Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 1056 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 1056 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 16/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3815/2016 R.G. proposto da COGNOME, elettivamente domiciliato in Roma alla INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. COGNOME NOMECOGNOME dal quale è rappresentato e difeso
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso gli uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato, dalla quale è rappresentata e difesa «ope legis»
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DEL LAZIO n. 3978/29/15 depositata il 9 luglio 2015
Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 18 dicembre 2024 dal Consigliere COGNOME NOME
FATTI DI CAUSA
A sèguito di attività di verifica condotta dalla Guardia di Finanza di Civitavecchia, culminata nella redazione dei processi verbali di constatazione del 21 ottobre 2010 e del 5 settembre 2011, la Direzione Provinciale I di Roma dell’Agenzia delle Entrate emetteva
nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, operante nel settore della commercializzazione di autovetture in àmbito comunitario, un avviso di accertamento con il quale rettificava il reddito d’impresa dalla stessa dichiarato ai fini delle imposte dirette e dell’IVA in relazione all’anno 2006, contestandole l’utilizzo di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti emesse dalla RAGIONE_SOCIALE
Successivamente il medesimo Ufficio notificava al socio NOME COGNOME titolare di una quota pari al 90% del capitale, un distinto avviso di accertamento mediante il quale recuperava a tassazione, ai fini dell’IRPEF, il maggior reddito da partecipazione da lui asseritamente conseguito in quello stesso anno, applicando a suo sfavore la presunzione di distribuzione degli utili non contabilizzati ai soci di una società di capitali a ristretta base partecipativa.
NOME COGNOME impugnava l’atto impositivo a lui personalmente rivolto dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Roma, che accoglieva il suo ricorso, annullando la ripresa fiscale.
La decisione veniva, però, successivamente riformata dalla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, la quale, con sentenza n. 3978/29/15 del 9 luglio 2015, in accoglimento dell’appello dell’Amministrazione Finanziaria, rigettava l’originario ricorso del contribuente.
Avverso tale sentenza lo COGNOME ha spiegato ricorso per cassazione affidato a sei motivi.
L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
La causa è stata avviata alla trattazione in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380 -bis .1 c.p.c..
Nel termine di cui al comma 1, terzo periodo, dello stesso articolo il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4) c.p.c., è denunciata la nullità dell’impugnata sentenza per dei motivi di impugnazione
dell’avviso di accertamento ritenuti assorbiti dalla CTP e reiterati in grado d’appello dal contribuente.
1.1 Viene, al riguardo, posto in evidenza che i giudici di prime cure avevano accolto il ricorso dello COGNOME in base all’assorbente rilievo della mancata produzione da parte dell’Amministrazione Finanziaria dei processi verbali di constatazione redatti a carico della RAGIONE_SOCIALE dalla Guardia di Finanza di Civitavecchia, prodromici all’atto impositivo oggetto della presente controversia.
1.2 Poiché tali documenti erano stati per la prima volta depositati dall’Agenzia delle Entrate, unitamente all’avviso di accertamento societario, soltanto nel corso del giudizio di appello, il contribuente aveva ribadito in maniera espressa i suddetti motivi, per l’ipotesi -poi concretamente verificatasi -in cui la produzione effettuata dalla controparte fosse stata ritenuta ammissibile dalla CTR.
1.3 Trattavasi, in particolare, delle doglianze inerenti:
(a)all’omessa allegazione all’avviso di accertamento notificato al socio degli atti presupposti ivi richiamati, costituiti dall’atto impositivo emesso nei riguardi della società partecipata e dai processi verbali di constatazione elevati a carico della medesima; utili base
(b)all’infondatezza della presunzione di distribuzione di extracontabili ai soci di società di capitali a ristretta partecipativa;
(c)alla nullità dell’avviso di accertamento per mancata allegazione della delega di firma rilasciata dal direttore dell’Ufficio al funzionario sottoscrittore.
1.4 Il motivo è infondato.
1.5 Contrariamente a quanto asserito dal ricorrente, la CTR non ha omesso di pronunciare in ordine ai motivi indicati nel sottoparagrafo 1.3 sub (a) e (b), avendo osservato, in proposito:
-che «non rilevava la mancata notifica dell’avviso di accertamento emesso nei confronti della società e dei prodromici pp.vv.cc. …, vista l’esposizione delle risultanze dei pp.vv.cc. nell’avviso di
accertamento emesso nei confronti della società e considerata la conoscenza dei medesimi da parte della società accertata» ;
-che «sussistevano i requisiti per l’applicazione della presunzione di distribuzione degli utili ai soci, data la ristretta base societaria» .
1.6 In ordine alla doglianza sub (c), deve rilevarsi che il ricorso difetta, sul punto, di autosufficienza, non avendo lo COGNOME dato conto, all’uopo fornendo le necessarie indicazioni processuali, di aver articolato fin dal libello introduttivo della lite uno specifico motivo di impugnazione inteso a contestare la mancata allegazione della delega di firma al funzionario che aveva sottoscritto l’atto impositivo.
1.7 Invero, egli si è limitato a trascrivere, alle pagg. 11 -13, il contenuto del paragrafo dedicato all’argomento nell’atto di controdeduzioni ex art. 54 del D. Lgs. n. 546 del 1992 depositato nel giudizio d’appello, senza premurarsi di dimostrare di aver già ritualmente sollevato la questione in primo grado e di non essere, pertanto, incorso nella violazione del divieto di «ius novorum» sancito dall’art. 57 del medesimo decreto.
1.8 Deve, allora, darsi sèguito al costante orientamento giurisprudenziale di legittimità secondo cui, affinché possa utilmente dedursi nel giudizio di cassazione un vizio di omessa pronuncia, è necessario, da un lato, che al giudice di merito fossero state rivolte una domanda o un’eccezione autonomamente apprezzabile, dall’altro, che tale domanda o eccezione sia stata riportata puntualmente, nei suoi esatti termini, nel ricorso per cassazione, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo o del verbale di udienza nei quali l’una o l’altra era stata proposta, in modo da consentire alla Corte di verificarne, in primo luogo, la ritualità e la tempestività e, in secondo luogo, la decisività (cfr. Cass. n. 15594/2020, Cass. 3610/2016, Cass. n. 9597/2014, Cass. n. 15634/2013, Cass. Sez. Un. n. 15781/2005).
1.9 Il ricorrente avrebbe, quindi, dovuto anzitutto dare prova di
aver proposto il motivo in discorso nel giudizio di primo grado, in caso contrario non potendo lo stesso essere introdotto in sede di gravame e non sussistendo l’obbligo di pronuncia da parte della CTR (cfr. Cass. n. 29556/2019; si vedano pure Cass. n. 5490/2024, Cass. n. 20363/2021, Cass. n. 24445/2010, Cass. n. 12412/2006). 2. Con il secondo motivo, inquadrato nell’alveo dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., è lamentata l’ .
2.1 Nell’eventualità che fosse esclusa la sussistenza del vizio di omessa pronuncia fatto valere con la precedente censura, si contesta l’impugnata sentenza per aver immotivatamente disatteso le doglianze reiterate in grado d’appello dal contribuente.
2.2 Il motivo è infondato.
2.3 A sèguito della riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c. disposta dal D.L. n. 83 del 2012, convertito con modificazioni dalla L. n. 134 del 2012, il sindacato di legittimità sulla motivazione è ormai da ritenere ristretto alla sola verifica dell’inosservanza del cd. «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, della Carta fondamentale, individuabile nei casi di «mancanza assoluta di motivi sotto il profilo materiale e grafico», di «contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili» e di motivazione «perplessa od incomprensibile» o «apparente», esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di «sufficienza» della stessa.
2.4 Siffatte anomalie si tramutano in vizio di nullità della sentenza per difetto del requisito di cui all’art. 132, comma 2, n. 4) c.p.c., norma che nel processo tributario trova il suo corrispondente nell’art. 36, comma 2, n. 4) del D. Lgs. n. 546 del 1992.
2.5 Per produrre il descritto effetto invalidante, esse devono emergere da l testo della sentenza medesima, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (cfr., ex permultis , Cass.
n. 20598/2023, Cass. n. 20329/2023, Cass. n. 3799/2023, Cass. Sez. Un. n. 37406/2022, Cass. Sez. Un. n. 32000/2022, Cass. n. 8699/2022, Cass. n. 7090/2022, Cass. n. 24395/2020, Cass. Sez. Un. n. 23746/2020, Cass. n. 12241/2020, Cass. Sez. Un. n. 17564/2019, Cass. Sez. Un. 19881/2014, Cass. Sez. Un. 8053/2014).
2.6 Orbene, deve escludersi che alcuna delle gravi anomalie motivazionali testè descritte sia ravvisabile nel caso di specie, avendo la CTR esposto in maniera intelligibile le ragioni per le quali ha ritenuto di riformare, in accoglimento dell’appello erariale, la decisione di primo grado favorevole al contribuente.
2.7 Essa, infatti, ha spiegato che: -le fatture emesse dalla RAGIONE_SOCIALE e utilizzate dalla RAGIONE_SOCIALE si riferivano a operazioni inesistenti; -l’accertamento tributario nei confronti dello COGNOME si fondava legittimamente sulla presunzione di distribuzione degli utili extracontabili ai soci di società di capitale a ristretta base partecipativa; -la mancata allegazione all’avviso di accertamento relativo al socio di quello emesso a carico della società e dei prodromici processi verbali di constatazione non incideva sulla validità dell’atto impugnato, «considerata la conoscenza dei medesimi da parte della società accertata» .
2.8 Quest’ultima proposizione, letta nel contesto in cui è inserita (ed esattamente in sèguito alla premessa: «non rilevava la mancata notifica dell’avviso di accertamento emesso nei confronti della società partecipata e dei prodromici pp.vv.cc. …» ), deve essere logicamente intesa nel senso che lo COGNOME, in quanto socio di una società a ristretta base, era in condizione di prendere conoscenza degli atti ad essa indirizzati.
2.9 Per quanto, infine, attiene alla questione relativa all’asserita carenza del potere di firma in capo al funzionario sottoscrittore dell’atto impositivo, si è già innanzi avuto modo di chiarire (sottoparagrafi 1.6 -1.7) come sul punto il ricorso difetti di
autosufficienza, non consentendo alla Corte di verificare se il tema in discussione fosse stato ritualmente introdotto in causa fin dal primo grado, sì da far sorgere l’obbligo del collegio d’appello di prenderlo in considerazione e di motivare l’eventuale infondatezza delle ragioni addotte dal contribuente.
Con il terzo mezzo, proposto in via gradata ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., sono prospettate la violazione e la falsa applicazione dell’art. 42 del D.P.R. n. 600 del 1973.
3.1 Si rimprovera alla CTR di aver erroneamente escluso la nullità dell’impugnato avviso di accertamento in conseguenza della mancata allegazione dell’atto impositivo riguardante la RAGIONE_SOCIALE, ivi espressamente richiamato «per relationem» .
3.2 La censura è inammissibile per difetto di autosufficienza, non avendo il ricorrente trascritto o quantomeno riportato in sintesi, per le parti che interessano ai fini della decisione, il contenuto dell’avviso di accertamento a lui notificato, in modo da permettere alla Corte di verificare se la sua motivazione si risolvesse nel puro e semplice rinvio all’atto impositivo societario o se invece consistesse nella riproduzione del contenuto essenziale di questo, sì da rendere comprensibili le ragioni della pretesa erariale.
3.3 In ogni caso, essa è destituita di fondamento, atteso che, per consolidata giurisprudenza di legittimità, l’obbligo di motivazione degli atti tributari, come disciplinato dall’art. 7 della L. n. 212 del 2000 e dall’art. 42 del D.P.R. n. 600 del 1973, è soddisfatto dall’avviso di accertamento dei redditi emesso nei confronti del socio di una società a responsabilità limitata che rinvii «per relationem» a quello riguardante i redditi della società partecipata, ancorché solo a quest’ultima notificato: ciò in quanto il socio, ai sensi dell’art. 2476, comma 2, c.c., ha diritto di consultare i documenti relativi alla società, e quindi di prendere visione dell’accertamento presupposto e dei suoi documenti giustificativi, incluso il processo verbale di constatazione redatto a carico
dell’ente (cfr. Cass. n. 24095/2020; nello stesso, ex multis , Cass. n. 1727/2023, Cass. n. 12019/2022, Cass. n. 3307/2022, Cass. n. 30996/2021).
3.4 Nella fattispecie in disamina, peraltro, non è stato accertato che al momento della notificazione dell’atto impositivo lo COGNOME avesse cessato di rivestire la qualità di socio della RAGIONE_SOCIALE (a pag. 1 della sentenza si legge soltanto che il contribuente, «nell’anno d’imposta per cui è causa, è stato socio in ragione del 90% del capitale sociale» , circostanza dalla quale non è lecito inferire che egli avesse ceduto la propria quota di partecipazione prima di quel momento); né in ricorso sono state svolte in proposito specifiche deduzioni, accompagnate dall’indicazione delle risultanze documentali ipoteticamente pretermesse dai giudici di seconde cure e veicolate attraverso una censura di omesso esame di fatto decisivo e controverso, ex art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c..
Con il quarto motivo, sussunto nello schema dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., sono denunciate la violazione e la falsa applicazione dell’art. 58 del D. Lgs. n. 546 del 1992.
4.1 Si censura la gravata pronuncia per aver reputato ammissibile la produzione in appello, da parte dell’Agenzia delle Entrate, di nuovi documenti risultati poi decisivi.
4.2 Viene, inoltre, posta in dubbio la legittimità costituzionale della norma innanzi richiamata, la cui generale e indiscriminata applicazione, non mitigata da un’interpretazione correttiva tesa a limitarne l’ampia portata letterale, finirebbe per comportare una grave lesione del diritto di difesa e la perdita di un grado di giudizio da parte del contribuente.
4.3 Il motivo è infondato.
4.4 Alla luce del principio di specialità espresso dall’art. 1, comma 2, del D. Lgs. n. 546 del 1992 -in forza del quale, nel rapporto fra norma processuale civile ordinaria e norma processuale tributaria, prevale quest’ultima -, nel giudizio tributario d’appello non opera la
preclusione di cui all’art. 345, comma 3, c.p.c., essendo la materia regolata dall’art. 58, comma 2, del menzionato decreto, che consente alle parti di produrre liberamente i documenti pure in sede di gravame, ancorchè preesistenti al giudizio svoltosi in primo grado (cfr. Cass. n. 29470/2021; nello stesso senso, Cass. n. 7649/2020, Cass. n. 5607/2021, Cass. n. 20613/2022).
4.5 La relativa facoltà, spettante anche alla parte rimasta contumace in prime cure (cfr. Cass. n. 29568/2018, Cass. n. 17921/2021, Cass. n. 3421/2024, Cass. n. 20550/2024), deve essere esercitata entro il termine perentorio di cui al combinato disposto degli artt. 32, comma 1, e 61 del D. Lgs. cit. (cfr. Cass. n. 18103/2021, Cass. n. 17164/2018, Cass. n. 5429/2018); e tanto al fine di assicurare il rispetto del diritto di difesa e del principio del contraddittorio, visto che il comma 2 dello stesso art. 32 consente a ciascuna delle parti il successivo deposito di memorie illustrative, mediante le quali è possibile replicare e contestare tempestivamente l’avversa produzione documentale (cfr. Cass. n. 19368/2021).
4.6 Le considerazioni che precedono, oltre a rivelare l’infondatezza del motivo in scrutinio, permettono di superare anche il dubbio di costituzionalità adombrato dal ricorrente.
4.7 Sull’argomento, peraltro, è intervenuta la Corte Costituzionale, la quale, nel dichiarare infondata, con sentenza n. 199/2017, la questione di legittimità dell’art. 58, comma 2, del D. Lgs. n. 546 del 1992 sollevata in riferimento agli artt. 3 e 24 della Carta fondamentale, ha precisato che: -la facoltà di depositare nuovi documenti nel giudizio tributario d’appello è riconosciuta a entrambe le parti, sicchè non appare ravvisabile alcuno ‘sbilanciamento’ in favore di una di esse e in danno dell’altra; -non esiste un principio costituzionale di necessaria uniformità fra i diversi tipi di processo, e in particolare fra il processo tributario e quello civile; -l’art. 24 Cost. non impone l’assoluta uniformità dei
modi e dei mezzi della tutela giurisdizionale: ciò che conta è che non vengano imposti oneri o prescritte modalità tali da rendere impossibile o estremamente difficile l’esercizio del diritto di difesa o lo svolgimento dell’attività processuale; -nella specie, non vi è una compressione del diritto di difesa nei sensi indicati, in quanto la previsione che una determinata attività probatoria, rimasta preclusa nel giudizio di primo grado, possa essere esperita in appello non è di per sé irragionevole: il regime delle preclusioni vigente in primo grado mira, infatti, a scongiurare che i tempi di produzione dei documenti siano procrastinati per prolungare il giudizio, mentre la previsione della loro producibilità in secondo grado costituisce un temperamento disposto dal legislatore sulla base di una scelta discrezionale, come tale insindacabile; -nemmeno sussiste la dedotta violazione dell’art. 24 Cost. per la perdita di un grado di giudizio, in quanto la garanzia del doppio grado non gode, di per sé, di copertura costituzionale.
Con il quinto motivo, pure ricondotto al paradigma dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., sono lamentate la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2727 c.c..
5.1 Si imputa alla CTR di non aver accolto la tesi difensiva sostenuta dallo COGNOME, secondo la quale la pretesa erariale costituiva interamente incentrato su una presunzione -quella di distribuzione di utili extracontabili ai soci di società di capitali a ristretta base partecipativa -di cui non risultava idoneamente dimostrato il fatto noto (la ristrettezza della compagine sociale) assunto a premessa dell’inferenza.
5.2 Il motivo è infondato.
5.3 Per costante indirizzo nomofilattico, in caso di società di capitali a ristretta base è legittima la presunzione di distribuzione ai soci degli eventuali utili occulti accertati in capo all’ente collettivo, rimanendo salva la facoltà del contribuente di offrire la prova del
fatto che i maggiori ricavi non sono stati fatti oggetto di distribuzione, bensì accantonati dalla società o da questa reinvestiti (cfr. Cass. n. 19442/2021, Cass. n. 5073/2021), o che degli stessi si è appropriato altro soggetto (cfr. Cass. n. 21187/2024, Cass. n. 21158/2024).
5.4 Perché possa essere applicata l’anzidetta presunzione, la quale opera indipendentemente dall’esistenza o meno di rapporti familiari fra i soci (cfr . Cass. n. 17107/2024), occorre non solo che sia provata la ristretta base sociale, ma altresì che sussista un valido accertamento a carico della società in ordine ai ricavi non dichiarati (cfr. Cass. n. 21631/2022, Cass. n. 14242/2021); non si richiede, invece, che l’avviso di accertamento emesso nei confronti del socio si fondi anche su elementi di riscontro tesi a verificare, attraverso l’analisi delle movimentazioni bancarie, l’intervenuto acquisto di beni di particolare valore non giustificabile sulla scorta dei redditi da lui dichiarati (cfr. Cass. n. 16913/2020).
5.5 È stato pure chiarito che nell’ipotesi in esame non ricorre la violazione del divieto di presunzioni di secondo grado (cd. «praesumptio de praesumpto» ) -ove mai reputato sussistente nel nostro ordinamento (in senso contrario si vedano, ex ceteris , Cass. n. 7145/2023, Cass. n. 37352/2022, Cass. n. 23860/2020, Cass. n. 20748/2019) -, in quanto il fatto noto da cui muove il ragionamento inferenziale non è costituito dalla sussistenza di maggiori redditi induttivamente accertati in testa alla società, ma dalla ristrettezza della base proprietaria, dal vincolo di solidarietà ravvisabile fra i soci, dalla maggiore conoscibilità, da parte di questi ultimi, dell’andamento degli affari societari e dell’esistenza di dividendi non contabilizzati, nonché dal reciproco controllo che i componenti di simili ristrette compagini normalmente esercitano fra di loro (cfr. Cass. n. 19272/2024, Cass. n. 25501/2020).
5.6 Non si è poi mancato di puntualizzare che la presunzione in discorso, la quale rinviene il suo fondamento nella ‘complicità’ che
di regola avvince un gruppo societario composto da poche persone, rimane valida pure dopo l’introduzione dell’art. 7, comma 5 -bis , del D. Lgs. n. 546 del 1992, il quale non comporta alcuna inversione del riparto dell’onere probatorio, né preclude il ricorso alle presunzioni semplici disciplinate dal codice civile (cfr. Cass. n. 18764/2024).
5.7 Alle suenunciate «regulae iuris» si è correttamente attenuto il collegio regionale, sicchè non appare configurabile il denunciato « error in iudicando» .
5.8 Quanto, infine, alla dedotta circostanza secondo cui il presupposto della ristretta base societaria sarebbe rimasto indimostrato, la lagnanza si risolve, in tutta evidenza, in un’inammissibile critica all’apprezzamento delle risultanze processuali compiuto dalla CTR, la quale ha ritenuto provata tale circostanza ( «sussistevano i requisiti per l’applicazione della presunzione di distribuzione degli utili ai soci, data la ristretta base societaria» ), non senza aver sottolineato che lo COGNOME, «nell’anno d’imposta per cui è causa, è stato socio in ragione del 90% del capitale sociale» .
Con il sesto mezzo, anch’esso formulato a norma dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., sono nuovamente prospettate la violazione e la falsa applicazione dell’art. 42 del D.P.R. n. 600 del 1973.
6.1 Ove mai si ritenesse implicitamente respinto dal collegio regionale l’originario motivo di impugnazione, rimasto assorbito dalla pronuncia di primo grado e riproposto in appello dal contribuente, inteso a sentir dichiarare la nullità dell’avviso di accertamento per difetto del potere di firma in capo al funzionario sottoscrittore, si deduce l’erroneità della sentenza in esame per inosservanza della norma innanzi citata.
6.2 Il motivo è inammissibile, non risultando dimostrato, alla stregua delle considerazioni svolte sopra in sede di scrutinio dei primi due mezzi di gravame (sottoparagrafi 1.6 -1.9 e 2.9), che la
questione inerente alla mancata allegazione della delega di firma, sulla quale la CTR non si è pronunciata, rientrasse nel «thema decidendum» ritualmente devoluto in appello.
In conclusione, il ricorso deve essere respinto.
Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
Stante l’esito dell’impugnazione, viene resa nei confronti del ricorrente l’attestazione contemplata dall’art. 13, comma 1 -quater , del D.P.R. n. 115 del 2002 (Testo Unico delle spese di giustizia), inserito dall’art. 1, comma 17, della L. n. 228 del 2012.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rifondere all’Agenzia delle Entrate le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi 5.600 euro, oltre ad eventuali oneri prenotati a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del D.P.R. n. 115 del 2002 (Testo Unico delle spese di giustizia), dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la proposta impugnazione, a norma del comma 1bis dello stesso articolo, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione