Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 22265 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 22265 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 01/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10520/2016 R.G. proposto da :
COGNOME, elettivamente domiciliato in CATANIA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE, che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO), che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. DELLA SICILIA, SEZ.ST. MESSINA n. 4402/02/15 depositata il 20/10/2015.
e sul ricorso riunito iscritto al n. 10522/2016 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in CATANIA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato
COGNOME NOME (CODICE_FISCALE, che la rappresenta e difende
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO), che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. DELLA SICILIA, SEZ.ST. MESSINA n. 4403/02/15 depositata il 20/10/2015.
nonché sul ricorso riunito iscritto al n. 10651/2016 R.G. proposto da: COGNOME, elettivamente domiciliato in CATANIA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE, che lo rappresenta e difende
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO), che la rappresenta e difende
-controricorrenteavverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. DELLA SICILIA, SEZ.ST. MESSINA n. 4401/02/15 depositata il 20/10/2015.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/06/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza n. 4403/02/15 del 20/10/2015, la Commissione tributaria regionale della Sicilia – Sezione staccata di Messina (di seguito CTR) respingeva l’appello principale proposto da RAGIONE_SOCIALE (di seguito PC) e accoglieva l’appello
incidentale proposto dall’Agenzia delle entrate (di seguito AE) avverso la sentenza n. 789/10/13 della Commissione tributaria provinciale di Messina (di seguito CTP), che aveva accolto parzialmente il ricorso della società contribuente relativo a un avviso di accertamento per IRES, IRAP e IVA relative all’anno di imposta 2007.
1.1. Come emerge dalla sentenza impugnata, l’atto impositivo era stato emesso in ragioni di plurime riprese, concernenti, nella prospettazione dell’Amministrazione finanziaria, l’indebita deduzione di spese di rappresentanza, la riqualificazione quale reddito d’impresa delle anticipazioni effettuate dai soci, la rideterminazione delle rimanenze e l’indetraibilità dell’IVA concernente tre fatture.
1.2. La CTR respingeva l’appello principale di PC e accoglieva l’appello incidentale di AE evidenziando che: a) l’avviso di accertamento, sebbene sottoscritto da un funzionario delegato da un direttore dell’ufficio illegittimamente assunto perché non vincitore di concorso pubblico, doveva ritenersi valido ed efficace; b) l’atto impositivo era altresì legittimamente motivato per relationem al verbale redatto dalla Guardia di finanza, pienamente conosciuto dalla società contribuente; c) i recuperi effettuati dall’Amministrazione finanziaria con riguardo alle spese di rappresentanza, ai finanziamenti dei soci e alle rimanenze di magazzino erano supportati da valide presunzioni, le quali non erano state messe in discussione da elementi di prova contraria; d) l’eccezione concernente la legittimità della metodologia accertativa era nuova e, quindi, inammissibile; e) con riferimento all’IVA sulle fatture concernenti beni asseritamente destinati ad arredamento degli immobili da alienare, non vi era prova dell’inerenza, con conseguente indetraibilità dell’imposta.
Con le sentenze n. 4401/02/15 e n. 4402/02/15 del 20/10/2015, la CTR rigettava gli appelli proposti da NOME COGNOME e NOME COGNOME nei confronti delle sentenze n. 788/10/13 e n.
787/10/13 della CTP, che aveva a sua volta rigettato i separati ricorsi dei due soci di PC avverso due avvisi di accertamento per IRPEF relativa all’anno d’imposta 2007.
2.1. Con i menzionati avvisi di accertamento, il maggior reddito accertato nei confronti della società veniva imputato ai soci in ragione delle rispettive quote sociali e, dunque, a NOME COGNOME per il 60% e a NOME COGNOME per il 40%.
2.2. La CTR rigettava l’appello dei soci di PC con sentenze di contenuto analogo e motivazioni sovrapponibili a quelle utilizzate nei confronti della società, salvo precisare che era legittima la presunzione di distribuzione degli utili ai soci di una società di capitali a ristretta base partecipativa, non essendovi «prova del fatto che i maggiori ricavi non stati fatti oggetto di distribuzione, per essere stati, invece, accantonati dalla società ovvero da essa reinvestiti».
PC e soci impugnavano le sentenze della CTR con separati ricorsi per cassazione, affidati rispettivamente a cinque motivi (la società) e a sei motivi (i soci).
AE resisteva in giudizio con separati controricorsi.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Va pregiudizialmente disposta la riunione dei procedimenti n. 10522/2016 e 10651/2016 al procedimento n. 10520/2016, vertendo i ricorsi su questioni connesse e per lo più sovrapponibili.
Il ricorso di PC (R.G. n. 10522/2016) e quelli dei soci sono largamente sovrapponibili quanto ai motivi proposti, che vengono di seguito riassunti.
2.1. Con il primo motivo, comune a tutti i ricorsi, si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione o falsa applicazione dell’art. 42 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e dell’art. 8, comma 24, del d.l. 2 marzo 2012, n. 16, conv. con modif.
nella l. 26 aprile 2012, n. 44, per avere la CTR erroneamente ritenuto la legittimazione del soggetto che ha esercitato la delega per la sottoscrizione del ricorso, in spregio a quanto previsto da Corte costituzionale 17 marzo 2015, n. 37.
2.2. Con il secondo motivo di ricorso (indicato come terzo nei ricorsi dei soci) si contesta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973, degli artt. 3 e 21 septies della l. 7 agosto 1990, n. 241 e dell’art. 7 della l. 27 luglio 2000, n. 212, per avere la CTR erroneamente ritenuto che gli avvisi di accertamento siano sufficientemente motivati.
2.3. Con il terzo motivo di ricorso (indicato come quarto nei ricorsi dei soci) si lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 1813, 2443 e 2697 cod. civ., per avere la CTR erroneamente convertito un debito societario nei confronti dei soci in aumento del capitale sociale, prima, e maggior ricavo sottratto a tassazione, poi; e ciò in assenza di valide presunzioni.
2.4. Con il quarto motivo di ricorso (indicato come quinto nei ricorsi dei soci) si contesta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 92 e 93 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Testo Unico delle Imposte sui Redditi TUIR), nonché dell’art. 2697 cod. civ., per avere la CTR erroneamente ritenuto sintetici e non analitici i documenti di magazzino, tenuti in conformità a quanto normativamente prescritto per il tipo di attività d’impresa svolto.
2.5. Con il quinto motivo di ricorso (indicato come sesto nei ricorsi dei soci) si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti, anche in violazione dell’art. 57 del d.lgs. 31
dicembre 1992, n. 546, non essendosi la sentenza impugnata pronunciata in ordine ad un motivo di appello (l’illegittimità dell’accertamento disposto ai sensi dell’art. 39, secondo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973) non nuovo, ma specificamente proposto anche in primo grado.
2.6. Con il secondo motivo dei ricorsi proposti dai soci si lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2727 e 2729 cod. civ., per avere la CTR erroneamente fondato la distribuzione degli utili ai soci solo sulla ristretta base societaria, senza addurre ulteriori presunzioni idonee a corroborare l’assunto ed utilizzando presunzioni di secondo grado.
Il primo motivo di tutti i ricorsi, con il quale si deduce la carenza di legittimazione in capo al funzionario che ha delegato la sottoscrizione degli avvisi di accertamento e la conseguente nullità di questi ultimi, è inammissibile.
3.1. Il rilievo dei ricorrenti si fonda essenzialmente sulla sentenza n. 37 del 2015 della Corte costituzionale, pubblicata nel corso del giudizio di secondo grado. Ne consegue la tardività dell’eccezione, non proposta in primo grado e non rilevabile d’Ufficio dal giudice.
3.2. Invero, « In materia di sottoscrizione degli avvisi di accertamento, ai sensi dell’art. 42, commi 1 e 3, del d.P.R. n. 600 del 1973, la declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012, conv. dalla l. n. 44 del 2012, giusta sentenza della Corte cost. n. 37 del 2015, non produce effetti retroattivi sui giudizi in corso qualora il tema della mancanza di una valida sottoscrizione non sia stato fatto valere con il ricorso introduttivo del giudizio, poiché, per effetto della natura impugnatoria del processo tributario, l’ordinaria efficacia retroattiva della pronuncia
di illegittimità costituzionale incontra il limite di un rapporto ormai esaurito » (Cass. n. 32480 del 14/12/2024).
Il secondo motivo (terzo motivo dei ricorsi dei soci), con il quale si contesta la sufficienza della motivazione degli avvisi di accertamento, è in parte inammissibile e in parte infondato.
4.1. La CTR ha affermato che gli avvisi di accertamento sono legittimamente motivati per relationem al processo verbale di constatazione, conosciuto dai contribuenti. Peraltro, i ricorrenti si dolgono della circostanza che l’avviso di accertamento conterrebbe un acritico rinvio al PVC, essendosi l’Ufficio spogliato del potere/dovere di valutare gli atti di causa.
4.2. Orbene, va premesso che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, « nel regime introdotto dall’art. 7 della legge 27 luglio 2000, n. 212, l’obbligo di motivazione degli atti tributari può essere adempiuto anche “per relationem”, ovverosia mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, che siano collegati all’atto notificato, quando lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale, cioè l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell’atto o del documento necessarie e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, la cui indicazione consente al contribuente -ed al giudice in sede di eventuale sindacato giurisdizionale – di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono le parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento » (Cass. n. 1906 del 29/01/2008; Cass. n. 28058 del 30/12/2009; Cass. n. 6914 del 25/03/2011; Cass. n. 13110 del 25/07/2012; Cass. n. 9032 del 15/04/2013; Cass. n. 9323 del 11/04/2017; si veda anche Cass. n. 21066 del 11/09/2017).
4.3. In particolare, « la motivazione per relationem, con rinvio alle conclusioni contenute nel verbale redatto dalla Guardia di Finanza
dell’esercizio dei poteri di polizia tributaria, non è illegittima, per mancanza di autonoma valutazione da parte dell’Ufficio degli elementi da quella acquisiti, significando semplicemente che l’Ufficio stesso, condividendone le conclusioni, ha inteso realizzare una economia di scrittura che, avuto riguardo alla circostanza che si tratta di elementi già noti al contribuente, non arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio » (Cass. n. 3610 del 12/02/2025; Cass. n. 32957 del 20/12/2018; Cass. n. 30560 del 20/12/2017).
4.4. Ciò premesso, il motivo proposto è inammissibile per difetto di specificità (cfr. Cass. S.U. n. 8950 del 18/03/2022; Cass. n. 12481 del 19/04/2022), non avendo provveduto i ricorrenti alla trascrizione, per quanto di interesse, delle motivazioni degli avvisi di accertamento, così impedendo a questa Corte di valutare dalla semplice lettura del ricorso la veridicità delle contestazioni effettuate.
4.5. Ma il motivo è anche infondato, in quanto le valutazioni compiute dal giudice di appello -la cui correttezza, si ribadisce, non può essere verificata da questa Corte in assenza delle necessarie trascrizioni -sono legittime, alla luce della giurisprudenza richiamata.
Il terzo motivo (quarto motivo dei ricorsi dei soci), con il quale si contesta la riqualificazione effettuata dalla sentenza impugnata dei finanziamenti dei soci, è inammissibile.
5.1. La sentenza impugnata ha affermato che l’Ufficio ha legittimamente presunto che i finanziamenti effettuati in favore della società e i versamenti in conto capitale siano in realtà ricavi occulti e tale presunzione trova fondamento nella circostanza che i soci non hanno le risorse per potere effettuare i contestati versamenti. A fronte di una simile presunzione, che legittima l’Ufficio all’accertamento analitico -induttivo, dubitandosi della veridicità sostanziale delle scritture contabili, formalmente corrette, i ricorrenti non hanno fornito idonea prova contraria.
5.2. Trattasi di accertamento in fatto logico e coerente, al quale i ricorrenti tendono a contrapporre una diversa lettura dei medesimi fatti; sicché, pur deducendo apparentemente, una violazione di norme di legge, società e soci mirano, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (Cass. n. 3340 del 05/02/2019; Cass. n. 640 del 14/01/2019; Cass. n. 24155 del 13/10/2017; Cass. n. 8758 del 04/07/2017; Cass. n. 8315 del 05/04/2013).
Non miglior sorte è riservata al quarto motivo di ricorso (quinto motivo dei ricorsi dei soci) , con il quale si lamenta l’erronea valutazione dei documenti di magazzino. Anch’esso, infatti, è inammissibile.
6.1. La CTR ha affermato che «la società ha esibito solo schede sintetiche del patrimonio immobiliare invenduto e non anche quelle analitiche e senza alcun riferimento al calcolo seguito per la determinazione delle rimanenze finali». Invero, le schede di lavorazione esibite non sono conformi a quanto previsto dall’art. 93, comma 6, del TUIR, non consentendo l’esatta determinazione delle rimanenze; il che ha giustificato il conteggio correttamente effettuato dall’Ufficio.
6.2. Trattasi, ancora una volta, di un legittimo accertamento in fatto al quale i contribuenti tendono a contrapporre, sotto le forme della violazione di legge, una diversa valutazione dei medesimi fatti, per ciò solo inammissibile in sede di legittimità.
6.3. E ciò indipendentemente dal fatto che, sotto il profilo dell’autosufficienza, i ricorrenti non hanno riportato, nemmeno a campione, le schede a loro dire redatte secondo le previsioni di legge.
Il quinto motivo (sesto motivo dei ricorsi dei soci), con il quale si sostiene che la CTR avrebbe omesso di esaminare un motivo di
appello proposto dai contribuenti in ragione dell’asserita novità della questione (l’asserita illegittimità dell’accertamento disposto ai sensi dell’art. 39, secondo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973), va disatteso.
7.1. La censura è dichiaratamente proposta ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., ipotizzandosi, pertanto, l’omesso esame di fatti rilevanti o, comunque, il difetto di motivazione.
7.2. In realtà, il motivo di appello è stato debitamente esaminato dalla CTR, che, ritenendo la novità della questione in quanto dedotta solo genericamente nel giudizio di primo grado, ha fornito una propria valutazione in diritto del motivo proposto.
7.3. In disparte dall’esistenza di una doppia conforme di merito (e, quindi, dall’inammissibilità della censura), non sussistono, pertanto, fatti (intesi in senso storico) di cui è stato omesso l’esame; né la motivazione restituita dal giudice di appello può dirsi meramente apparente.
7.4. In ogni caso, anche riqualificando la censura proposta come violazione della legge processuale (il che è consentito dal richiamo alla violazione dell’art. 57 del d.lgs. n. 546 del 1992), la censura è comunque inammissibile per difetto di specificità, essendo le trascrizioni compiute da parte ricorrente limitate ad una sola parte dei ricorsi originari, sicché non è possibile apprezzare la complessiva valutazione di genericità effettuata dal giudice di appello.
Il secondo motivo dei ricorsi proposti dai soci, con il quale si assume l’indebita inversione dell’onere della prova con riferimento alla imputazione ai soci degli utili sociali, è infondato.
8.1. Secondo il costante orientamento di questa Corte, l’art. 39, primo comma, lett. d), del d.P.R. n. 600 del 1973 legittima la presunzione di attribuzione pro quota ai soci degli utili extra bilancio prodotti da società di capitali a ristretta base azionaria, con
conseguente inversione dell’onere della prova a carico del contribuente (Cass. n. 20851 del 26/10/2005; conf. Cass. n. 1924 del 29/01/2008; Cass. n. 18032 del 24/07/2013; Cass. n. 10679 del 04/04/2022). Tale presunzione opera con riferimento allo stesso esercizio in cui gli utili sono stati realizzati (Cass. n. 25468 del 18/12/2015) e anche in assenza di rapporti di parentela, in quanto la ristrettezza della base sociale implica di per sé un elevato grado di compartecipazione dei soci, la conoscenza degli affari sociali e la consapevolezza dell’esistenza di utili extrabilancio (Cass. n. 24572 del 18/11/2014; Cass. n. 7815 del 24/03/2025).
8.2. In questo contesto, il contribuente che intende superare detta presunzione, ha l’onere di provare che i maggiori ricavi non siano stati effettivamente realizzati dalla società (Cass. n. 33976 del 19/12/2019), che se ne sia appropriato un terzo (Cass. n. 21158 del 29/07/2024) ovvero che quest’ultima non li abbia distribuiti, ma accantonati o reinvestiti (Cass. n. 26317 del 19/11/2020; Cass. n. 16913 del 11/08/2020; Cass. n. 32959 del 20/12/2018; Cass. n. 27778 del 22/11/2017; Cass. n. 24534 del 18/10/2017). Né può ritenersi all’uopo sufficiente la mera dimostrazione della propria estraneità alla gestione e conduzione societaria (Cass. n. 21158 del 2024, cit. ; sotto quest’ultimo profilo, in senso contrario si veda, peraltro, Cass. n. 26473 del 10/10/2024).
8.3. Nel caso di specie, la CTR si è pienamente attenuta ai superiori principi di diritto, anche sotto il profilo della ripartizione dell’onere probatorio, in quanto ha preso atto che PC è una società a ristretta base partecipativa ed ha, conseguentemente, ritenuto legittima la presunzione di distribuzione degli utili posta dall’Ufficio, evidenziando che i soci non hanno fornito la prova richiesta a loro carico.
8.4. Alla luce dell’orientamento più sopra richiamato, non spetta all’Amministrazione finanziaria fornire la prova della reale distribuzione ai soci degli utili sociali, ma spetta a questi ultimi dimostrare che detti utili siano stati reinvestiti, accantonati o comunque non distribuiti.
8.5. Né può ritenersi che l’accertamento dell’Ufficio incorra nel divieto di doppia presunzione. In primo luogo, va esclusa l’esistenza nel nostro ordinamento del divieto cui fa riferimento la società ricorrente (Cass. n. 23860 del 29/10/2020; Cass. n. 20748 del 01/08/2019), divieto che costituisce un vero e proprio equivoco (Cass. n. 27982 del 07/12/2020). Secondariamente, la presunzione di distribuzione degli utili che opera nei confronti dei soci non dipende da altra presunzione, ma dall’effettivo accertamento del reddito della società.
In conclusione, i ricorsi riuniti vanno rigettati e i ricorrenti vanno condannati al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese dei procedimenti riuniti, liquidate come in dispositivo nell’osservanza del principio per il quale, in caso di riunione di più cause, la liquidazione dei compensi per l’attività svolta prima della riunione deve essere separatamente liquidata per ciascuna causa in relazione all’attività prestata in ciascuna di esse, mentre, per la fase successiva alla riunione, può essere liquidato un compenso unico, sul quale è facoltà del giudice applicare la maggiorazione prevista dalla tariffa in presenza dei relativi presupposti (Cass. n. 13276 del 28/05/2018).
9.1. Poiché i ricorsi riuniti sono stati proposti successivamente al 30 gennaio 2013 e sono rigettati, sussistono le condizioni per dare atto -ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1 quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -della sussistenza dei
presupposti processuali per il versamento, da parte di ciascuno dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la rispettiva impugnazione, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta i ricorsi riuniti e condanna i ricorrenti al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese dei procedimenti riuniti, che si liquidano in euro 5.900,00 a carico di RAGIONE_SOCIALE, in euro 4.300,00 a carico di NOME e in euro 4.300,00 a carico di NOME, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte di ciascuno dei ricorrenti del contributo unificato previsto per il rispettivo ricorso a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, il 12/06/2025.