Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 30596 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 30596 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 27/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26080/2016 R.G. proposto da COGNOME, elettivamente domiciliato in Roma alla INDIRIZZO presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso gli uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato, dalla quale è rappresentata e difesa ope legis
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DELLA CAMPANIA n. 3033/16 depositata il 29 marzo 2016
Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 17 ottobre 2024 dal Consigliere COGNOME NOME
FATTI DI CAUSA
La Direzione Provinciale II di Napoli dell’RAGIONE_SOCIALE emetteva nei confronti della RAGIONE_SOCIALE,
esercente l’attività di commercio al dettaglio di confezioni per adulti, un avviso di accertamento con il quale, constatato che la predetta società aveva omesso di presentare le prescritte dichiarazioni fiscali relative all’anno 2007, pur avendo realizzato una plusvalenza di 1.050.000 euro per effetto della cessione a terzi di un immobile strumentale, determinava con metodo analitico il reddito d’impresa dalla stessa prodotto in tale periodo.
L’atto impositivo diventava definitivo in mancanza di tempestiva impugnazione.
Successivamente il medesimo Ufficio notificava al socio NOME COGNOME, titolare di una quota pari al 50% del capitale, un distinto avviso di accertamento mediante il quale recuperava a tassazione, ai fini dell’IRPEF, il maggior reddito da partecipazione da lui asseritamente conseguito in quell’anno, applicando a suo sfavore la presunzione di distribuzione degli utili non contabilizzati ai soci di una società di capitali a ristretta base partecipativa.
Il COGNOME impugnava l’avviso di accertamento a lui personalmente rivolto dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Napoli, che respingeva il suo ricorso.
La decisione veniva successivamente confermata dalla Commissione Tributaria Regionale della Campania, la quale, con sentenza n. 3033/16 del 29 marzo 2016, rigettava l’appello della parte privata.
A fondamento della pronuncia resa, per quanto in questa sede ancora interessa, il collegio regionale osservava che: -la ristretta base partecipativa della RAGIONE_SOCIALE, nonché il vincolo di solidarietà e di reciproco controllo fra i soci, costituivano elementi noti dai quali poteva desumersi in via presuntiva il fatto ignoto rappresentato dalla distribuzione ai soci dei dividendi non dichiarati dal sodalizio; -i soci risultavano privi di legittimazione ad impugnare l’avviso di accertamento emesso nei confronti della società, che soltanto ad essa era stato correttamente notificato.
Avverso tale sentenza il COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
L’RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso. La causa è stata avviata alla trattazione in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380 -bis .1 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Va pregiudizialmente affermata la tempestività del controricorso proposto dall’RAGIONE_SOCIALE.
1.1 Valgano, in proposito, i rilievi di sèguito svolti, basati sull’esame diretto degli atti contenuti nel fascicolo processuale.
1.2 In virtù del combinato disposto degli artt. 369, comma 1, e 370, comma 1, c.p.c. -nel testo, applicabile «ratione temporis» , vigente anteriormente alle modifiche apportate dall’art. 3, comma 27, lettere e) -f), del D. Lgs. n. 149 del 2022 -, il termine per la notificazione del controricorso scadeva il 12 dicembre 2016, essendo la notifica del ricorso avvenuta il 2 novembre di quello stesso anno.
1.3 In data 6 dicembre 2016 l’atto in discorso fu consegnato all’ufficiale giudiziario, il quale, il giorno successivo, esperì un tentativo di notifica all’indirizzo di INDIRIZZO in Roma, corrispondente al domicilio eletto dal COGNOME nel ricorso per cassazione (studio dell’AVV_NOTAIO).
1.4 Stante l’esito negativo di tale tentativo, il procedimento notificatorio fu prontamente riattivato e si perfezionò il 15 dicembre 2016 mediante la consegna di copia del controricorso nelle mani di persona qualificatasi «dipendente addetto alla ricezione atti» ; consegna effettuata all’indirizzo di INDIRIZZO in Roma, individuato dal notificante come nuova sede dello studio del domiciliatario.
1.5 Ciò posto, giova rammentare che, per giurisprudenza di questa Corte, qualora la notificazione di un atto processuale, da effettuarsi entro un termine perentorio, non si concluda positivamente per
circostanze non imputabili al richiedente, questi ha la facoltà e l’onere -anche alla luce del principio della ragionevole durata del processo, atteso che la richiesta di un provvedimento giudiziale comporterebbe un allungamento dei tempi della causa -di sollecitare l’ufficiale giudiziario alla ripresa dell’attività notificatoria.
1.6 Ove tale ripresa intervenga entro un termine ragionevolmente contenuto -considerati i tempi occorrenti, secondo la comune diligenza, per conoscere l’esito infruttuoso del precedente tentativo e per assumere le ulteriori informazioni conseguentemente necessarie (cfr. Cass. Sez. Un. n. 17352/2009, Cass. n. 16943/2018, Cass. n. 17106/2022) -, la notifica avrà effetto dalla data iniziale di attivazione del relativo procedimento.
1.7 È stato pure precisato che la riattivazione della procedura di notificazione deve in ogni caso avvenire entro un limite di tempo pari alla metà dei termini indicati dall’art. 325 c.p.c., salvo circostanze eccezionali di cui sia data prova rigorosa (cfr. Cass. Sez. Un. n. 14594/2016, Cass. n. 28388/2017, Cass. n. 13493/2022).
1.8 Orbene, nel caso in esame, deve escludersi che l’esito negativo del primo tentativo di notifica sia imputabile alla parte notificante, avendo essa fatto affidamento, ai fini dell’individuazione del luogo in cui effettuarlo, sulle indicazioni contenute nel ricorso per cassazione.
1.9 In un simile contesto, essendo stato il procedimento notificatorio riattivato in un tempo inferiore alla metà di quello previsto dall’art. 325, comma 2, c.p.c. (30 giorni), gli effetti della notifica del controricorso vanno fatti retroagire al 6 dicembre 2016, onde la stessa deve ritenersi eseguita prima della scadenza del termine di cui ai sopra citati artt. 369, comma 1, e 370, comma 1, c.p.c..
1.10 Fatta questa premessa, con il primo motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3) e 4) c.p.c., è denunciata la violazione o falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729
c.c. e dell’art. 115 c.p.c..
1.11 Viene rimproverato alla CTR di aver omesso di apprezzare una serie di elementi dai quali si sarebbe potuto desumere che nessuna plusvalenza era stata realizzata dalla RAGIONE_SOCIALE mediante la cessione immobiliare effettuata nell’anno 2007 e che non ricorrevano, pertanto, le condizioni per poter imputare «pro quota» ai soci il presunto maggior reddito d’impresa accertato in capo al sodalizio.
1.12 Si contesta, altresì, la correttezza del procedimento valutativo della prova per presunzioni seguìto dal collegio di secondo grado, il quale avrebbe tralasciato di considerare taluni indizi suscettibili di condurlo a una diversa decisione.
1.13 Viene, infine, obiettato che la ristretta base partecipativa di una società di capitali non può costituire circostanza di per sé sola sufficiente a fondare la presunzione di distribuzione ai soci degli utili extracontabili da essa prodotti in un determinato esercizio, in assenza di ulteriori elementi, anche di natura indiziaria, atti ad avvalorare una simile inferenza.
Con il secondo motivo, proposto a norma dell’art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c., è lamentato l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che ha formato oggetto di discussione fra le parti.
2.1 Si imputa al collegio regionale di non aver tenuto conto, nella determinazione della plusvalenza asseritamente realizzata dalla RAGIONE_SOCIALE, dei costi da questa sostenuti per l’acquisto dei materiali e per il pagamento dei lavori commessi alle diverse imprese impegnate nella realizzazione del fabbricato dalla stessa poi ceduto a titolo oneroso nell’anno 2007, costruito su un terreno di sua proprietà.
I due motivi possono essere esaminati insieme per la loro intima connessione.
3.1 Essi si appalesano inammissibili nella parte in cui tendono a rimettere in discussione l’accertamento tributario compiuto
dall’Ufficio nei confronti della società partecipata dal COGNOME, divenuto definitivo in mancanza di impugnazione, e in particolare la circostanza dell’effettiva realizzazione da parte della medesima di una plusvalenza di 1.050.000 euro derivante dalla cessione a titolo oneroso di un fabbricato di sua proprietà.
3.2 Invero, la legittimazione ad impugnare l’avviso di accertamento emesso a carico di una società di capitali spetta esclusivamente alla stessa, quale unica parte dal lato passivo del rapporto impositivo, e viene esercitata a mezzo del titolare del potere rappresentativo della compagine sociale.
3.3 Analoga legittimazione non spetta, invece, ai soci, in quanto il loro interesse alla conservazione della consistenza economica dell’ente collettivo è tutelabile esclusivamente con strumenti interni, rappresentati dalla partecipazione alla vita sociale e dalla possibilità di insorgere contro le deliberazioni adottate o di far valere la responsabilità degli organi sociali, ma non anche mediante l’assunzione di iniziative esterne, quali l’esperimento di azioni giudiziarie o l’impugnazione di atti, il cui esercizio resta riservato alla società (cfr. Cass. n. 3568/2023).
3.4 Va, inoltre, tenuto presente che la causa relativa all’accertamento dei redditi non dichiarati da una società di capitali a ristretta base partecipativa e quella concernente l’accertamento di maggiori redditi da partecipazione in capo ai singoli soci sono legate da un rapporto di pregiudizialità -dipendenza (cfr. Cass. n. 94/2022, Cass. n. 30964/2018, Cass. n. 4485/2016).
3.5 Ne discende che, in presenza di un accertamento definitivo nei confronti della società, il giudizio tributario promosso dal socio rimane pregiudicato per quanto attiene all’esistenza dei dividendi occulti realizzati dal sodalizio (cfr. Cass. n. 441/2013, Cass. n. 3831/2022), non potendo in esso prospettarsi doglianze riferibili a tale accertamento (cfr. Cass. n. 3980/2020).
3.6 Fermo quanto precede, il secondo motivo è inammissibile anche per altra ragione, e precisamente perché, a fronte di una duplice conforme pronuncia di merito (cd. ‘doppia conforme’), il ricorso per cassazione poteva essere proposto esclusivamente per i motivi di cui ai numeri 1), 2), 3) e 4) dell’art. 360, comma 1, c.p.c., in base al combinato disposto dei commi 4 e 5 dell’art. 348 -ter del medesimo codice; né l’impugnante ha assolto l’onere di dimostrare la diversità RAGIONE_SOCIALE ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello (cfr. Cass. n. 26934/2023, Cass. n. 5947/2023, Cass. n. 26774/2016).
3.7 Per il resto, le doglianze mosse nella seconda parte del primo motivo appaiono prive di fondamento giuridico, ponendosi in contrasto con la consolidata giurisprudenza di questa Corte secondo cui, in caso di società di capitali a ristretta base partecipativa, è legittima la presunzione di distribuzione ai soci degli eventuali utili accertati in capo all’ente collettivo, rimanendo salva la facoltà del contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non hanno formato oggetto di distribuzione, ma sono stati accantonati dalla società o da questa reinvestiti (cfr. Cass. n. 19442/2021, Cass. n. 5073/2021), o che degli stessi si è appropriato altro soggetto (cfr. Cass. n. 21187/2024, Cass. n. 21158/2024).
3.8 Sul tema in discussione è stato spiegato che, ai fini dell’applicabilità dell’anzidetta presunzione, la quale opera indipendentemente dall’esistenza o meno di rapporti familiari fra i soci (cfr. Cass. n. 17107/2024), occorre non solo che sia provata la ristretta base sociale, ma altresì che sussista un valido accertamento a carico della società in ordine ai ricavi non contabilizzati (cfr. Cass. n. 21631/2022, Cass. n. 14242/2021); non si richiede, invece, che l’avviso di accertamento emesso nei confronti del socio si fondi anche su elementi di riscontro tesi a
verificare, attraverso l’analisi RAGIONE_SOCIALE movimentazioni bancarie, l’intervenuto acquisto di beni di particolare valore non giustificabile sulla base dei redditi da lui dichiarati (cfr. Cass. n. 16913/2020).
3.9 Si è pure chiarito che nell’ipotesi in esame non ricorre la violazione del divieto di presunzioni di secondo grado (cd. «praesumptio de praesumpto» ) -ove mai reputato sussistente nel nostro ordinamento (in senso contrario si vedano, ex ceteris , Cass. n. 7145/2023, Cass. n. 37352/2022, Cass. n. 23860/2020, Cass. n. 20748/2019) -, in quanto il fatto noto da cui muove il ragionamento inferenziale non è costituito dalla sussistenza di maggiori redditi induttivamente accertati nei confronti della società, ma dalla ristrettezza della base partecipativa, dal vincolo di solidarietà ravvisabile fra i soci, dalla maggiore conoscibilità, da parte di questi ultimi, dell’andamento degli affari societari e dell’esistenza di utili extracontabili, nonché dal reciproco controllo che i componenti di simili ristrette compagini normalmente esercitano fra di loro (cfr. Cass. n. 19272/2024, Cass. n. 25501/2020).
3.10 Non si è poi mancato di puntualizzare che la presunzione in discorso rimane valida anche dopo l’introduzione dell’art. 7, comma 5 -bis , del D. Lgs. n. 546 del 1992, il quale non comporta alcuna inversione del riparto dell’onere probatorio, né preclude il ricorso alle presunzioni semplici disciplinate dal codice civile (cfr. Cass. n. 18764/2024).
3.11 Ai suenunciati princìpi di diritto, che vanno qui ulteriormente ribaditi, si è pienamente uniformata la Commissione di secondo grado, la quale, constatato che la RAGIONE_SOCIALE era una società a ristretta base proprietaria e che l’accertamento del reddito d’impresa dalla stessa non dichiarato nell’anno d’imposta 2007 era divenuto definitivo in mancanza di impugnazione, ha correttamente ritenuto applicabile al caso di specie la cennata presunzione semplice di distribuzione «pro quota» ai soci dei dividendi occulti prodotti dall’attività sociale.
Per le ragioni esposte, il ricorso va respinto.
Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
Visto l’esito dell’impugnazione, viene resa nei confronti del ricorrente l’attestazione di cui all’art. 13, comma 1 -quater , del D.P.R. n. 115 del 2002 (Testo Unico RAGIONE_SOCIALE spese di giustizia), inserito dall’art. 1, comma 17, della L. n. 228 del 2012.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rifondere all’RAGIONE_SOCIALE le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi 5.800 euro, oltre ad eventuali oneri prenotati a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del D.P.R. n. 115 del 2002 (Testo Unico RAGIONE_SOCIALE spese di giustizia), dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la proposta impugnazione, a norma del comma 1bis dello stesso articolo, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione