Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 1969 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 1969 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 28/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato ;
– ricorrente
–
contro
COGNOME NOME COGNOME
– intimato
–
avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Veneto, n. 1431/25/2015 depositata il 17 settembre 2015.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12 dicembre 2024 dal consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1.L’Agenzia delle entrate emetteva avviso di accertamento in riferimento all’anno d’imposta 2006 per recupero di maggiori imposte dirette, derivanti da utili extrabilancio percepiti dal contribuente, qual socio (insieme a tale NOME COGNOME) di RAGIONE_SOCIALE, a sua volta socia della ‘RAGIONE_SOCIALERAGIONE_SOCIALE, cui gli utili si riferivano.
L’imputazione derivava dal fatto che quest’ultima società era a ristretta base sociale.
Società a ristretta basepresunzione distribuzione utili extracontabili
La CTP accoglieva il ricorso, e la CTR respingeva l’appello proposto dall’ufficio.
L’Agenzia, quindi, propone ricorso in cassazione affidato a unico motivo, mentre il contribuente è rimasto intimato.
CONSIDERATO CHE
1.Con l’unico motivo la difesa erariale deduce violazione degli artt. 2727 c.c., 3 e 53 Cost., avendo a suo dire erroneamente la CTR ritenuto la violazione del divieto di doppia presunzione, non potendosi presumere in capo al contribuente la percezione di utili non già prodotti dalla società cui egli partecipa, RAGIONE_SOCIALE, bensì prodotti da quella cui quest’ultima partecipa a sua volta, cioè la RAGIONE_SOCIALE
1.1. La ratio decidendi della sentenza impugnata si identifica nell’affermazione dell’illegittimità dell’utilizzazione da parte dell’Erario di una doppia presunzione di distribuzione di utili, piuttosto dovendo l’erario dimostrare prima la percezione degli utili occulti da parte di RAGIONE_SOCIALE siccome prodotti dalla RAGIONE_SOCIALE
Dunque, non vi sarebbe stata idonea dimostrazione, da parte dell’erario, delle modalità di trasmissione del detto utile dall’una all’altra società di capitali.
Tale affermazione però, come già deciso in relazione alla medesima vicenda pur relativa a differenti soggetti (Cass. 13841/21) non è in linea con il costante orientamento di questa Corte (Sez. 5, Sentenza n. 13338 del 10/06/2009; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 24572 del 18/11/2014; Sez. 5, Ordinanza n. 33976 del 19/12/2019 Sez. 5, Sentenza n. 29503 del 24/12/2020) che insegna che la presunzione di riparto degli utili extrabilancio tra i soci di una società di capitali a ristretta base partecipativa, non è neutralizzata dallo schermo della personalità giuridica, ma estende la sua efficacia a tutti i gradi di organizzazione societaria per i quali si riscontri la ristrettezza della compagine sociale, operando il
principio generale del divieto dell’abuso del diritto, che trova fondamento nei principi costituzionali di capacità contributiva e di eguaglianza, nonché nella tendenza all’oggettivazione del diritto commerciale ed all’attribuzione di rilevanza giuridica all’impresa, indipendentemente dalla forma giuridica assunta dal suo titolare. A ciò si deve aggiungere che, secondo altro condivisibile orientamento di questa Corte (Sez. 6-5, 23 ottobre 2019, n. 27049 e Sez. 5, 10 giugno 2009, n. 13338) la presunzione di distribuzione degli utili occulti va estesa anche a quegli ulteriori livelli di partecipazione (in tesi ristretta) per il tramite di altre società. Va poi ricordato che tale interpretazione è adottata anche in ossequio alla Raccomandazione UE 2012/772 (§4.2 e §4.4), circa la necessità di un intervento degli Stati ove si riscontri «una costruzione di puro artificio o una serie artificiosa di costruzioni che sia stata posta in essere essenzialmente allo scopo di eludere l’imposizione».
Orbene deve osservarsi che tale interpretazione si estende anche all’ipotesi in esame, in cui la ristretta base partecipativa riguarda il rapporto tra due società di capitali, come sono nel caso di specie la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE È ben vero, infatti che, secondo le previsioni generali del diritto societario, qualora la partecipazione sia detenuta da una società di capitali, la dimostrazione dell’avvenuta distribuzione dell’utile è affidata non già alla presunzione legata alla ristrettezza della partecipazione medesima, bensì al riscontro dell’avvenuta contabilizzazione nel bilancio della partecipazione stessa, in termini di incremento patrimoniale dell’attivo circolante. Tanto si verifica poiché, sempre il diritto comune delle società, qualora i soci siano persone fisiche non sono tenuti ad alcuna contabilità obbligatoria, e ciò rende legittimo presumere, fino a prova contraria, che la ristretta dimensione sociale abbia determinato l’automatica distruzione dell’utile occulto tra i soci medesimi. Ciò che ancora
deriva dalla medesima disciplina prevista per le società di persone – ove tipologicamente non v’è distinzione tra patrimonio sociale e patrimonio dei singoli soci. Tuttavia, a tali ipotesi, e sempre in applicazione del diritto generale delle società, può accomunarsi anche l’eventualità che la società a ristretta base partecipativa sia una s.r.l. Invero, la tendenza legislativa degli ultimi venti anni è nel senso dell’accentuazione della natura personalistica della s.r.l., ove la persona del socio è fondamentale per garantire la fiducia che il mercato deve riporre nel sodalizio al fine di assicuragli affidabilità e, quindi, capacità di resilienza sul mercato. Le predette considerazioni, quindi, già sulla base del solo diritto societario comune, legittimerebbero l’assimilazione della RAGIONE_SOCIALE alle società di persone nella questione che ne occupa, atteso che la struttura stessa della predetta società è tale per cui il socio conosce tutte le vicende societarie e, qualora la base partecipativa sia ristretta, fa scattare una serie di presunzioni. Tra queste presunzioni vi è anche quella che, in presenza di utili extracontabili, si ritiene che gli stessi, proprio perché non contabilizzati, siano stati distribuiti tra i pochi soci della s.r.l. Tanto, ovviamente, può essere contrastato dal socio, cui però spetta l’onere di provare il fatto contrario, ovvero che l’utile non si sia prodotto. Occorre, a questo punto, aggiungere le specificità del diritto tributario, ben sunteggiate nelle citate sentenze di questa Corte, che hanno evidenziato come, in ogni caso, la disciplina tributaria si ponga come un sistema speciale rispetto a quella del diritto comune delle società e, nella fattispecie, legittimi la presunzione di distribuzione dell’utile extracontabile anche sotto la specifica prospettiva del divieto dell’abuso del diritto, che si verificherebbe ove si ritenesse che la mancata contabilizzazione dell’utile costituisca dimostrazione della assenza di distribuzione tra i soci. Va, per completezza, aggiunto che nella specie non si tratta di applicare una doppia presunzione, ipotesi che la consolidata giurisprudenza di questa Corte (Sez. 5, Ordinanza n.
27982 del 2020; Id. n. 23860 del 2020; id. n. 5798 del 2020; id. n. 33961 del 2019; id. n. 33042 del 2019; id. n. 20748 del 2019; id. n. 19171 del 2019; id. n. 7758 del 2019; id. n. 32458 del 2018; id. n. 32454 del 2018; id. n. 25445 del 2018; id. n. 15003 del 2017) ha ritenuto insussistente, giacché la presunzione è una sola: quella di distribuzione dell’utile extra-bilancio tra i soci a ristretta base partecipativa. Sono, quindi, gli effetti di questa unica presunzione che, nella specie, hanno una doppia conseguenza: ovvero si estendono non solo a far ritenere distribuito l’utile extra-bilancio creato dalla prima società (la RAGIONE_SOCIALE, alla RAGIONE_SOCIALE (socio all’85%), e poi ulteriormente distribuito ai soci di quest’ultima in proporzione alla loro quota di partecipazione.
Il ricorso dev’essere dunque accolto, la sentenza impugnata va conseguentemente cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, decidendo nel merito dev’essere respinto il ricorso introduttivo proposto dal contribuente.
Le spese di questo giudizio gravano sull’intimato soccombente mentre quelle relative ai gradi di merito vanno compensate tra le parti.
P. Q. M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, respinge il ricorso introduttivo proposto da parte contribuente
Condanna l’intimato al pagamento in favore dell’Agenzia delle entrate delle spese di questo giudizio che liquida in € 2 .300,00, oltre spese prenotate a debito.
Dichiara compensate tra le parti le spese relative ai gradi di merito. Così deciso in Roma, il 12 dicembre 2024