Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 18354 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 18354 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: CORTESI NOME
Data pubblicazione: 05/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso n.r.g. 18610/2018, proposto da:
COGNOME NOME COGNOME rappresentato e difeso, per procura a margine del ricorso, dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliato presso il loro ufficio in ROMA, INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del direttore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato presso la quale è domiciliata in ROMA, INDIRIZZO
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 3350/13/2017 della Commissione tributaria regionale dell ‘Emilia -Romagna, depositata il 13 dicembre 2017; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 6 giugno 2025 dal consigliere dott. NOME COGNOME
Rilevato che:
La C.T.P. di Bologna respinse l’opposizione proposta da NOME COGNOME avverso l’avviso di accertamento con il quale era stato ripreso a tassazione, a fini Irpef per l’anno 2008, un maggior reddito di capitale non dichiarato.
L’atto impositivo scaturiva dall’accertamento di maggiori ricavi, per lo stesso periodo d’imposta, compiuto a carico di tale O.M.P. –RAGIONE_SOCIALE a ristretta base, della quale il contribuente deteneva una partecipazione qualificata, idonea a supportare la circostanza ch’egli avesse ottenuto la quota corrispondente di ricavi non dichiarati.
Il successivo appello del contribuente fu respinto con la sentenza indicata in epigrafe.
I giudici regionali ritennero corretta la decisione della C.T.P., che aveva fatto riferimento al rigetto, intervenuto medio tempore , dell’impugnazione proposta da O.M.P. avverso l’atto impositivo, osservando, in particolare, che, contrariamente a quanto sostenuto dal COGNOME, non sussisteva alcun rapporto di pregiudizialità fra le due controversie, tale da far ritenere necessaria la sospensione di quella promossa dal socio fino alla definizione del giudizio relativo alla società.
Respinsero, inoltre, le eccezioni variamente sollevate dal contribuente con riferimento a profili formali dell’atto impositivo.
Rilevarono, infine, che la prova del conseguimento degli utili non dichiarati ben poteva consistere nella presunzione fondata sul disposto di cui all’art. 39, comma 1, lett. d ), del d.P.R. n. 600/1973, rispetto alla quale non erano stati forniti idonei elementi contrari.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il contribuente sulla base di quattro motivi.
L’Amministrazione ha depositato controricorso.
Considerato che:
Il primo motivo denunzia nullità della sentenza per violazione degli artt. 295 cod. proc. civ. e 39, comma 1bis , del d.lgs. n. 546/1992, in relazione alla decisione della C.T.R. di non sospendere il giudizio pur in presenza di un accertamento a carico di un socio di società di capitali a ristretta base partecipativa, con contemporanea pendenza del giudizio relativo a quest’ultima .
Il ricorrente deduce la sussistenza di un rapporto di pregiudizialità necessaria fra i due giudizi, dal che dovrebbe esitare la sospensione del presente fino alla definizione di quello concernente la società con sentenza irrevocabile.
Il secondo mezzo denunzia violazione dell’art. 42, commi 1 e 3, del d.P.R. n. 600/1973.
La sentenza impugnata è censurata nella parte in cui non ha ritenuto l’invalidità dell’atto impositivo quantunque sottoscritto da funzionario delegato, senza indicazione, nell’atto di delega, delle relative ragioni e del termine di validità.
Con il terzo motivo è dedotta violazione degli artt. 42, commi 2 e 3, del d.P.R. n. 600/1973, e 7 della l. n. 212/2000, in relazione al mancato rilievo, da parte dei giudici d’appello, della nullità dell’atto impositivo per omessa allegazione, allo stesso, del p.v.c. concernente le verifiche svolte sulla società.
Infine, il quarto motivo, rubricato «illegittimità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 2727 e dell’art. 2729 c.c.», sottopone a critica la sentenza impugnata in punto alla prova dei redditi extracontabili, che assume fondata su una ‘doppia presunzione’.
Il primo motivo non è fondato e appare, in ogni caso, inammissibile per carenza di interesse.
5.1. Il ricorrente assume che i giudici d’appello avrebbero errato nel non sospendere il giudizio in attesa della pronunzia definitiva sul ricorso promosso dalla società, vertendosi in ipotesi soggetta all’applicazione dell’art. 295 cod. proc. civ.
In realtà, questa Corte, in diverse occasioni, ha affermato che l’esistenza di un rapporto di pregiudizialità tra due giudizi determina la sospensione necessaria della causa dipendente solo allorché la causa pregiudicante sia ancora pendente in primo grado.
Laddove invece, come nel caso di specie, quest’ultima sia stata definita con sentenza non passata in giudicato, spetta al giudice della causa dipendente scegliere se attendere la sua stabilizzazione con il passaggio in giudicato attraverso il ricorso all’esercizio del potere facoltativo di sospensione previsto dall’ art. 337, comma 2, cod. proc. civ. (applicabile anche al processo tributario), ovvero decidere in senso difforme quando, sulla base di una ragionevole valutazione prognostica, ritenga che la decisione possa essere riformata (in tal senso, fra le altre, Cass. n. 7952/2024).
5.2. In ogni caso, e risolutivamente, sulla posizione di ORAGIONE_SOCIALE. si è formato giudicato in senso sfavorevole a quest’ultima, per effetto dell’intervenuta estinzione del giudizio di cassazione introdotto con ricorso della società -del quale lo stesso contribuente ha dato atto nelle proprie difese -a seguito dell’ordinanza di questa Corte n. 9653/2022.
Quest’ultima circostanza designa il sopravvenuto venir meno dell’interesse del ricorrente alla censura , comunque infondato per le esposte ragioni.
Il secondo motivo non è fondato.
Questa Corte, in particolare, ha affermato che la delega alla sottoscrizione dell’avviso di accertamento ad un funzionario diverso da quello istituzionalmente competente ex art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973 ha natura di delega di firma, e non di funzioni, poiché realizza un mero decentramento burocratico senza rilevanza esterna, restando l’atto firmato dal delegato imputabile all’organo delegante ; di conseguenza, nell’ambito dell’organizzazione interna dell’ufficio, l’attuazione di detta delega di firma può avvenire anche mediante ordini di servizio, senza necessità di indicazione nominativa del delegato o delle ragioni e della durata della delega, essendo sufficiente l’individuazione della qualifica rivestita dall’impiegato delegato, la quale consente la successiva verifica della corrispondenza tra sottoscrittore e destinatario della delega stessa (Cass. n. 2698/2025; Cass. n. 11013/2019; Cass. n. 8814/2019).
È, del pari, infondato il terzo motivo, con il quale il ricorrente si duole del mancato rilievo della nullità dell’atto impositivo, in quanto ad esso non risulta allegato il prodromico p.v.c.
Anche in relazione a tale censura è sufficiente richiamare il consolidato orientamento di questa Corte, secondo la quale il fatto, in sé considerato, della mancata allegazione del verbale non rende nullo l’avviso di accertamento per difetto di motivazione quando l’Amministrazione abbia posto il contribuente in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali, ossia in relazione all’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell’atto o del documento necessarie e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, consentendogli, in tal modo, di poter contestarne efficacemente l’ an ed il quantum debeatur (in tal senso, fra le altre, Cass. n. 33327/2023; Cass. n. 11283/2022; Cass. n. 9323/2017; Cass. n. 26472/2014).
Nel caso di specie, tale evenienza si è verificata; l’avviso notificato al ricorrente, infatti, richiamava quello precedentemente notificato alla società, per effetto del quale era poi ritenuta operativa la presunzione di distribuzione dei maggiori redditi extracontabili; in tal senso, peraltro, è stato più volte affermato che l ‘obbligo di motivazione degli atti tributari è soddisfatto anche quando l’avviso di accertamento dei redditi del socio di una società di capitali a ristretta base rinvii per relationem a quello riguardante i redditi della società, perché il socio ha il potere di consultare la documentazione relativa a quest’ultima e, quindi, di prendere visione dell’accertamento presupposto e dei suoi documenti giustificativi ( ex multis Cass. n. 4239/2022; Cass. n. 8455/2020; Cass. n. 25296/2014).
Infine, il quarto motivo, con il quale il ricorrente lamenta l’ operatività di un regime di ‘doppia presunzione’ in relazione alla distribuzione ai soci dei maggiori redditi extracontabili, è inammissibile ex art. 360bis , num. 1), cod. proc. civ.
La sentenza impugnata, infatti, si è conformata al consolidato orientamento di questa Corte secondo cui la presunzione di attribuzione ai soci di utili extracontabili non si pone in contrasto con il divieto di presunzione di secondo grado, in quanto il fatto noto non è dato dalla sussistenza di maggiori redditi accertati induttivamente nei confronti della società, bensì dalla ristrettezza dell’assetto societario, che implica un vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci nella gestione sociale (in questo senso, fra le numerose altre, Cass. n. 17784/2025; Cass. n. 2752/2024; Cass. n. 18383/2020; Cass. n. 1947/2019; Cass. n. 27778/2017; Cass. n. 15824/2016; Cass. n. 24793/2015; Cass. n. 24572/2014).
9. Il ricorso è, dunque, complessivamente meritevole di rigetto.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115/2002, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, che liquida in € 2.200,00, oltre spese prenotate a debito.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte Suprema