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Presunzione distribuzione utili: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha rigettato il ricorso di una socia di una S.r.l. a ristretta base, destinataria di un avviso di accertamento per maggiori redditi. La Corte ha confermato la legittimità della presunzione distribuzione utili non dichiarati dalla società ai soci. Ha inoltre ribadito che spetta al contribuente fornire la prova contraria, dimostrando che i maggiori ricavi sono stati accantonati o reinvestiti nell’attività aziendale, e non percepiti personalmente.

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Pubblicato il 9 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Presunzione Distribuzione Utili: La Cassazione Conferma l’Onere della Prova sul Socio

In materia fiscale, la gestione delle società di capitali a ristretta base partecipativa presenta delle peculiarità che possono avere importanti conseguenze per i soci. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: la presunzione distribuzione utili non dichiarati dalla società direttamente ai suoi membri. Questa pronuncia chiarisce che spetta al socio l’onere di dimostrare che tali somme non sono state percepite, ma reinvestite o accantonate. Analizziamo insieme i dettagli di questa importante decisione.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine da un avviso di accertamento notificato dall’Agenzia delle Entrate a una contribuente, socia di una società a responsabilità limitata operante nel settore delle cucine. All’azienda era stato accertato un maggior reddito per un periodo di sei anni, dal 2007 al 2012.

Mentre la società non ha contestato l’accertamento fiscale, la socia ha deciso di impugnare l’avviso ricevuto a titolo personale. Tuttavia, sia la Commissione Tributaria Provinciale (CTP) che la Commissione Tributaria Regionale (CTR) hanno respinto il suo ricorso, confermando la pretesa dell’Erario. La vicenda è quindi approdata dinanzi alla Corte di Cassazione.

La Decisione della Corte e la Presunzione Distribuzione Utili

La contribuente ha basato il suo ricorso in Cassazione su tre motivi principali. La Corte li ha esaminati nel dettaglio, rigettandoli tutti.

Il primo motivo, di natura procedurale, è stato dichiarato inammissibile. La Corte ha ritenuto che, sebbene la sentenza d’appello potesse essere stata sintetica, aveva comunque affrontato il merito della questione, superando il vizio lamentato.

Il secondo e il terzo motivo sono il cuore della decisione. La ricorrente sosteneva che fosse stato erroneamente impedito al socio di contestare il reddito di partecipazione e che la CTR avesse ignorato le prove fornite. La Cassazione ha smontato queste argomentazioni, basandosi su un orientamento giurisprudenziale consolidato.

Le Motivazioni

La Corte ha chiarito che, nelle società di capitali a ristretta base azionaria (come una S.r.l. con pochi soci, magari familiari), opera una presunzione legale relativa. L’accertamento di un maggior reddito in capo alla società rende legittima la presunzione che gli utili non contabilizzati siano stati distribuiti “pro quota” tra i soci.

Questa presunzione si fonda sulla logica: in una compagine sociale ristretta, è verosimile che i soci abbiano il controllo diretto sulla gestione e beneficino degli eventuali profitti “in nero”. La presunzione, tuttavia, non è assoluta. La Corte sottolinea che i soci hanno la possibilità di fornire una prova contraria.

L’onere della prova grava interamente sul contribuente. Non è sufficiente, come nel caso di specie, affermare genericamente di non aver percepito nulla o evidenziare l’assenza di bonifici tracciabili dalla società al proprio conto corrente. I redditi non ufficiali, osserva la Corte, difficilmente vengono trasferiti tramite canali tracciabili. Per superare la presunzione, il socio deve dimostrare con fatti concreti una diversa destinazione degli utili, provando che i maggiori ricavi sono stati:

* Accantonati: ad esempio, messi a riserva nel patrimonio della società.
* Reinvestiti: utilizzati per l’acquisto di nuovi macchinari, per lo sviluppo aziendale o per altre finalità operative.

Poiché la contribuente non ha fornito tale prova specifica, limitandosi a mere affermazioni, il suo ricorso è stato respinto.

Conclusioni

Questa ordinanza consolida un principio di estrema importanza pratica per i soci di S.r.l. e altre società a base ristretta. In caso di accertamento di maggiori redditi societari, non è possibile rimanere inerti. La presunzione distribuzione utili opera in modo quasi automatico, trasferendo l’onere della prova dal Fisco al contribuente. Per evitare accertamenti personali, i soci devono essere in grado di documentare in modo inequivocabile che i profitti extra non sono finiti nelle loro tasche, ma sono rimasti all’interno del perimetro aziendale, destinati a rafforzarne la struttura o a finanziare la crescita. Una gestione contabile trasparente e una documentazione precisa degli investimenti e degli accantonamenti diventano, quindi, strumenti di difesa indispensabili.

In una società di capitali a ristretta base, se vengono accertati utili non dichiarati, si presume che siano stati distribuiti ai soci?
Sì, la Corte di Cassazione conferma che opera una presunzione secondo cui gli utili non contabilizzati sono attribuiti “pro quota” ai soci, data la logica e verosimiglianza di tale circostanza in una compagine sociale ridotta.

Su chi ricade l’onere di provare che gli utili non sono stati distribuiti?
L’onere della prova ricade interamente sul contribuente (il socio). È il socio che deve dimostrare attivamente che i maggiori ricavi accertati alla società hanno avuto una destinazione diversa dalla distribuzione personale.

Cosa deve dimostrare concretamente un socio per superare questa presunzione?
Il socio deve fornire la prova contraria dimostrando, attraverso fatti concreti e documentati, che i maggiori ricavi sono stati accantonati (ad esempio, iscritti in una riserva di bilancio) o reinvestiti nell’attività d’impresa, e non percepiti a titolo personale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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