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Presunzione distribuzione utili: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha affermato la legittimità della presunzione distribuzione utili non contabilizzati ai soci di una società a ristretta base sociale. L’Amministrazione Finanziaria può basare l’accertamento IRPEF sul socio su tale presunzione, e spetta al contribuente dimostrare il contrario. La Corte ha inoltre ribadito l’inammissibilità di motivi nuovi in appello che alterino la ‘causa petendi’ del giudizio di primo grado.

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Pubblicato il 15 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Presunzione distribuzione utili: la Cassazione consolida il suo orientamento

L’ordinanza in esame affronta un tema cruciale per i soci di società a responsabilità limitata: la presunzione distribuzione utili non dichiarati. La Corte di Cassazione, con una recente pronuncia, ha ribadito principi fondamentali sia di natura sostanziale che processuale, offrendo chiarimenti importanti per i contribuenti e i professionisti del settore. La vicenda riguarda l’accertamento fiscale nei confronti di un socio, basato sui maggiori utili accertati in capo a una società con pochi soci.

I Fatti di Causa

La controversia ha origine da un avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate nei confronti di una S.r.l. per l’anno d’imposta 2007. A seguito di tale accertamento, l’Amministrazione Finanziaria notificava distinti avvisi ai tre soci della società, contestando loro, a fini IRPEF, la distribuzione pro quota dei maggiori utili societari non contabilizzati. La pretesa si fondava sulla presunzione derivante dalla ristretta compagine sociale.

Il giudice di primo grado respingeva il ricorso del contribuente. Tuttavia, la Commissione Tributaria Regionale riformava integralmente la decisione, accogliendo l’appello del socio. I giudici di secondo grado basavano la loro decisione su due argomenti principali: la notifica dell’avviso di accertamento originario alla società in un momento successivo alla sua cancellazione dal registro delle imprese e la mancata prova della effettiva distribuzione degli utili al socio.

L’Agenzia delle Entrate ha quindi proposto ricorso per cassazione, affidandosi a due motivi.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’Agenzia, cassando la sentenza impugnata e rinviando la causa al giudice di secondo grado. La decisione si fonda sull’analisi di entrambi i motivi proposti dall’Amministrazione Finanziaria, uno di carattere processuale e l’altro di merito.

L’inammissibilità del motivo nuovo in appello

Il primo motivo di ricorso, accolto dalla Corte, riguardava una violazione delle norme processuali. L’Agenzia lamentava che il contribuente avesse sollevato la questione della nullità della notifica all’ente estinto per la prima volta solo in grado d’appello. La Cassazione ha ritenuto tale doglianza un ‘motivo nuovo’, che ampliava la materia del contendere e modificava la ‘causa petendi’ originaria. Questo, nel processo tributario, si traduce in una nuova domanda, vietata ai sensi dell’art. 57 del D.Lgs. 546/1992. La difesa iniziale del contribuente era incentrata sulla contestazione della presunzione di distribuzione degli utili, non sulla legittimità della ripresa a tassazione nei confronti della società.

La legittimità della presunzione distribuzione utili

Il secondo motivo, anch’esso ritenuto fondato, verteva sulla violazione delle norme in materia di presunzioni e accertamento dei redditi. La Corte ha ribadito il suo orientamento consolidato secondo cui, nel caso di società di capitali a ristretta base partecipativa, è legittima la presunzione distribuzione utili extracontabili accertati ai soci.

Il ‘fatto noto’ da cui scaturisce la presunzione non è l’esistenza dei maggiori redditi, ma la ristrettezza della base sociale e il vincolo di solidarietà e controllo reciproco tra i pochi soci. Nel caso di specie, la presenza di soli tre soci è stata considerata sufficiente a integrare tale presupposto. Di conseguenza, grava sul contribuente l’onere di fornire la prova contraria, dimostrando che i maggiori ricavi non sono stati distribuiti, ma, ad esempio, accantonati o reinvestiti dalla società. La mera deduzione che l’esercizio si sia concluso con una perdita contabile non è ritenuta prova sufficiente a superare la presunzione.

le motivazioni

Le motivazioni della Corte si articolano su un doppio binario. Sul piano processuale, viene riaffermato un principio di rigore: il giudizio di appello non può diventare la sede per introdurre temi di indagine completamente nuovi che alterino l’oggetto della controversia definito in primo grado. Questo garantisce l’ordinato svolgimento del processo e il rispetto del principio del contraddittorio. Sul piano sostanziale, la Corte protegge l’efficacia dell’azione accertatrice dell’Amministrazione Finanziaria in un contesto, quello delle società a base ristretta, dove la commistione tra il patrimonio sociale e quello personale dei soci è spesso elevata. La presunzione legale agisce come uno strumento per superare l’oggettiva difficoltà di provare l’effettivo passaggio di denaro, invertendo l’onere della prova a carico del socio, che è il soggetto più vicino alla fonte di prova stessa.

le conclusioni

L’ordinanza ha due implicazioni pratiche significative. In primo luogo, i soci di società a ristretta base sociale devono essere consapevoli che, in caso di accertamento di maggiori utili in capo alla società, l’onere di provare la mancata distribuzione di tali utili ricadrà su di loro. È pertanto fondamentale conservare documentazione idonea a dimostrare il reimpiego o l’accantonamento di tali somme (es. delibere assembleari, prove di investimenti). In secondo luogo, la pronuncia serve da monito sulla strategia processuale: le difese devono essere articolate in modo completo sin dal primo grado di giudizio, poiché l’introduzione di eccezioni o contestazioni radicalmente nuove in appello rischia di essere dichiarata inammissibile.

Quando si applica la presunzione di distribuzione degli utili ai soci?
La presunzione si applica nel caso di società di capitali a ristretta base partecipativa. Il limitato numero di soci e il vincolo di solidarietà e controllo reciproco che ne deriva costituiscono il ‘fatto noto’ che permette di presumere che i maggiori utili accertati in capo alla società siano stati distribuiti ai soci.

Chi deve provare che gli utili non sono stati distribuiti?
L’onere della prova contraria grava sul contribuente. Il socio deve dimostrare attivamente che i maggiori utili non sono stati oggetto di distribuzione, ma sono stati accantonati o reinvestiti dalla società. Non è sufficiente affermare che l’esercizio sociale si sia concluso formalmente in perdita.

È possibile presentare un motivo di ricorso completamente nuovo nel processo tributario d’appello?
No. Secondo la Corte, una nuova linea difensiva che non sia riconducibile alla ‘causa petendi’ originaria e si fondi su fatti diversi da quelli dedotti in primo grado, integra una ‘nuova domanda’, che è vietata in appello ai sensi della normativa sul processo tributario.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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