Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 25693 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 25693 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 19/09/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 8575/2020 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso per procura speciale in atti dall’avv. NOME COGNOME del foro di Caserta
-ricorrente –
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore generale pro tempore, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato
-controricorrente – avverso la sentenza n. 10637/15/2018 della Commissione tributaria regionale della Campania, depositata in data 10.12.2018, non notificata;
udita la relazione svolta alla pubblica udienza del giorno 3.6.2025 dal Cons. NOME COGNOME udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito per l’Agenzia delle Entrate l’Avvocatura dello Stato, in persona dell’avv. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
IRPEF. reddito di partecipazione -presunzione di distribuzione di utili -indagini bancarie
1. COGNOME NOME impugnava l’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate di Caserta per l’anno di imposta 2011, a seguito di accertamento emesso nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE di cui era socio al 67%, con conseguente presunzione di distribuzione degli utili in proporzione alla quota sociale e recupero delle maggiori imposte a titolo di Irpef, addizionale Irpef comunale ed addizionale Irpef regionale, oltre sanzioni ed interessi.
2.La Commissione Tributaria Provinciale di Caserta, nella resistenza dell’Agenzia delle Entrate, accoglieva il ricorso osservando che, essendo circostanza pacifica che la società RAGIONE_SOCIALE era stata cancellata dal registro delle imprese in data 28.1.2012, nessuna prova poteva trarsi dalla mancata impugnazione dell’avviso di accertamento, inviato a soggetto inesistente.
3. La Commissione Tributaria Regionale della Campania (d’ora in poi C.T.R.), adita dall’Ufficio, accoglieva il gravame, osservando che la cancellazione della società non impediva all’amministrazione di accertare e sanzionare illeciti tributari; era irrilevante l’art. 2495 c.c., in quanto si riferiva a rapporti di natura privatistica; l’accertamento nei confronti della società era divenuto definitivo per mancata impugnazione, con la conseguenza che operava senza dubbio la presunzione di distribuzione degli utili extracontabili ai soci, in proporzione alla quota detenuta, in presenza di ristretta base societaria ed in difetto di prova contraria.
4.Avverso la precitata sentenza ha proposto ricorso per cassazione COGNOME SalvatoreCOGNOME affidato a tre motivi.
L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
6.La Procura Generale ha depositato requisitoria scritta.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo -rubricato «violazione degli articoli 2945, comma 2, 2697 e 2727 cod. civ. nonché dell’art. dell’art. 38 Dpr n. 600/1973, ai sensi dell’art. 360, primo comma n. 3 cod. proc. civ .»
-il ricorrente assume che la C.T.R. ha errato a ritenere che l’accertamento nei confronti della società fosse divenuto definitivo, posto che l’estinzione della società ha effetti erga omnes per cui l’accertamento o altro atto impositivo notificato ed intestato alla società deve ritenersi inesistente, potendo i creditori della società, compreso il Fisco, soddisfarsi nei confronti dei soci nei limiti delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione. L’avviso di accertamento spiccato nei suoi confronti era pertanto affetto da illegittimità derivata, a causa dell’inesistenza dell’avviso di accertamento emesso nei confronti di una società estinta. La pronuncia violerebbe anche l’art. 2967 c.c. perché la presunzione di distribuzione può operare solo se a monte vi è un valido atto impositivo nei confronti della società
Il motivo e’ infondato.
1.1.Il ricorrente confonde la posizione dei creditori della società con quella dei creditori dei soci. L’amministrazione fiscale ha agito al fine di recuperare a tassazione nei confronti del socio gli utili extracontabili derivanti dall’accertamento emesso nei confronti della società, che non è stato autonomamente impugnato né dai soci in qualità di successori della società estinta, né dall’odierno ricorrente in qualità di destinatario di autonomo atto di accertamento per il recupero dell’Irpef derivante dagli utili extracontabili presuntivamente percepiti. Il ricorrente non ha mai contestato l’esistenza della ristretta base sociale, né la qualità di socio, nè la sussistenza dei maggiori ricavi conseguiti nell’anno di imposta 2011 dalla società nel presente giudizio. La responsabilità dei soci per i debiti sociali e le sue limitazioni sono dunque inconferenti.
2.Con il secondo motivo, rubricato « violazione degli articoli 2495, secondo comma, cod. civ. e 38 DPR 600/1973, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c .», il ricorrente deduce essere errata l’affermazione della C.T.R. secondo cui l’avviso di accertamento
emesso nei confronti della società era divenuto definitivo per mancata impugnazione, trattandosi di atto giuridicamente inesistente, come tale insuscettibile di consolidarsi e divenire inoppugnabile, perché l’eventuale ricorso proposto dal socio o dal liquidatore in nome del soggetto estinto sarebbe inammissibile per difetto di legittimazione attiva.
Il motivo è infondato.
2.1. Per come già chiarito al punto precedente, il ricorrente, cui l’avviso di accertamento emesso nei confronti della società è stato peraltro notificato unitamente all’avviso qui impugnato (cfr. pagina 3 dell’avviso, rigo 6) – adempimento peraltro non necessario (vedasi Cass. n. 28660/2024 sulla presunzione di conoscenza degli atti societari da parte dei soci, considerati come naturalmente informati delle vicende sociali) -avrebbe ben potuto impugnare l’avviso di accertamento relativo alla società unitamente al proprio ovvero in ogni caso contestare la sussistenza di ricavi non dichiarati dalla società, allo scopo di contrastare la pretesa rivolta nei suoi confronti quale socio percettore di utili extracontabili. La giurisprudenza emessa in tema di legittimazione attiva dell’ex liquidatore della società estinta è pertanto inconferente, in quanto nella fattispecie in esame si controverte solo di reddito di partecipazione.
3.Con il terzo motivo, rubricato « violazione degli articoli 2697 c.c., 38 d.p.r. 600/73 e 44 d.p.r. 917/89, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.. Omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti» , il ricorrente lamenta, in sintesi, che la C.T.R. avrebbe omesso di spiegare da dove avesse tratto il convincimento che gli utili erano stati distribuiti, che essi fossero stati distribuiti in misura proporzionale alla quota di partecipazione e che fossero stati distribuiti proprio nell’anno di imposta 2011, tutti elementi che avrebbero dovuto essere dimostrati dall’amministrazione
finanziaria, non essendo la ristretta base societaria idonea ad integrare una valida presunzione e non potendo il socio provare il fatto negativo della mancata distribuzione.
3.1.Premesso che non risulta affatto individuato il fatto storico naturalistico, del quale sarebbe stato omesso l’esame e che, ove esaminato, avrebbe avuto rilievo decisivo , dal che consegue l’inammissibilità della doglianza, va in ogni caso osservato che la statuizione è conforme ai consolidati principi affermati da questa Corte (tra le più recenti, Cass. n. 26032/2024, Cass. n. 21158/2024), secondo cui, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di società di capitali a ristretta base partecipativa, è legittima la presunzione di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà per il contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non siano stati fatti oggetto di distribuzione, ma siano stati invece accantonati dalla società, ovvero da essa reinvestiti o che di essi se ne sia appropriato altro soggetto, non essendo tuttavia a tal fine sufficiente la mera deduzione che l’esercizio sociale ufficiale si sia concluso con perdite contabili (cfr. Cass. V n. 5076/2011; n. 17928/2012; n. 27778/2017; n. 30069/2018; 27049/2019, nonché Cass. VI -5 n. 24820/2021). In particolare, si è chiarito che la presunzione di distribuzione ai soci degli utili non contabilizzati non viola il divieto di presunzione di secondo grado, poiché il fatto noto non è costituito dalla sussistenza dei maggiori redditi induttivamente accertati, ma dalla ristrettezza della base sociale e dal vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci che, in tal caso, normalmente caratterizza la gestione sociale (Cass. 22 aprile 2009, n. 9519). E’ stato altresì precisato che, salvo prova contraria a carico del socio, si presume che la distribuzione sia avvenuta in misura proporzionata alla quota di partecipazione e nell’anno in cui sono stati conseguiti dalla società maggiori ricavi, stante che, in mancanza -trattandosi di utili occulti -di una deliberazione
ufficiale di approvazione del bilancio (soltanto dopo la quale può essere effettuata la distribuzione degli utili dichiarati), la distribuzione ai soci degli utili extracontabili si presume avvenuta nello stesso periodo d’imposta in cui gli utili sono stati conseguiti dalla società (ex multis, cfr. Cass. 18/12/2015, n. 25468; Cass. 26/03/2007, n. 7260; Cass. 15/05/2003, n. 7564).
3.2. La C.T.R. non ha pertanto violato le regole di riparto dell’onere della prova, né può sostenersi che il contribuente fosse onerato della prova di un fatto negativo, dovendo invece provare un fatto positivo incompatibile con la redistribuzione, ossia il reinvestimento o l’accantonamento o l’appropriazione da parte di un terzo soggetto degli utili derivanti dai maggiori ricavi accertati in capo alla società.
4.Il ricorso va conclusivamente rigettato.
5.Spese secondo soccombenza.
6.Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 115/2002, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in euro 7.600,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 115/2002, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 3.6.2025.
Il consigliere estensore
Il Presidente
(NOME COGNOME
(NOME COGNOME)