla gestione aziendale affidata al padre, era stato raggiunto da un avviso di accertamento per utili non dichiarati. La Corte ha cassato la decisione di merito che non aveva adeguatamente valutato le prove fornite dal contribuente per dimostrare la sua estraneità e l’interposizione fittizia. È stato stabilito che il giudice deve esaminare tutti gli elementi probatori offerti per vincere la presunzione, non potendosi limitare a una constatazione apodittica.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 3 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Presunzione distribuzione utili: la Cassazione valorizza la prova contraria del socio

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 18797 del 9 luglio 2024, è intervenuta su un tema cruciale del diritto tributario: la presunzione distribuzione utili ai soci nelle società di capitali a ristretta base partecipativa. Questa pronuncia chiarisce l’importanza e l’onere della prova a carico del socio che si afferma estraneo alla gestione sociale, stabilendo che il giudice di merito non può ignorare gli elementi probatori offerti a sostegno di tale tesi.

Il caso: accertamento fiscale al socio unico ‘fittizio’

La vicenda trae origine da un avviso di accertamento per IRPEF notificato a un contribuente, socio unico di una S.r.l., per l’anno d’imposta 2001. L’Agenzia delle Entrate contestava la presunta distribuzione di utili extracontabili provenienti dalla società.

Il contribuente ha impugnato l’atto, sostenendo di essere un mero prestanome (‘interposizione fittizia’). In particolare, egli deduceva di:
– Essere residente negli Stati Uniti e completamente estraneo alla gestione della società.
– Aver acquisito la partecipazione a titolo gratuito.
– Non aver mai percepito utili, essendo l’intera attività gestita dal padre, amministratore unico e vero ‘dominus’ dell’impresa.

A riprova delle sue affermazioni, il contribuente produceva una dichiarazione sostitutiva del padre che confermava la sua estraneità e l’analisi dei conti correnti societari, da cui non risultavano movimenti a suo favore, bensì verso i conti personali dell’amministratore.

L’iter giudiziario precedente

La Commissione Tributaria Provinciale accoglieva il ricorso del contribuente. Tuttavia, la Commissione Tributaria Regionale ribaltava la decisione, accogliendo l’appello dell’Ufficio. Secondo i giudici di secondo grado, il contribuente non aveva fornito prova sufficiente dell’interposizione fittizia, né aveva intrapreso azioni legali contro l’amministratore, finendo per avallarne la gestione.

La presunzione distribuzione utili e l’onere della prova

Il fulcro della questione legale ruota attorno alla presunzione, consolidata in giurisprudenza, secondo cui gli utili non contabilizzati da una società a ristretta base sociale si considerano distribuiti ai soci. Tale presunzione si fonda sull’assunto che, in un contesto con pochi soci (spesso familiari), il controllo reciproco rende probabile la divisione dei profitti ‘in nero’.

La Corte di Cassazione, accogliendo i motivi di ricorso del contribuente, ha chiarito i seguenti punti:

1. Onere della Prova: La presunzione non inverte l’onere probatorio. L’amministrazione finanziaria deve dimostrare la pretesa sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti (nel caso di specie, la ristrettezza della base sociale). Spetta poi al contribuente fornire la prova contraria.
2. Contenuto della Prova Contraria: Il socio può vincere la presunzione dimostrando non solo che i maggiori ricavi sono stati accantonati o reinvestiti, ma anche provando la propria totale estraneità alla gestione e conduzione societaria.

La decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha censurato la sentenza della Commissione Tributaria Regionale per aver omesso completamente l’esame degli elementi istruttori forniti dal contribuente.

Le motivazioni

I giudici di legittimità hanno stabilito che la CTR ha errato nel limitarsi a una valutazione apodittica, senza verificare concretamente se le prove prodotte (dichiarazione del padre, analisi dei flussi bancari, residenza all’estero) fossero idonee a dimostrare l’estraneità del figlio alla gestione sociale e l’effettiva percezione degli utili da parte del solo padre-amministratore.

La mera considerazione della mancata azione di responsabilità civile contro l’amministratore è stata ritenuta insufficiente, specialmente alla luce del rapporto di parentela tra le parti. Il giudice di merito avrebbe dovuto, invece, procedere a una valutazione complessiva di tutti gli indizi per accertare se il socio fosse realmente solo un intestatario fittizio.

La Corte ha inoltre rigettato il ricorso incidentale dell’Agenzia delle Entrate, confermando che il contribuente non poteva essere soggetto a sanzioni per omessa dichiarazione, poiché i redditi contestati, se percepiti, sarebbero stati soggetti a ritenuta a titolo d’imposta, che esonera dall’obbligo di indicarli nella dichiarazione dei redditi.

Le conclusioni

L’ordinanza ha cassato la sentenza impugnata, rinviando la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Piemonte per un nuovo esame. Quest’ultima dovrà rivalutare il caso tenendo conto dei principi espressi dalla Cassazione, ovvero esaminando nel merito le prove offerte dal contribuente per superare la presunzione di distribuzione degli utili. Questa decisione rafforza la tutela del contribuente, ribadendo che le presunzioni tributarie, per quanto legittime, non possono tradursi in un giudizio superficiale che ignori le prove concrete offerte dalla parte.

Cos’è la presunzione di distribuzione degli utili nelle società a ristretta base sociale?
È un principio giurisprudenziale secondo cui, in società con pochi soci (spesso familiari), si presume che gli eventuali utili non contabilizzati (extracontabili) siano stati distribuiti tra i soci stessi, in proporzione alle loro quote di partecipazione.

Come può un socio dimostrare di non aver ricevuto utili non dichiarati?
Il socio può fornire la prova contraria dimostrando, alternativamente: 1) che i maggiori ricavi accertati alla società sono stati accantonati o reinvestiti nell’azienda; 2) la propria completa estraneità alla gestione e conduzione della società, provando che gli utili sono stati percepiti da altri (ad esempio, l’amministratore).

Un socio può essere sanzionato per omessa dichiarazione se non indica gli utili presunti?
No. Secondo la Corte, se tali redditi sono soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta (come nel caso dei dividendi), il contribuente è esonerato dall’obbligo di indicarli in dichiarazione. Di conseguenza, non può essere sanzionato per l’omissione, anche se la ritenuta non è stata di fatto operata dalla società.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati