Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 29091 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 29091 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 04/11/2025
ORDINANZA
sul ricorso n.r.g. 8851/2021, proposto da:
COGNOME NOME , rappresentata e difesa, per procura unita al ricorso, dall’AVV_NOTAIO, la quale indica per le notificazioni al domicilio il proprio indirizzo di posta elettronica certificata EMAIL
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, presso la quale è domiciliata a ROMA, in INDIRIZZO
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 2303/2020 della Commissione tributaria regionale della Calabria, depositata il 6 ottobre 2020; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del l’8 ottobre 2025 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
Rilevato che:
L’Amministrazione finanziaria notificò a NOME COGNOME un avviso di accertamento contenente ripresa a tassazione di maggiori redditi, in relazione ad Irpef per l’anno 2012, in conseguenza del rilievo di utili extracontabili percetti dalla società RAGIONE_SOCIALE, a ristretta base partecipativa, della quale la contribuente deteneva una quota pari al 33,3%.
La COGNOME impugnò l’avviso innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Catanzaro, che respinse il ricorso.
Il successivo appello della contribuente seguì identica sorte.
I giudici regionali, con la sentenza indicata in epigrafe, rilevarono in premessa che, essendo divenuto definitivo l’accertamento di maggiori utili a carico della società, il gravame era ammissibile limitatamente ai motivi concernenti l’operatività della p resunzione di distribuzione degli stessi fra i soci.
Quindi osservarono che, a tale riguardo, non assumeva alcun rilievo la circostanza che la COGNOME non fosse più socia dal 2016, ovvero da epoca successiva a quella di ritenuta operatività della presunzione.
Ritennero, infine, infondata l’eccezione di violazione del contraddittorio endoprocedimentale, poiché l’accertamento non aveva riguardato tributi armonizzati.
La contribuente ha impugnato la sentenza d’appello con ricorso per cassazione affidato a sei motivi.
L’RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
Considerato che:
Il primo motivo di ricorso denunzia nullità della sentenza per carenza assoluta di motivazione, ovvero per apparenza della stessa.
La ricorrente assume che la RAGIONE_SOCIALE avrebbe deciso la controversia «condividendo acriticamente» le difese svolte dall’Ufficio, senza tener conto RAGIONE_SOCIALE «numerose eccezioni contenute nel ricorso», concernenti profili di intrinseca validità dell’avviso di acce rtamento per difetto di motivazione, e senza esaminare «le prove offerte».
Il secondo motivo agita identica questione in relazione al tema dell’operatività della presunzione.
Ad avviso della ricorrente, la RAGIONE_SOCIALE avrebbe errato nell’estendere automaticamente nei suoi confronti il maggiore imponibile accertato a carico della società, in particolare omettendo di indagare circa la sussistenza del presupposto fondamentale, consistente nella ristretta base partecipativa, nonché in ordine a «tutte le altre doglianze proposte sia in primo grado che in appello».
Con il terzo motivo, la ricorrente deduce la violazione degli artt. 6 e 7 della l. n. 212/2000, degli artt. 39, comma terzo, e 42 del d.P.R. n. 600/1973 e degli artt. 2727, 2729 e 2697 cod. civ.
Al riguardo, premette in fatto di aver appreso dell’accertamento sulla società «in sede di accertamento con adesione, allorquando non era più socia».
Assume, quindi, che l’intervenuta fuoriuscita dalla compagine, in epoca anteriore alla conoscenza dell’atto impositivo da parte sua, renderebbe inoperabile il principio in base al quale il contraddittorio con il socio è soddisfatto dalla notifica di avviso motivato per relationem con l’atto impositivo notificato alla società, potendo il primo accedere alla documentazione della seconda.
Con il quarto motivo, lamentando «violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. nonché dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 32 DPR 600/73», oltre ad «assenza di motivazione» e «omesso
esame di fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti», la ricorrente si duole del fatto che la sentenza impugnata non avrebbe operato «nessun riferimento alle prove valorizzate in primo grado», né avrebbe «reso ragione della ritenuta non legittimità del ragionamento della ricorrente».
Ancora, con il quinto motivo, deducendo la violazione dell’art. 2728 cod. civ., la ricorrente critica la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto non assolto l’onere di prova contraria a suo carico ; osserva che, invece, le prove da lei offerte avrebbero dovuto «portare a una rivisitazione dell’intera posizione» e sost iene che la regola probatoria adottata dai giudici d’appello sarebbe consistita in un’inammissibile doppia presunzione (dapprima a carico della RAGIONE_SOCIALE per l’accertamento del maggior reddito, quindi a suo carico per la distribuzione degli utili extracontabili).
Infine, con il sesto motivo, rubricato «violazione dell’art. 5 TUIR e degli artt. 2727 e 2729 c.c.», la ricorrente assume che la RAGIONE_SOCIALE avrebbe ritenuto operativa la presunzione di distribuzione «senza prima aver chiarito se nella specie di causa effettivamente si vertesse in ipotesi di applicabilità» della stessa e, segnatamente, senza accertare in capo alla compagine sociale «quel vincolo di solidarietà e reciproco controllo che normalmente in questi casi caratterizza la gestione sociale».
Il primo, il secondo e il quarto motivo possono essere scrutinati congiuntamente, in quanto strettamente connessi.
Tutte le censure, infatti, hanno ad oggetto, sotto diversa visione prospettica, la motivazione della sentenza impugnata, che la ricorrente assume inesistente, ovvero apparente, ovvero ancora viziata dall’omesso esame di circostanze fattuali nei termini dei quali si è dato conto in precedenza.
7.1. Tutti i motivi sono infondati.
Circa il lamentato «vizio motivazionale assoluto», questa Corte ha ripetutamente affermato che esso sussiste allorquando il giudice -in violazione di un preciso obbligo di legge, costituzionalmente imposto (art. 111, comma sesto, Cost.) e fissato dall’art. 132, secondo comma, num. 4), cod. proc. civ. e dall’omologa previsione contenuta nell’art. 36, comma 2, n. 4), del d.lgs. n. 546/1992 per il processo tributario -omette di esporre, anche concisamente, i motivi in fatto e diritto della decisione.
Ciò si verifica quando non sono illustrate le ragioni e l’iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, ovvero non è chiarito su quali prove si fondato il convincimento che la sostiene, in modo da consentendo anche una verifica del fatto che il giudice abbia effettivamente statuito iuxta alligata et probata , e senza che a tal fine l’interprete debba integrare la decisione con le più varie, ipotetiche congetture (v. Cass. n. 30178/2023; Cass. n. 5335/2018; Cass. n. 2876/2017).
7.2. Ancora, e quanto alla denunziata nullità della sentenza per «motivazione apparente», deve ribadirsi, in conformità al consolidato orientamento di questa Corte, che tale vizio sussiste quando, dietro la parvenza di una giustificazione della decisione assunta, questa è tuttavia motivata in modo che non consente «di comprendere le ragioni e, quindi, le basi della sua genesi e l’iter logico seguito per pervenire da essi al risultato enunciato» (così Cass. n. 4448/2014).
La motivazione, in questi casi, ancorché materialmente esistente, non rende percepibili le ragioni della decisione, perché consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento del giudice e, di conseguenza, non consente alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del relativo ragionamento, sì da non attingere la soglia del ‘minimo costituzionale’ (cfr. Cass. Sez. U, n. 8053/2014).
In tale caso, la mera apparenza della motivazione è causa di nullità della sentenza, in quanto ne comporta il venir meno della finalità sua propria, che è quella di esternare un «ragionamento che, partendo da determinate premesse pervenga con un certo procedimento enunciativo», logico e consequenziale, «a spiegare il risultato cui si perviene sulla res decidendi » (così Cass., Sez. U, n. 22232/2016).
7.3. Nessuna di tali ipotesi sussiste nel caso di specie.
La sentenza d’appello, infatti, espone in termini sintetici, ma assolutamente intelligibili ed efficaci, l’iter logico seguito per la sua adozione, che può essere così riassunto:
la presunzione di distribuzione fra i soci degli utili extracontabili della società di capitali a ristretta base non si pone in contrasto con il divieto di doppia presunzione, poiché, secondo quanto costantemente affermato dalla giurisprudenza, non si fonda sui redditi induttivamente accertati a carico della società, ma dalla ristrettezza dell’assetto societario e dalle sue implicazioni;
-per tale ragione, e sempre secondo l’insegnamento di questa Corte, a fronte di un accertamento definitivo a carico della società, il socio non ha più titolo per contestare nel merito la pretesa erariale se non per il segmento attinente all’operatività de lla presunzione nei suoi confronti;
-nel caso concreto, l’accertamento nei confronti della società era divenuto definitivo e le contestazioni svolte dalla contribuente non erano meritevoli di àdito, non essendo sufficiente, in particolare, il fatto che costei non fosse più socia dal 2016 (per le ragioni poi meglio specificate).
7.4. Così esclusi i lamentati vizi attinenti alla motivazione, le censure vanno per il resto dichiarate inammissibili laddove denunziano la violazione dell’art. 115 cod. o l’omesso esame di fatti controversi e decisivi.
Per entrambi i profili, infatti, la ricorrente ha anzitutto omesso di indicare, nello specifico, quali richieste, istanze o deduzioni istruttorie sarebbero state da lei avanzate e trascurate o disattese, in violazione del principio di autosufficienza; né, nello stesso senso, ha richiamato o riportato le parti del proprio atto di appello contenenti tali indispensabili rilievi.
Quanto, poi, alla doglianza formulata con riferimento all’art. 360, comma primo, num. 5), cod. proc. civ., va ulteriormente rilevato che, vertendosi in fattispecie di cd. doppia conforme, tale specifica indicazione dei fatti asseritamente non esaminati era indispensabile, onde consentire di verificare che si trattasse effettivamente di circostanze non scrutinate in alcuno dei gradi di merito.
Il terzo motivo, per come formulato, non supera il vaglio di ammissibilità.
Per contrastare la decisione impugnata, infatti, la contribuente deduce una circostanza -la propria fuoriuscita dalla compagine sociale in data anteriore alla notifica dell’atto impositivo che, a prescindere da ogni considerazione circa la sua idoneità a fondare la denunziata violazione del contraddittorio, imponeva la produzione della relativa prova documentale o, quantomeno, l’indicazione di elementi specifici che consentissero a questa Corte di esaminarla; e ciò con riferimento tanto al momento di effettiva fuoriuscita dal sodalizio, quanto al contenuto dell’atto notificato, onde accertarne la conformità ai canoni di sufficiente motivazione.
La censura, dunque, appare irrispettosa del principio di autosufficienza, che, com’è noto, comporta un obbligo di indicazione espressa degli atti processuali o dei documenti sui quali il ricorso si fonda, oltreché di specificazione della sede processuale nella quale sono stati prodotti o sono reperibili (cfr. ex multis Cass. n. 34395/2023, Cass. n. 28184/2020).
Il quinto motivo è inammissibile nella parte in cui è volto a contestare la valutazione RAGIONE_SOCIALE prove operata dai giudici d’appello, poiché si risolve nella richiesta di una rivalutazione del materiale istruttorio già apprezzato in sede di merito, non consentita in questa sede.
Esso, in ogni caso, è anche infondato: il ragionamento operato dai giudici regionali in punto all’operatività della presunzione, come più sopra riassunto al punto 7.3., si pone infatti in continuità con quanto da tempo affermato da questa Corte (cfr. ex multis Cass. n. 2743/2025; Cass. n. 20268/2024; Cass. n. 752/2021; Cass. n. 29503/2020; Cass. n. 386/2016).
10. Il sesto motivo, infine, è inammissibile.
La circostanza della ristretta base partecipativa non risulta essere mai stata posta in contestazione dall’odierna ricorrente, i cui motivi di contestazione della pretesa erariale, per come riportati nella sentenza d’appello, attenevano a profili tutt’affatto diversi ; né, del resto, la stessa ricorrente ha riportato o richiamato parti del proprio atto di impugnazione con il quale deduceva tale circostanza.
11. In conclusione, il ricorso dev’essere respinto.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115/2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese, che liquida in € 5.600,00, oltre spese prenotate a debito.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del l’art. 13, comma 1bis , del d.P.R. n. 115/2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte Suprema di cassazione, l’8 ottobre 2025.
La Presidente NOME COGNOME