Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 29073 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 29073 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 04/11/2025
ORDINANZA
sul ricorso n.r.g. 30410/2021, proposto da:
COGNOME NOME , rappresentato e difeso, per procura unita al ricorso, dall’AVV_NOTAIO, la quale indica per le notificazioni al domicilio il proprio indirizzo di posta elettronica certificata EMAIL
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, presso la quale è domiciliata a ROMA, in INDIRIZZO
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 1216/2021 della Commissione tributaria regionale della Calabria, depositata il 23 aprile 2021; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del l’8 ottobre 2025 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
Rilevato che:
L’Amministrazione finanziaria notificò a NOME COGNOME un avviso di accertamento contenente ripresa a tassazione di maggiori redditi, in relazione ad Irpef per l’anno 2012, in conseguenza del rilievo di utili extracontabili percetti dalla società RAGIONE_SOCIALE, a ristretta base partecipativa, della quale il contribuente deteneva una quota pari al 33,3%.
Il COGNOME impugnò l’avviso innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Catanzaro, che respinse il ricorso.
Il successivo appello del contribuente seguì identica sorte.
I giudici regionali, con la sentenza indicata in epigrafe, rilevarono in premessa l’intervenuta definitività del l’a vviso di accertamento di maggiori utili a carico della società, che il contribuente non aveva impugnato quantunque fosse entrato nella sua sfera di conoscenza.
Ciò posto, ritenuta operativa la presunzione di distribuzione fra i soci degli utili extracontabili percetti dalla società di capitali a ristretta base, osservarono che costui non aveva offerto prova contraria.
Il COGNOME ha impugnato la sentenza d’appello con ricorso per cassazione affidato a cinque motivi.
L’RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
Considerato che:
Il primo motivo di ricorso denunzia nullità della sentenza per carenza assoluta di motivazione, ovvero per apparenza della stessa.
Il ricorrente assume che la RAGIONE_SOCIALE avrebbe deciso la controversia «trascrivendo integralmente e testualmente» le argomentazioni difensive de ll’Ufficio, senza tener conto dell a «rilevante e probante
documentazione» e senza esaminare le numerose eccezioni sollevate in punto alla validità intrinseca dell’atto impositivo, fra le quali, in primis , quella di nullità per difetto di motivazione.
Il secondo motivo denunzia nullità della sentenza per omessa pronunzia in relazione al tema dell’operatività della presunzione.
Ad avviso del ricorrente, la RAGIONE_SOCIALE avrebbe errato nell’estendere automaticamente nei suoi confronti il maggiore imponibile accertato a carico della società, in particolare omettendo di indagare circa la sussistenza del presupposto fondamentale, consistente nella ristretta base partecipativa, nonché in ordine a «tutte le altre doglianze proposte sia in primo grado che in appello».
Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta violazione degli artt. 6 e 7 della l. n. 212/2000, degli artt. 39, comma terzo, e 42 del d.P.R. n. 600/1973 e degli artt. 2727, 2729 e 2697 cod. civ.
Al riguardo, premette in fatto di aver appreso dell’accertamento sulla società «in sede di accertamento con adesione, allorquando non era più socio».
Assume, quindi, che l’intervenuta fuoriuscita dalla compagine, in epoca anteriore alla conoscenza dell’atto impositivo da parte sua, renderebbe inoperabile il principio in base al quale il contraddittorio con il socio è soddisfatto dalla notifica di avviso motivato per relationem con l’atto impositivo notificato alla società, potendo il primo accedere alla documentazione della seconda.
Con il quarto motivo, lamentando «violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. nonché dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 32 DPR 600/73», nonché «assenza di motivazione» e «omesso esame di fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti», il ricorrente si duole del fatto che la sentenza impugnata non avrebbe operato «nessun riferimento alle prove valorizzate in primo
grado», né avrebbe «reso ragione della ritenuta non legittimità del ragionamento» da lui svolto.
5. Infine , con il quinto motivo, lamentando violazione dell’art. 2728 cod. civ., il ricorrente critica la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto non assolto l’onere di prova contraria a suo carico, osservando che, invece, le prove da lui offerte avrebbero dovuto «portare a una rivisitazione dell’intera posizione» e sostenendo che la regola probatoria adottata dai giudici d’appello sarebbe consistita in un’inammissibile doppia presunzione (dapprima a carico della RAGIONE_SOCIALE per l’accertamento del maggior reddito, quindi a suo carico per la distribuzione degli utili extracontabili).
Il primo, il secondo e il quarto motivo possono essere scrutinati congiuntamente, in quanto strettamente connessi.
Tutte le censure, infatti, hanno ad oggetto, sotto diversa visione prospettica, la motivazione della sentenza impugnata, che il contribuente assume inesistente, ovvero apparente, ovvero ancora viziata dall’omesso esame di circostanze fattuali nei termini dei quali si è dato conto in precedenza.
6.1. Tutti i motivi sono infondati.
Circa il lamentato «vizio motivazionale assoluto», questa Corte ha ripetutamente affermato che esso sussiste allorquando il giudice -in violazione di un preciso obbligo di legge, costituzionalmente imposto (art. 111, comma sesto, Cost.) e fissato dall’art. 132, secondo comma, num. 4), cod. proc. civ. e dall’omologa previsione contenuta nell’art. 36, comma 2, n. 4), del d.lgs. n. 546/1992 per il processo tributario -omette di esporre, anche concisamente, i motivi in fatto e diritto della decisione.
Ciò si verifica quando non sono illustrate le ragioni e l’iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, ovvero non è chiarito su quali prove il giudice ha fondato il proprio convincimento e sulla base
di quali argomentazioni è pervenuto alla propria determinazione, in tal modo consentendo anche di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata , e senza che a tal fine l’interprete debba integrare la decisione con le più varie, ipotetiche congetture (v. Cass. n. 30178/2023; Cass. n. 5335/2018; Cass. n. 2876/2017).
6.2. Ancora, e quanto alla denunziata nullità della sentenza per «motivazione apparente», deve ribadirsi, in conformità al consolidato orientamento di questa Corte, che tale vizio sussiste quando, dietro la parvenza di una giustificazione della decisione assunta, questa è tuttavia motivata in modo che non consente «di comprendere le ragioni e, quindi, le basi della sua genesi e l’iter logico seguito per pervenire da essi al risultato enunciato» (così Cass. n. 4448/2014).
La motivazione, in questi casi, ancorché materialmente esistente, non rende percepibili le ragioni della decisione, perché consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento del giudice e, di conseguenza, non consente alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del relativo ragionamento, sì da non attingere la soglia del ‘minimo costituzionale’ (cfr. Cass. Sez. U, n. 8053/2014).
In tale caso, la mera apparenza della motivazione è causa di nullità della sentenza, in quanto ne comporta il venir meno della finalità sua propria, che è quella di esternare un «ragionamento che, partendo da determinate premesse pervenga con un certo procedimento enunciativo», logico e consequenziale, «a spiegare il risultato cui si perviene sulla res decidendi » (così Cass., Sez. U, n. 22232/2016).
6.3. Nessuna di tali ipotesi sussiste nel caso di specie.
La sentenza d’appello, infatti, espone efficacemente l’iter logico seguito per la sua adozione, in termini che possono essere così compendiati:
la presunzione di distribuzione fra i soci degli utili extracontabili della società di capitali a ristretta base non si pone in contrasto con il divieto di doppia presunzione, poiché, secondo quanto costantemente affermato dalla giurisprudenza, non si fonda sui redditi induttivamente accertati a carico della società, ma dalla ristrettezza della base sociale e dal vincolo di solidarietà e reciproco controllo fra soci;
-per tale ragione, e sempre secondo l’insegnamento di questa Corte, a fronte di un accertamento definitivo a carico della società, il socio non ha più titolo per contestare nel merito la pretesa erariale se non per il segmento attinente all’operatività de lla presunzione nei suoi confronti;
-nel caso concreto, l’accertamento nei confronti della società era divenuto definitivo e le contestazioni svolte dal contribuente non erano idonee a sovvertire la prova presuntiva.
6.4. Così esclusi i lamentati vizi attinenti alla motivazione, le censure vanno per il resto dichiarate inammissibili laddove denunziano la violazione dell’art. 115 cod. o l’omesso esame di fatti controversi e decisivi.
Per entrambi i profili, infatti, il ricorrente ha anzitutto omesso di indicare, nello specifico, quali richieste, istanze o deduzioni istruttorie sarebbero state da lui avanzate e trascurate o disattese, in violazione del principio di autosufficienza; né, nello stesso senso, ha richiamato o riportato le parti del proprio atto di appello contenenti tali indispensabili rilievi.
Quanto, poi, alla doglianza formulata con riferimento all’art. 360, comma primo, num. 5), cod. proc. civ., va ulteriormente rilevato che, vertendosi in fattispecie di cd. doppia conforme, tale specifica indicazione dei fatti asseritamente non esaminati era indispensabile, onde consentire di verificare che si trattasse effettivamente di circostanze non scrutinate in alcuno dei gradi di merito.
Il terzo motivo, per come formulato, non supera il vaglio di ammissibilità.
Per contrastare la decisione impugnata, infatti, il ricorrente deduce una circostanza -la propria fuoriuscita dalla compagine sociale in data anteriore alla notifica dell’atto impositivo che, a prescindere da ogni considerazione circa la sua idoneità a fondare la denunziata violazione del contraddittorio, imponeva la produzione della relativa prova documentale o, quantomeno, l’indicazione di elementi specifici che consentissero a questa Corte di esaminarla, nonché la prova del fatto che l’atto impositivo notificato non fosse conforme ai canoni di sufficiente motivazione.
La censura, dunque, appare irrispettosa del principio di autosufficienza, che, com’è noto, comporta un obbligo di indicazione espressa degli atti processuali o dei documenti sui quali il ricorso si fonda, oltreché di specificazione della sede processuale nella quale sono stati prodotti o sono reperibili (cfr. ex multis Cass. n. 34395/2023, Cass. n. 28184/2020).
Il quinto motivo è inammissibile nella parte in cui è volto a contestare la valutazione RAGIONE_SOCIALE prove operata dai giudici d’appello, poiché si risolve nella richiesta di una rivalutazione del materiale istruttorio già apprezzato in sede di merito che non è consentita in questa sede.
Lo stesso, in ogni caso, è anche infondato: il ragionamento operato dai giudici regionali in punto all’operatività della presunzione, come più sopra riassunto al punto 6.3., si pone infatti in continuità con quanto da tempo affermato da questa Corte (cfr. ex multis Cass. n. 2743/2025; Cass. n. 20268/2024; Cass. n. 752/2021; Cass. n. 29503/2020; Cass. n. 386/2016).
In conclusione, il ricorso dev’essere respinto.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115/2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese, che liquida in € 5.600,00, oltre spese prenotate a debito.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del l’art. 13, comma 1bis , del d.P.R. n. 115/2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte Suprema di cassazione, l’8 ottobre 2025.
La Presidente NOME COGNOME