Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 16816 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 16816 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/06/2025
Oggetto: Società di capitali a ristretta base – Distribuzione degli utili tra i soci – IRPEF 2009 – Presunzione prova contraria – Oggetto – Estraneità alla gestione sociale
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 13578/2020 R.G. proposto da:
NOME COGNOME rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale a margine del ricorso, dall’ Avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio legale tributario RAGIONE_SOCIALE
– ricorrente –
Contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , con sede in Roma, INDIRIZZO C/D, domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato dalla quale è rappresentata e difesa ope legis ;
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Liguria, n. 1070/02/2019, depositata il 18 settembre 2019.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 6 maggio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
Uditi per l a ricorrente l’Avv. NOME COGNOME e per l ‘Agenzia delle entrate l’avvocato dello Stato NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME impugnava l’avviso di accertamento n. TL3013100771/2014, con il quale veniva imputato alla ricorrente, nella sua veste di socia al 50% delle quote della società RAGIONE_SOCIALE a ristretta base, e, quindi, recuperato a tassazione, ai fini IRPEF per l’anno 20 09, il reddito pari ad Euro 1.039.676,00. Nell’avviso veniva precisato che alla società era stato notificato altro atto (n. TL3032600930 /2013) con il quale l’Ufficio aveva accertato un maggior reddito di impresa (per quasi 4 milioni di Euro), per effetto del disconoscimento di alcuni costi per operazioni inesistenti e portati in deduzione dall’ente.
La contribuente deduceva la violazione dell’art. 43 d.P.R. n. 600/1973, poiché per il medesimo anno di imposta aveva ricevuto altro avviso, poi annullato in autotutela dall’Ufficio, ed il difetto di preventivo contraddittorio; lamentava, poi, che l’Agenzia delle e ntrate aveva fondato l’avviso di accertamento sul principio di presunzione di distribuzione ai soci degli utili non contabilizzati, presunzione nella specie superata dalla estraneità della ricorrente alla gestione sociale.
La Commissione tributaria provinciale di Genova sospendeva il giudizio in attesa della definizione dell’impugnativa dell’avviso di accertamento societario, poi dichiarata inammissibile dalla CTP perché tardiva; riassunto il giudizio, la CTP rigettava il ricorso della contribuente.
Interposto gravame dalla contribuente, la Commissione tributaria regionale della Liguria confermava la sentenza di primo grado; in particolare, riteneva: a) correttamente esercitato il potere di autotutela da parte dell’Ufficio; b) non violato il principio del
contraddittorio preventivo, in quanto non previsto dalla legge nella specie; c) non fornita dalla contribuente la prova contraria alla presunzione di distribuzione degli utili extracontabili della società a ristretta base partecipativa.
Avverso la decisione della CTR ha proposto ricorso per cassazione la contribuente, affidandosi a nove motivi. L’Ufficio ha resistito con controricorso.
Fissata l’udienza pubblica per il 06/05/2025, il Sostituto Procuratore Generale, nella persona del dr. NOME COGNOME ha depositato memoria scritta con cui ha chiesto accogliersi il primo ed il quarto motivo di ricorso, rigettarsi il terzo, assorbiti gli altri.
All’udienza pubblica del 06/05/2025 il Sostituto Procuratore Generale ha ribadito le conclusioni già rese con la memoria, l’avvocato della contribuente ha chiesto accogliersi il ricorso e l’avvocato dello Stato ha chiesto il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. «la nullità della sentenza ai sensi degli artt. 1, comma 2 e 36 del d. Lgs. 546/92, nonché 132, comma 1, n. 4) c.p.c. e 118 disp. att. del c.p.c.». La sentenza gravata sarebbe sorretta da una motivazione meramente apparente, difettando dei requisiti indicati ai nn. 2, 3 e 4 dell’art. 36 del d.lgs. n. 546/1992, in particolare del contenuto: dell’avviso di accertamento; del ricorso in primo grado e delle difese dell’Ufficio; della sentenza di primo grado; dell’appello dell’Ufficio e delle difese del contribuente. Mancano, secondo la ricorrente, gli elementi minimi per comprendere la materia del contendere e le contrapposte posizioni delle parti.
Il motivo è infondato.
1.1. Giova premettere che secondo la giurisprudenza di questa Corte «la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc.
civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione» (Cass., Sez. U., 07/94/2014 n. 8053).
Inoltre, la motivazione è solo «apparente» e la sentenza è nulla quando benché graficamente esistente, non renda percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. Sez. U. n. 8053/2014 cit.).
Si è, più recentemente, precisato che «in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconcilianti, o risulti perplessa ed obiettivamente
incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali» (Cass. 03/03/2022, n. 7090).
1.2. L’aporia , in definitiva, non è denunciabile come vizio della motivazione, salvo che trasmodi in motivazione parvente o inconciliabile; nella specie la motivazione, pur in mancanza della esposizione specifica ed analitica del decisum di primo grado e delle posizioni delle parti nei due gradi di merito, non può dirsi apparente, essendo in ogni caso chiaro l’oggetto del contendere , salvo quanto si dirà in sede di esame del quinto motivo relativo all’ulteriore doglianza in punto di motivazione della sentenza.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. «la violazione e/o falsa applicazione degli art. 2-quater del DL n. 564/1994, in combinato disposto con l’art. 2 del DM n. 37/1997. Violazione de lla leale collaborazione e del legittimo affidamento, ex art. 10 dello Statuto del contribuente (Legge n. 212/2000) e art. 21-nonies della legge sul procedimento amministrativo (Legge n. 241/1990), nonché dell’art. 43 DPR 600/1973». Afferma che un primo avviso di accertamento, sostanzialmente identico a quello impugnato, le era stato notificato e, in pendenza del relativo giudizio, l’Ufficio lo aveva annullato in via di autotutela, per vizi formali (in particolare, per l’omessa allegazione del pvc e del pre gresso avviso di accertamento societario). L’Ufficio aveva quindi notificato l’avviso, oggetto del presente giudizio, sanando i precedenti vizi, ovvero allegando all’atto il pvc e l’avviso societario. Di qui la violazione dell’affidamento della contribuent e, sorto per effetto dell’annullamento in via di autotutela del primo avviso, e del principio di leale cooperazione e collaborazione fissato nell’art. 12 dello statuto del contribuente.
Il motivo è infondato.
La CTR, in modo pienamente condivisibile, ha ritenuto correttamente esercitato l’esercizio, da parte dell’Agenzia, del potere di autotutela, per il tramite della rimozione del primo avviso per vizi
formali (mancata allegazione del pvc e dell’avviso di accertamento societario), senza che tale annullamento abbia potuto ingenerare un affidamento in capo alla contribuente circa la mancata adozione di altro atto, epurato dai detti vizi. Invero, gli unici limiti che l’art. 43 d.P.R. n. 600/1973 pone all’esercizio dell’autotutela riguardano il rispetto del termine di decadenza (profilo, nella specie, nemmeno denunciato) e la preclusione del giudicato sostanziale eventualmente intervenuto sull’atto.
Con il terzo motivo la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. «la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 12, comma 7 della L. 212/2000, dell’art. 6, terzo comma, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e dell’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea». Sostiene, in particolare, che, contrariamente a quanto ritenuto dalla CTR, nella specie era necessario assicurare il contraddittorio endoprocedimentale con il contribuente; richiama, all’uopo, la giurisprudenza nazionale ed unionale formatasi in materia di tributi armonizzati.
Il motivo è infondato.
3.1. Almeno sino al d.lgs. n. 219 del 30 dicembre 2023 che ha introdotto nello Statuto del contribuente (legge n. 212/2000) l’art. 6bis, rubricato ‘principio del contraddittorio’, è mancato, al di fuori delle fattispecie normative in cui fosse espressamente previsto, un obbligo generale, in capo all’amministrazione finanziaria, di attivare il contraddittorio endoprocedimentale con il contribuente.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale non poteva ricavarsi dalla previsione dell’art. 12, comma 7, della legge n. 212/2000, la cui applicazione è limitata, secondo il suo tenore testuale, ai soli accertamenti conseguenziali ad accessi, ispezioni e verifiche presso i luoghi di riferimento del contribuente con esclusione delle verifiche ‘a tavolino’ ( ex multis , Cass. 13/12/2022, n. 36502 e Cass. 29/07/2022, n. 23729).
Vi sono, poi, disposizioni specifiche che prescrivono l’interlocuzione preventiva con il contribuente con modalità ed effetti diversamente declinati: ad es., l’art. 38, comma 7, d.P.R. n. 600/1973, in relazione alla determinazione sintetica del reddito delle persone fisiche (a partire, però, dall’anno di imposta 2009, per effetto della modifica operata con il d.l. n. 78/2010), e l’art. 10, comma 3bis, l. 146/1998 in tema di studi di settore.
Nell’ambito del diritto eurounionale, invece, l’obbligo generale di attivazione del contraddittorio in capo all’Amministrazione rappresenta un principio pienamente acquisito; l’orientamento espresso al riguardo dalla Corte di Giustizia Europea in plurime pronunce ( ex multis 24/02/2022 in causa C-582/20, RAGIONE_SOCIALE ma già 03/07/2014 in cause riunite C-129/13 e C-130/13, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, è stato recepito dal giudice nazionale, il quale riconosce che i principi fondamentali del diritto europeo impongono, nell’ambito dei cosiddetti ‘tributi armonizzati’, ove ha ‘luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione’, un generale obbligo dell’amministrazione di instaurare un’interlocuzione preve ntiva con il contribuente, la cui inosservanza può portare all’invalidità dell’atto impositivo, ma solo quando quest’ultimo assolve alla ‘prova di resistenza’ (Cass. Sez. U. 09/12/2015, n. 24823 e, nella giurisprudenza successiva, ex multis , Cass. 01/04/2021, n. 9076 e Cass. 06/04/2020, n. 7690).
In definitiva, al di fuori delle ipotesi specifiche e dei tributi cd. armonizzati, non sussiste l’obbligo, in capo all’amministrazione finanziaria, del contraddittorio preventivo con il contribuente (da ultimo, Cass. 22/03/2024, n. 7829).
3.2. Correttamente nella specie la CTR ha ritenuto non necessario il contraddittorio preventivo, non vertendosi in materia di tributi armonizzati né in una delle ipotesi in cui è obbligatorio ex lege .
Con il quarto motivo la ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. «la violazione e/o
falsa applicazione degli artt. 2727, 2728, 2729 e 2697 del c.c. e dell’art. 38 del DPR 600/1973 » per avere la CTR ritenuto non fornita dalla contribuente la prova contraria della presunzione di distribuzione degli utili extracontabili ai soci di una società di capitali a ristretta base, presunzione nella specie avvalorata dalla circostanza che soci della società erano la contribuente ed il di lei padre. Sostiene, di contro, di aver fornito la prova della propria estraneità alla gestione societaria, elemento idoneo ad integrare la suddetta prova contraria. In particolare, ‘era stata data ampia dimostrazione dell’estraneità della sig.ra COGNOME all’esercizio dell’attività d’impresa, dando prova che lavorava e risiedeva in Svezia sin dal 2009′ (pag. 27 del r icorso), che si era laureata a Genova in fisica nucleare ed aveva lavorato quasi sempre all’estero.
Con il quinto motivo la contribuente denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. «la nullità della sentenza per violazione degli artt. 36, comma 2, e 61 D.Lgs. 31.12.1992, n. 546, in riferimento all’omessa motivazione in materia di prova contraria». In particolare, la CTR avrebbe motivato in maniera apodittica ‘la mancanza di prova contraria’, limitandosi ad affermare che la contribuente nella specie non aveva fornito detta prova, a fronte della presunzione di distribuzione degli utili extracontabili della società, senza esplicitare il ragionamento seguito, nonostante la copiosa documentazione depositata dalla ricorrente (sugli studi compiuti e sull’attività svol ta prevalentemente all’estero) al fine di dimostrare la propria estraneità alla gestione societaria.
Con il sesto motivo la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. «la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2729 del c.c., mancanza dei requisiti di gravità, precisione e concordanza delle presunzioni ‘semplici’. Violazione dell’art. 38 del DPR n. 600/73, sempre in merito alla valutazione delle presunzioni ‘semplici’ » per avere la CTR
erroneamente rigettato l’eccezione di violazione del divieto di doppia presunzione.
Con il settimo motivo la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. «la nullità della sentenza per omessa pronuncia (violazione dell’art. 112 del c.p.c.)» sull’eccezione, ritualmente riproposta in appello, relativa alla violazione de ll’art. 10 della Convenzione internazionale contro le doppie imposizioni tra Italia e Svezia.
Con l’ottavo motivo la ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. «la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 7, comma 4, D. Lgs. 546/92 e dell’art. 2697 c.c.» per avere la CTR ritenuto le dichiarazioni testimoniali contenute nel pvc idonee a supportare le contestazioni, in punto di fittizietà delle operazioni societarie, avanzate nell’avviso di accertamento.
Con il nono motivo la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. «la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 38 DPR 600/9173» per avere la CTR ritenuto esistenti utili extracontabili della società.
Motivi di ordine logico-giuridico impongono l’esame, in via prioritaria, del quarto e del quinto motivo.
Le doglianze sono fondate.
10.1. Invero, secondo la pacifica giurisprudenza di legittimità, in tema di accertamento delle imposte sui redditi nel caso di società di capitali che presenti una ristretta base partecipativa, è legittima la presunzione (semplice) di attribuzione ai soci partecipanti alla società degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà per il contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non siano stati oggetto di distribuzione, ma siano stati, invece, accantonati dalla società, ovvero da essa reinvestiti, non essendo comunque a tal fine sufficiente la mera deduzione che l’esercizio sociale ufficiale si sia concluso con perdite contabili ( ex multis , Cass. 22/11/2017, n. 27778; da ultimo, Cass. 06/06/2024, n.
15895/2024). Ciò vale anche nelle ipotesi di assenza di rapporti di parentela, in quanto la ristrettezza della base sociale implica di per sé un elevato grado di compartecipazione dei soci, e dunque la conoscenza degli affari sociali e la consapevolezza de ll’esistenza di utile extrabilancio, consentendo di riconoscere sussistenti, ai fini della prova presuntiva, i requisiti richiesti dall’art. 2729 cod. civ..
Tale meccanismo probatorio non si pone in contrasto con il divieto di presunzione di secondo grado, in quanto il fatto noto non è dato dalla sussistenza di maggiori redditi accertati induttivamente nei confronti della società, bensì dalla ristrettezza dell ‘assetto societario, che implica un vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci nella gestione sociale, con la conseguenza che, una volta ritenuta operante detta presunzione, spetta poi al contribuente fornire la prova contraria (Cass. 24/01/2019, n. 1947).
La detta presunzione, in altri termini, non va corroborata da altri elementi indiziari; in particolare non occorre che l’accertamento emesso nei confronti dei soci risulti fondato anche su elementi di riscontro tesi a verificare, attraverso l’analisi delle loro movimentazioni bancarie, l’intervenuto acquisto di beni di particolare valore, non giustificabili sulla base dei redditi dichiarati (Cass. 11/08/2020, n. 16913).
7.2. Circa il contenuto della prova contraria è opportuno ripercorrere, in breve, l’evoluzione giurisprudenziale, fino agli arresti più recenti di questa Corte.
7.2.1. In un primo tempo, questa Corte ha individuato il contenuto della prova contraria a carico dei soci nella (sola) dimostrazione che i maggiori ricavi dell’ente siano stati accantonati o reinvestiti ( ex plurimis , Cass. n. 18032/2013, Cass. n. 24534/2017, Cass. n. 29412/2017, Cass. n. 32959/2018), prova che il contribuente può fornire anche nel suo ruolo di titolare meramente formale delle quote, ma estraneo di fatto alla gestione societaria, perché comunque il ruolo formale permetterebbe, se del caso, di accedere ai libri sociali per acquisire elementi a tal fine.
7.2.2. Successivamente, si è riconosciuta la possibilità per il socio di vincere la presunzione di distribuzione degli utili extra bilancio, dando la dimostrazione della propria estraneità alla gestione e conduzione societaria, avendo ricoperto un ruolo meramente formale di semplice intestatario delle quote sociali, senza avere concretamente svolto alcuna delle attività di gestione e controllo riservate dalla legge (e dallo statuto) al socio della società a responsabilità limitata ( ex plurimis , Cass. 07/06/2024, n. 15991; Cass. 04/03/2022, n. 7170; Cass. 15/09/2021, n. 24870; Cass. 01/12/2020, n. 27445; Cass. 24/07/2020, n. 15895; Cass. 09/07/2018, n. 18042/2018; Cass. 14/07/2017, n. 17461).
7.2.3. Il collegio è consapevole dell’esistenza di arresti anche recenti (Cass. sent. 29/07/2024, n. 21158) che ribadiscono la tesi tradizionale secondo cui il contribuente non può limitarsi a denunciare la propria estraneità alla gestione e conduzione societaria, ma può solo dimostrare, eventualmente anche ricorrendo alla prova presuntiva, che i maggiori ricavi non sono stati effettivamente realizzati dalla società e che quest’ultima non li ha distribuiti, ma accantonati o reinvestiti, ovvero che degli stessi se ne è appropriato altro sog getto, perché una ulteriore ‘agevolazione probatoria’ colliderebbe con le ragioni che legittimano la presunzione posta dalla ristretta base sociale e ne svuoterebbe il contenuto.
7.2.4. Tuttavia, in questa sede, si intende ribadire la tesi emersa più di recente -da ultimo confermata da Cass. 09/07/2024, n. 18764, e Cass. 10/10/2024, n. 26473 -che ammette, come prova contraria alla presunzione di distribuzione degli utili extra bilancio, anche la dimostrazione dell’assoluta estraneità del socio alla gestione e conduzione societaria. Ciò, infatti, non collide affatto con la ragione dell’operati vità della presunzione in parola, che si fonda appunto sulla massima di comune esperienza che, dalla ristrettezza della base sociale, inferisce un elevato grado di compartecipazione dei soci alla gestione della società e di reciproco controllo tra i soci medesimi. Una volta dimostrata, a dispetto della ristretta base
sociale, l’assoluta estraneità del socio alla gestione e alla vita stessa della società, la suddetta massima di esperienza perde il suo rilievo probatorio e non consente più di ritenere legittima la presunzione di distribuzione degli utili extracontabili in favore di tutti i soci.
7.2.5. Il problema, dunque, si sposta sul piano della prova dell’estraneità assoluta del socio alla gestione e alla vita della società, che deve essere precisa e rigorosa.
7.3. Nella specie la CTR ha ritenuto non fornita la prova contraria (tra l’altro, limitata esclusivamente alla mancata distribuzione degli utili), da parte della contribuente, senza minimamente indicare le ragioni di tale conclusione, nonostante la documentazione fornita circa lo svolgimento di un’attività completamente diversa da quella d’impresa della società (svolta prevalentemente all’estero) e la residenza all’estero.
7.4. L’accoglimento del quarto e del quinto motivo comporta l’assorbimento degli altri motivi non esaminati.
La sentenza gravata va, quindi, cassata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Liguria, che, in diversa composizione, procederà a nuovo esame in relazione alle censure accolte ed alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il quarto motivo ed il quinto di ricorso, rigettati i primi tre ed assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Liguria, che, in diversa composizione, procederà a nuovo esame in relazione alla censura accolta e provvederà alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 6 maggio 2025.