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Presunzione distribuzione utili in società ristrette

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 7899/2025, si è pronunciata su un caso di accertamento IRPEF a carico di un socio di una società a ristretta base societaria. La Corte ha confermato la legittimità della presunzione di distribuzione degli utili extracontabili ai soci, chiarendo che la ristrettezza della compagine sociale è di per sé un elemento sufficiente a fondare l’accertamento. Ha inoltre ribadito i presupposti per il raddoppio dei termini di accertamento in presenza di reati tributari. Infine, ha accolto il ricorso del contribuente limitatamente all’applicazione delle sanzioni, cassando la sentenza con rinvio per l’applicazione del principio del ‘favor rei’, in virtù di una normativa sanzionatoria più favorevole sopravvenuta.

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Pubblicato il 20 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Utili non dichiarati: la Cassazione sulla presunzione di distribuzione ai soci

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, è tornata su un tema cruciale del diritto tributario: la presunzione distribuzione utili non dichiarati nelle società di capitali a ristretta base partecipativa. La decisione analizza i presupposti di tale presunzione, l’onere della prova a carico del contribuente, la legittimità del raddoppio dei termini per l’accertamento e l’applicazione del principio del favor rei per le sanzioni.

I fatti del caso

L’Agenzia delle Entrate notificava a un contribuente un avviso di accertamento per maggiore IRPEF relativa all’anno d’imposta 2007. L’Amministrazione Finanziaria contestava redditi di capitale derivanti dalla presunta distribuzione di utili extracontabili da parte di una S.p.A. a base societaria ristretta, di cui il contribuente era socio di maggioranza (al 95%, con il restante 5% detenuto dalla figlia). Il contribuente impugnava l’atto impositivo, ma sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale respingevano le sue doglianze, confermando la legittimità dell’operato dell’Ufficio. Contro la sentenza di secondo grado, il contribuente proponeva ricorso per Cassazione, articolando quattro motivi di censura.

Le questioni giuridiche e la presunzione distribuzione utili

Il ricorso sottoposto alla Suprema Corte verteva su quattro questioni principali:

1. Raddoppio dei termini di accertamento: Il ricorrente contestava la legittimità del raddoppio dei termini di decadenza per l’azione accertatrice, sostenendo che l’atto impositivo fosse privo di una specifica motivazione riguardo all’inoltro della denuncia penale all’autorità competente.
2. Divieto di nuovo accertamento: Si deduceva la violazione dell’art. 41-bis del D.P.R. 600/73, sostenendo che l’avviso di accertamento, essendo successivo a un altro per la stessa annualità, dovesse considerarsi integrativo e quindi ammissibile solo in presenza di fatti nuovi, che nel caso di specie non sussistevano.
3. Applicazione della presunzione di distribuzione utili: Il contribuente criticava l’applicazione della presunzione di attribuzione ai soci degli utili extracontabili, ritenendo che mancasse una prova precisa da parte dell’Amministrazione Finanziaria sui maggiori ricavi della società.
4. Rideterminazione delle sanzioni: Infine, si chiedeva l’applicazione del più favorevole regime sanzionatorio introdotto dal D.Lgs. 158/2015, in virtù del principio del favor rei.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte ha rigettato i primi tre motivi di ricorso, ritenendoli infondati, mentre ha accolto il quarto.

Sul raddoppio dei termini, i giudici hanno ribadito il consolidato orientamento secondo cui tale meccanismo opera in presenza del solo presupposto astratto della configurabilità di un reato tributario che imponga l’obbligo di denuncia. Non è necessaria né l’effettiva presentazione della denuncia né l’inizio dell’azione penale. L’Amministrazione non è tenuta a fornire una specifica motivazione nell’atto impositivo sull’invio della denuncia, essendo sufficiente che sussistano gli elementi per l’obbligo di segnalazione.

In merito al divieto di nuovo accertamento, la Corte ha dichiarato il motivo inammissibile e infondato. Ha evidenziato che la decisione dei giudici di merito si fondava su una duplice argomentazione (mancata prova della conoscenza pregressa dei fatti da parte dell’Ufficio e qualificazione dell’atto come accertamento parziale ai sensi dell’art. 41-bis), e il ricorrente non aveva censurato la seconda, rendendo la statuizione definitiva.

Per quanto riguarda il punto centrale della presunzione distribuzione utili, la Cassazione ha confermato la sua piena legittimità. In presenza di una società di capitali a ristretta base partecipativa, l’accertamento di maggiori ricavi non contabilizzati fa scattare la presunzione che tali utili siano stati distribuiti ai soci pro quota. La ristrettezza della compagine sociale (in questo caso composta da padre e figlia) è considerata un elemento presuntivo grave, preciso e concordante, idoneo a sostenere l’accertamento. Spetta quindi al contribuente fornire la prova contraria, dimostrando che i maggiori utili sono stati accantonati, reinvestiti nella società o non sono stati affatto percepiti.

Infine, sul quarto motivo, la Corte ha accolto la richiesta del contribuente. Ha riaffermato che il principio del favor rei, sancito dall’art. 3 del D.Lgs. 472/1997, impone l’applicazione della legge sanzionatoria più mite sopravvenuta, a condizione che il provvedimento sanzionatorio non sia ancora divenuto definitivo. Poiché il processo era ancora in corso, il contribuente aveva diritto alla rideterminazione delle sanzioni alla luce della nuova e più favorevole normativa.

Le conclusioni

La Suprema Corte ha accolto il ricorso limitatamente al motivo relativo alle sanzioni. Ha cassato la sentenza impugnata su questo punto e ha rinviato la causa alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione, per il ricalcolo delle sanzioni secondo la disciplina più favorevole. La decisione conferma la solidità della presunzione distribuzione utili come strumento di accertamento nei confronti dei soci di società a ristretta base, ponendo a loro carico un onere probatorio particolarmente rigoroso. Al contempo, garantisce l’applicazione del principio di legalità e di favore per il contribuente in materia sanzionatoria, anche nei giudizi pendenti.

Quando gli utili non dichiarati di una società a base ristretta si presumono distribuiti ai soci?
Secondo la Corte, in una società a ristretta base partecipativa, l’accertamento di maggiori ricavi societari non contabilizzati è sufficiente a far presumere, fino a prova contraria, che tali utili siano stati distribuiti ai soci in proporzione alle loro quote. La ristrettezza della compagine sociale è di per sé un elemento presuntivo idoneo a sostenere l’accertamento.

Per applicare il raddoppio dei termini di accertamento è necessario che l’Agenzia delle Entrate abbia già sporto denuncia penale?
No. La Corte ha chiarito che il raddoppio dei termini opera quando la violazione fiscale integra astrattamente un reato per cui è previsto l’obbligo di denuncia, indipendentemente dall’effettiva presentazione della denuncia stessa o dall’esito del procedimento penale.

Un contribuente può beneficiare di una nuova legge con sanzioni più basse se il suo processo è ancora in corso?
Sì. La Corte ha accolto questo motivo, affermando che, in base al principio del favor rei, le norme sanzionatorie più favorevoli sopravvenute durante un processo devono essere applicate, a condizione che la parte sanzionatoria del provvedimento impugnato non sia ancora diventata definitiva.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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