LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Presunzione distribuzione utili: la Cassazione conferma

Il caso analizza una controversia tra una socia di una S.r.l. e l’Agenzia delle Entrate riguardo un avviso di accertamento. L’ordinanza della Corte di Cassazione conferma la legittimità della presunzione di distribuzione utili ai soci in società a ristretta base partecipativa. Secondo la Corte, una volta accertati maggiori redditi in capo alla società, questi si presumono distribuiti pro quota ai soci, a cui spetta l’onere di fornire la prova contraria, dimostrando che tali utili sono stati accantonati o reinvestiti. La Corte ha ritenuto il ricorso della contribuente infondato, ribadendo un principio consolidato in materia fiscale.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 22 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

La Presunzione di Distribuzione Utili nelle Società a Ristretta Base

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, è tornata a pronunciarsi su un tema di grande rilevanza nel diritto tributario: la presunzione di distribuzione utili ai soci di società di capitali a ristretta base partecipativa. Questa pronuncia conferma un orientamento ormai consolidato, chiarendo i meccanismi presuntivi che consentono al Fisco di attribuire ai soci i redditi non dichiarati dalla società e delineando i confini dell’onere della prova a carico del contribuente.

I Fatti di Causa: Dall’Accertamento alla Società fino al Socio

Il caso trae origine da un avviso di accertamento notificato a una contribuente, socia al 50% di una S.r.l. L’Agenzia delle Entrate, a seguito di un accertamento divenuto definitivo nei confronti della società (identificata come soggetto interposto, o “cartiera”), aveva attribuito alla socia la sua quota parte dei maggiori redditi accertati in capo all’azienda per l’anno d’imposta 2007.

La contribuente aveva impugnato l’atto impositivo. Se in primo grado le sue ragioni erano state accolte, la Commissione Tributaria Regionale aveva riformato la decisione, dando ragione all’Ufficio. La vicenda è quindi approdata in Corte di Cassazione, con la socia che ha lamentato, tra i vari motivi, la violazione di norme procedurali e sostanziali, criticando in particolare l’applicazione della presunzione di ripartizione degli utili societari.

La Presunzione di Distribuzione Utili e l’Onere della Prova

Il cuore della controversia risiede nel meccanismo presuntivo applicato dall’amministrazione finanziaria. Nelle società di capitali a ristretta base partecipativa – caratterizzate da un numero esiguo di soci, spesso legati da vincoli familiari o fiduciari – la giurisprudenza ha da tempo riconosciuto la validità della presunzione secondo cui gli utili extracontabili accertati vengano distribuiti ai soci.

Questa presunzione si fonda sulla logica e sull’esperienza comune (id quod plerumque accidit): in un contesto societario così “stretto”, è ragionevole supporre che i soci, avendo un controllo diretto e costante sulla gestione, siano a conoscenza e beneficiari dei proventi non dichiarati. Di conseguenza, si verifica un’inversione dell’onere della prova: non è il Fisco a dover dimostrare l’effettiva percezione del reddito da parte del socio, ma è quest’ultimo a dover provare il contrario.

Cosa deve dimostrare il contribuente?

Per superare la presunzione, il contribuente deve fornire una prova concreta e specifica. La Corte ha ribadito che non è sufficiente una mera deduzione o la semplice dimostrazione che l’esercizio sociale si sia ufficialmente chiuso con una perdita contabile. Il socio deve provare che i maggiori ricavi accertati:

1. Siano stati accantonati dalla società per specifiche finalità.
2. Siano stati reinvestiti nell’attività aziendale.

In assenza di tale prova, la presunzione resta valida e l’accertamento a carico del socio è legittimo.

La Decisione della Corte: La Definitività dell’Accertamento Societario

Un altro punto affrontato dalla ricorrente riguardava la necessità che l’accertamento nei confronti della società fosse definitivo prima di poter procedere nei confronti dei soci. La Corte ha respinto anche questa doglianza, chiarendo due aspetti fondamentali:

Validità, non Definitività: Per l’applicazione della presunzione di distribuzione ai soci, è sufficiente che vi sia un valido accertamento* nei confronti della società, anche se questo non è ancora divenuto definitivo.
* Specificità del Motivo di Ricorso: Nel caso di specie, la Corte ha inoltre osservato che la sentenza di appello aveva dato atto della definitività dell’accertamento societario e la ricorrente non aveva mosso una critica specifica e puntuale contro questa affermazione contenuta nella sentenza impugnata.

le motivazioni

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso della contribuente, ritenendolo infondato in entrambi i motivi proposti. Con riferimento al primo motivo, relativo alla presunta mancata motivazione sulla definitività dell’accertamento societario, i giudici hanno sottolineato come la questione fosse stata risolta in radice dalla sentenza d’appello, che aveva espressamente attestato tale definitività, senza che la ricorrente contestasse specificamente tale punto. Inoltre, hanno ribadito che, per giurisprudenza costante, è sufficiente un accertamento valido, anche se non definitivo, nei confronti della società per poter procedere verso i soci.

Riguardo al secondo motivo, incentrato sulla presunzione di distribuzione degli utili, la Corte ha riaffermato il suo orientamento consolidato. La presunzione è legittima nelle società a ristretta base partecipativa, data la stretta connessione tra i soci e la gestione. Questa non costituisce una vietata “presunzione di secondo grado”, poiché il fatto noto da cui scaturisce non è il reddito accertato, ma la struttura stessa della compagine sociale, che implica un vincolo di solidarietà e controllo reciproco. Di conseguenza, spetta al contribuente dimostrare che gli utili non sono stati distribuiti, prova che non era stata fornita nel caso concreto.

le conclusioni

L’ordinanza in esame consolida un principio fondamentale per i soci di S.r.l. e altre società a compagine ristretta. La presunzione di distribuzione utili rappresenta uno strumento efficace per l’Amministrazione Finanziaria nel contrasto all’evasione. Per i contribuenti, ciò implica la necessità di essere estremamente diligenti nel documentare la destinazione degli utili societari. In caso di accertamento di maggiori ricavi in capo alla società, la semplice contabilità ufficiale potrebbe non essere sufficiente a proteggere i soci da un accertamento “a cascata”. È indispensabile poter dimostrare con prove concrete che i fondi sono stati trattenuti in azienda per finalità produttive o di riserva, al fine di superare una presunzione che, altrimenti, risulterebbe difficilmente sormontabile.

In una società a ristretta base partecipativa, gli utili non dichiarati si presumono distribuiti ai soci?
Sì, la Corte di Cassazione conferma che vige la presunzione di distribuzione degli utili extracontabili ai soci. Spetta al socio contribuente fornire la prova contraria che tali utili siano stati accantonati o reinvestiti.

Cosa deve dimostrare un socio per superare la presunzione di distribuzione degli utili?
Secondo la sentenza, il socio deve provare che i maggiori ricavi non sono stati distribuiti, ma sono stati invece accantonati dalla società o da essa reinvestiti. Non è sufficiente la mera deduzione che l’esercizio sociale ufficiale si sia concluso con perdite contabili.

L’accertamento fiscale nei confronti della società deve essere definitivo per poter procedere contro il socio?
No, la Corte ha chiarito che per l’applicazione della presunzione di distribuzione degli utili ai soci è sufficiente un valido accertamento nei confronti della società, ancorché non definitivo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati