Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 3579 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 3579 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9546/2017 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore generale pro tempore , domiciliata ex lege in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
COGNOMENOME COGNOME
-intimato- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. DELLA CAMPANIA n. 9031/2016 depositata il 14/10/2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15/01/2025 dal Co: COGNOME NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
L’Agenzia delle entrate adottava avviso di accertamento nei confronti della società ‘Istituto di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE sull’anno di imposta 2007, cui conseguivano distinti avvisi di accertamento nei
confronti di ciascuno dei tre soci con ripresa a tassazione a fini Irpef in ragione della presunzione di distribuzione di maggiori utili quali conseguenza della ristretta compagine sociale. Più precisamente, l’Ufficio imputava al socio NOME COGNOME pro quota la somma proporzionale alla sua partecipazione al capitale sociale di quanto accertato in capo alla società.
Il giudice di prossimità non apprezzava le ragioni di parte contribuente, ma la sentenza veniva integralmente riformata in appello, sull’assunto che l’avviso di accertamento originario fosse stato notificato alla società in un momento successivo alla sua cancellazione, nonché per non essersi data prova della distribuzione degli utili dalla società al socio NOME COGNOME Donde ricorre per c assazione l’Agenzia delle entrate, affidandosi a due mezzi cassatori, mentre è rimasta intimata la parte contribuente.
CONSIDERATO
Vengono proposti due motivi di ricorso.
Con il primo motivo si prospetta censura ai sensi dell’articolo 360 numero 4 del codice di procedura civile per violazione o falsa applicazione dell’articolo 57, primo comma, d.lgs. n. 546/1992. Nella sostanza si protesta accoglimento del ricorso privato sulla scorta di un motivo nuovo, presentato per la prima volta solo in grado di appello.
La parte ricorrente riproduce, ai fini della completezza ed esaustività il motivo, gli atti dei gradi di merito da cui si desume che la censura circa la notifica dell’avviso di accertamento ad una società di capitali già estinta al momento della ripresa a tassazione sia stata proposta per la prima volta solo in grado di appello, in violazione della citata norma processuale.
Il motivo è fondato e merita accoglimento.
Giudice del fatto processuale, questa Suprema Corte di legittimità rileva come la doglianza specifica circa la notifica ad ente estinto sia stata proposta per la prima volta solo nel grado di appello. Il motivo
doveva essere dichiarato inammissibile dal giudice di secondo grado. Ed infatti, nel processo tributario d’appello, la nuova difesa del contribuente, ove non sia riconducibile all’originaria “causa petendi” e si fondi su fatti diversi da quelli dedotti in primo grado, che ampliano l’indagine giudiziaria ed allargano la materia del contendere, non integra un’eccezione, ma si traduce in un motivo aggiunto e, dunque, in una nuova domanda, vietata ai sensi degli artt. 24 e 57 del d.lgs. n. 546 del 1992 (cfr. Cass. V, n. 32390/2022). Tale mutamento di causa petendi si ha certamente quando all’originaria difesa circa la presunzione di distribuzione di maggior utile ai soci venga a contestarsi la stessa legittimità della ripresa a tassazione nei confronti della società. Il motivo è quindi fondato ed assorbente.
Va esaminato, in limine , il secondo motivo, con cui si prospetta violazione dell’articolo 360 numeri 3 e 4 del codice di procedura civile per violazione e falsa applicazione degli articoli 44, 45 e 47 del decreto del DPR numero 917 del 1986, degli articoli 38 e 39 del DPR numero 600 del 1973, degli articoli 2727, 2729 e 2697 del codice civile, dell’articolo 115 del codice di procedura civile. Nella sostanza si critica la sentenza in scrutinio, laddove abbia ritenuto non fondata la presunzione di riparto ai soci del maggior utile accertato in capo ad una società di capitali e ristretta base sociale.
Questa Corte, con orientamento ormai consolidato, ha affermato che in tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di società di capitali a ristretta base partecipativa, è legittima la presunzione di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà per il contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non siano stati fatti oggetto di distribuzione, ma siano stati invece accantonati dalla società, ovvero da essa reinvestiti, non essendo tuttavia a tal fine sufficiente la mera deduzione che l’esercizio sociale ufficiale si sia concluso con perdite contabili (cfr. Cass. V n. 5076/2011; n. 17928/2012; n.
27778/2017; n. 30069/2018; 27049/2019, nonché Cass. VI -5 n. 24820/2021). In particolare, si è precisato, che la presunzione di distribuzione ai soci degli utili non contabilizzati non viola il divieto di presunzione di secondo grado poiché il fatto noto non è costituito dalla sussistenza dei maggiori redditi induttivamente accertati, ma dalla ristrettezza della base sociale e dal vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci che, in tal caso, normalmente caratterizza la gestione sociale (Cass. 22 aprile 2009, n. 9519).
Questa Suprema Corte ha numerose volte ritenuto ammissibile la presunzione di distribuzione ai soci degli utili non contabilizzati, ma ha chiarito che, perché tale presunzione possa operare, occorre pur sempre che la “ristrettissima base sociale o familiare”, cioè il “fatto noto” alla base della presunzione, abbia costituito oggetto di uno specifico accertamento probatorio: ed invero solo una volta che sia stato stabilito che la titolarità delle azioni e l’organizzazione aziendale sono concentrate in una stretta cerchia personale o familiare, il giudice di merito non può escludere la distribuzione ai soci di utili non contabilizzati, limitandosi a prender atto della inapplicabilità dell’art. 5, d.P.R. n. 917/1986 (cfr. Cass. V, n. 2390/2000, n. 3254/2000). (Così Cass. VI -5, n. 14176/2015). Nel caso di specie risulta accertato e non controverso che i soci siano stati solo tre, integrando quindi la presunzione di cui sopra.
Il ricorso è quindi fondato, la sentenza deve essere cassata, con rinvio al giudice di merito perché si attenga ai sopraindicati principi.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 15/01/2025.