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Presunzione distribuzione utili: la prova contraria

Un socio di una S.r.l. a base ristretta è stato oggetto di un accertamento fiscale per redditi non dichiarati, basato sulla presunzione di distribuzione degli utili extracontabili della società. La Corte di Cassazione ha chiarito che per superare tale presunzione distribuzione utili, il socio non può limitarsi a dimostrare di non aver ricevuto le somme sui propri conti correnti. È necessario, invece, provare che tali utili sono stati accantonati o reinvestiti dalla società stessa. La Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, annullando la decisione di merito che aveva erroneamente ritenuto sufficienti le prove fornite dal contribuente.

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Pubblicato il 10 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Presunzione Distribuzione Utili: La Cassazione Chiarisce la Prova Contraria per i Soci

La presunzione distribuzione utili extracontabili ai soci di società a ristretta base è un tema centrale nel diritto tributario, che genera un notevole contenzioso. Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione è tornata a fare chiarezza sui limiti e sulla natura della prova che il socio deve fornire per superare tale presunzione. La decisione sottolinea che non basta dimostrare di non aver percepito il denaro, ma è necessario provare dove quei fondi siano effettivamente finiti.

I Fatti di Causa: Dall’Accertamento al Ricorso in Cassazione

Il caso ha origine da un avviso di accertamento notificato a un socio, detentore di quasi il 50% delle quote di una S.r.l., con cui l’Agenzia delle Entrate recuperava a tassazione IRPEF un importo significativo per l’anno 2013. L’accertamento si fondava sulla presunzione che gli utili extracontabili accertati in capo alla società fossero stati distribuiti al socio.

Il contribuente impugnava l’atto, sostenendo che la presunzione non fosse supportata da elementi concreti. Mentre la Commissione Tributaria Provinciale dichiarava il ricorso inammissibile, la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado riformava la decisione. I giudici d’appello ritenevano che l’Ufficio non avesse fornito elementi indiziari sufficienti e che, al contrario, il contribuente avesse offerto una ‘dimostrazione idonea’ a vincere la presunzione, depositando cedolini paga ed estratti conto.

Contro questa sentenza, l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidandosi a un unico motivo.

La Presunzione Distribuzione Utili e i suoi Presupposti

La Suprema Corte, nell’accogliere il ricorso dell’Agenzia, ha ribadito i principi consolidati in materia. La giurisprudenza di legittimità è pacifica nell’affermare che la presunzione di attribuzione ai soci degli utili extracontabili di una società di capitali a ristretta base partecipativa è legittima e si fonda su due presupposti:

1. La ristretta base societaria: un numero limitato di soci (familiari o meno) implica un vincolo di solidarietà e un controllo reciproco sulla gestione, rendendo plausibile che tutti siano a conoscenza degli affari sociali, inclusa l’esistenza di profitti non dichiarati.
2. L’esistenza di un valido accertamento a carico della società: la presunzione a carico del socio sorge come conseguenza diretta dell’accertamento di maggiori ricavi in capo alla società.

Una volta che questi due elementi sono presenti, scatta la presunzione e l’onere della prova si sposta interamente sul contribuente.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha chiarito due aspetti fondamentali, censurando l’operato dei giudici di secondo grado.

In primo luogo, ha specificato che la presunzione non necessita di ulteriori elementi indiziari da parte dell’Amministrazione Finanziaria. Non è richiesto, ad esempio, che l’Ufficio analizzi le movimentazioni bancarie del socio o dimostri acquisti di beni di valore non giustificati dal reddito dichiarato. La ristrettezza della compagine sociale e l’accertamento societario sono, di per sé, sufficienti a costituire il ‘fatto noto’ da cui dedurre la distribuzione.

In secondo luogo, e questo è il punto cruciale, la Corte ha definito i confini della prova contraria che il socio è tenuto a fornire. Il socio non può limitarsi a riproporre le doglianze già sollevate dalla società nell’altro giudizio, né può semplicemente dimostrare la propria estraneità finanziaria tramite estratti conto. La prova idonea a vincere la presunzione deve avere un oggetto specifico: dimostrare che i maggiori ricavi accertati non sono stati distribuiti, ma sono stati invece accantonati o reinvestiti dalla società.

Di conseguenza, la CGT ha errato nel ritenere sufficienti i cedolini paga e gli estratti dei conti correnti del socio, poiché tali documenti non provano in alcun modo la destinazione che gli utili extracontabili hanno avuto all’interno del patrimonio societario.

Conclusioni

La decisione della Cassazione rafforza un orientamento già consolidato e invia un messaggio chiaro ai soci di società a ristretta base. In caso di accertamento di utili extracontabili a carico della società, la difesa del singolo socio non può basarsi sulla mera dimostrazione di non aver intascato personalmente le somme. Per superare la presunzione distribuzione utili, è indispensabile fornire prove concrete che attestino che quei fondi sono rimasti nel perimetro aziendale, ad esempio attraverso delibere di accantonamento a riserva o documenti che comprovino il loro reimpiego in attività produttive. In assenza di tale prova, la presunzione diventa quasi insuperabile, con conseguente tassazione del reddito in capo al socio.

Che cos’è la presunzione di distribuzione degli utili in una società a ristretta base?
È una regola giuridica secondo cui, in una società con pochi soci, si presume che gli eventuali profitti non dichiarati al fisco siano stati divisi tra i soci stessi, i quali vengono di conseguenza tassati individualmente su quelle somme.

Quale prova deve fornire un socio per contestare questa presunzione?
Il socio deve dimostrare che gli utili non dichiarati non sono stati distribuiti, ma sono stati invece accantonati (messi da parte come riserve) o reinvestiti all’interno della società. Non è sufficiente provare di non aver ricevuto il denaro sul proprio conto corrente.

L’Agenzia delle Entrate deve fornire prove aggiuntive per supportare la presunzione a carico del socio?
No. Secondo la Corte di Cassazione, per far scattare la presunzione sono sufficienti due condizioni: l’esistenza di un accertamento fiscale valido nei confronti della società e la natura ‘a ristretta base’ della compagine sociale. Non sono necessari ulteriori elementi di prova da parte dell’Ufficio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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