Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 26032 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 26032 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 04/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 598/2016 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (P_IVA) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. della LOMBARDIA/ MILANO n. 2246/2015 depositata il 22/05/2015.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/09/2024 dal Co: COGNOME NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La contribuente NOME COGNOME è socia al 50% della RAGIONE_SOCIALE, una società a ristretta compagine sociale risultata come soggetto interposto (‘cartiera’) e, pertanto, attinta da avviso di accertamento sull’anno d’imposta 2007, divenuto definitivo.
Con conseguente ulteriore avviso di accertamento, alla contribuente COGNOME erano attribuiti pro quota i maggiori redditi accertati in capo alla società in proporzione alla sua quota di partecipazione al capitale sociale, donde reagiva trovando apprezzamento avanti al giudice di prossimità, ma la sentenza era riformata in grado di appello, vedendo accolte le tesi dell’Ufficio.
Avverso questa sentenza ricorre per cassazione la contribuente COGNOME, affidandosi a due mezzi cassatori, cui replica il patrono erariale con tempestivo controricorso.
CONSIDERATO
Vengono proposti due motivi di ricorso.
Con il primo motivo di ricorso si prospetta censura ai sensi dell’articolo 360, primo comma, numero 5 del codice di procedura civile per violazione e falsa applicazione degli articoli 38, 39,42, 60 e 60 bis del d.P.R. n- 600 del 1973 nonché degli articoli 24 e 53 della Costituzione, nonché dell’articolo 36 del decreto legislativo n. 546 del 1992.
Nella sostanza, si lamenta che nella sentenza in scrutinio non sia rinvenibile alcuna espressa motivazione in ordine all’infondatezza delle doglianze avanzate dalla ricorrente circa il necessario preliminare vaglio della definitività dell’accertamento in capo alla società RAGIONE_SOCIALE per l’anno di imposta 2007.
Il motivo è inammissibile prima ancora che infondato.
È appena il caso di rammentare che il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura è possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione (tra le tante: Cass. 11 gennaio 2016 n. 195; Cass. 30 dicembre 2015, n. 26610). Come è noto, il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente la prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (Cass. 4 novembre 2013 n. 24679; Cass. 16 novembre 2011 n. 27197; Cass. 6 aprile 2011 n. 7921; Cass. 21 settembre 2006 n. 20455; Cass. 4 aprile 2006 n. 7846; Cass. 9 settembre 2004 n. 18134; Cass. 7 febbraio 2004 n. 2357). Né il giudice del merito, che attinga il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, è tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (ad es.: Cass. 7 gennaio 2009 n. 42; Cass. 17 luglio 2001 n. 9662). Per completezza argomentativa, quanto alla denuncia di vizio di motivazione, poiché è qui in esame un provvedimento pubblicato dopo il giorno 11 settembre 2012, resta applicabile ratione temporis il nuovo testo dell’art. 360, comma primo, n. 5) c.p.c. la cui riformulazione, disposta dall’art. 54 del d.l.
22 giugno 2012, n. 83, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, secondo le Sezioni Unite deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali.
al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità motivazionale che si tramuta in violazione di Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez.Un. 7 aprile 2014 n. 8053).
Sotto altro profilo, con riguardo al merito, per giurisprudenza constante, in tema di presunzione di distribuzione ai soci dei maggiori utili accertati in capo alla società, è sufficiente che vi sia un valido accertamento nei confronti di quest’ultima, ancorché non definitivo (cfr. Cass. V, n. 15334/2013).
Peraltro, la questione è risolta in radice, laddove la sentenza in scrutinio, nel primo capoverso, dà atto che l’accertamento nei confronti della società fosse già definitivo e su tale circostanza non appone critica o censura la parte privata ricorrente.
Con il secondo motivo si prospetta censura ai sensi dell’articolo 360, primo comma, numero 3 del codice di procedura civile, per violazione degli articoli 2727, 2729 e 2697 del codice civile, nonché dell’articolo 38 del decreto del Presidente della Repubblica numero 600 del 1973. Nella sostanza, si critica la presunzione di ripartizione fra i soci dei maggiori utili accertati in capo alla società.
Questa Corte, con orientamento ormai consolidato, ha affermato che in tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di società
di capitali a ristretta base partecipativa, è legittima la presunzione di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà per il contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non siano stati fatti oggetto di distribuzione, ma siano stati invece accantonati dalla società, ovvero da essa reinvestiti, non essendo tuttavia a tal fine sufficiente la mera deduzione che l’esercizio sociale ufficiale si sia concluso con perdite contabili (cfr. Cass. V n. 5076/2011; n. 17928/2012; n. 27778/2017; n. 30069/2018; 27049/2019, nonché Cass. VI -5 n. 24820/2021). In particolare, si è precisato, che la presunzione di distribuzione ai soci degli utili non contabilizzati non viola il divieto di presunzione di secondo grado poiché il fatto noto non è costituito dalla sussistenza dei maggiori redditi induttivamente accertati, ma dalla ristrettezza della base sociale e dal vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci che, in tal caso, normalmente caratterizza la gestione sociale (Cass. 22 aprile 2009, n. 9519).
Pertanto, il ricorso è infondato e non può essere accolto, le spese seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in €.quattromilacento/00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 18/09/2024.