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Presunzione distribuzione utili: Cassazione conferma

La Corte di Cassazione ha confermato la legittimità di un avviso di accertamento IRPEF notificato a un socio di una S.r.l. a ristretta base partecipativa, basato sulla presunzione di distribuzione di utili extracontabili. La Corte ha stabilito che la precedente cancellazione della società dal registro delle imprese non inficia la validità dell’accertamento nei confronti del socio, il quale ha l’onere di provare che tali utili non sono stati distribuiti.

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Pubblicato il 1 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Presunzione Distribuzione Utili: La Cassazione Conferma la Tassazione del Socio Anche Dopo la Cancellazione della Società

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 25693/2025, torna su un tema cruciale del diritto tributario: la presunzione distribuzione utili ai soci di società a ristretta base partecipativa. La pronuncia chiarisce che l’accertamento fiscale nei confronti del socio è legittimo anche se la società è già stata cancellata dal registro delle imprese, ponendo in capo al contribuente un onere probatorio particolarmente stringente.

I Fatti del Caso

La vicenda trae origine da un avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate nei confronti di un contribuente, socio al 67% di una S.r.l. L’atto impositivo mirava al recupero di IRPEF, addizionali e sanzioni per l’anno d’imposta 2011, sulla base di maggiori utili che l’amministrazione finanziaria presumeva fossero stati distribuiti al socio.

Un dettaglio fondamentale del caso è che la società era stata cancellata dal registro delle imprese il 28 gennaio 2012, quindi prima che venisse notificato l’accertamento. Inizialmente, la Commissione Tributaria Provinciale aveva accolto il ricorso del contribuente, ritenendo che, essendo la società un soggetto inesistente al momento dell’accertamento presupposto, non si potesse desumere alcuna prova a carico del socio.

Tuttavia, la Commissione Tributaria Regionale ribaltava la decisione, affermando che la cancellazione della società non impedisce l’accertamento di illeciti tributari. Secondo i giudici d’appello, la mancata impugnazione dell’atto emesso verso la società lo rendeva definitivo, facendo scattare la presunzione di distribuzione degli utili extracontabili al socio, in assenza di prova contraria. Il contribuente ha quindi proposto ricorso per cassazione.

La Decisione della Corte sulla presunzione distribuzione utili

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso del contribuente, confermando la decisione della Commissione Tributaria Regionale e consolidando un principio giurisprudenziale di grande rilevanza. I giudici hanno stabilito che l’accertamento fiscale nei confronti del socio per redditi da partecipazione è un atto autonomo e non dipende dalla validità o definitività dell’accertamento emesso nei confronti della società, soprattutto quando questa è già estinta.

La Corte ha smontato le argomentazioni del ricorrente, chiarendo la netta distinzione tra la posizione dei creditori della società (che possono rivalersi sui soci solo nei limiti di quanto incassato con il bilancio finale di liquidazione) e quella dell’Erario, che in questo caso agisce come creditore diretto del socio per le imposte sui redditi da lui percepiti.

L’Onere della Prova a Carico del Socio

Il punto centrale della sentenza riguarda l’onere della prova. La Cassazione ribadisce che, in presenza di una società di capitali a ristretta base partecipativa, la presunzione distribuzione utili non contabilizzati è legittima. Questa presunzione non viola il divieto di ‘praesumptio de praesumpto’ (presunzione di secondo grado), poiché il fatto noto da cui muove non è l’accertamento dei maggiori ricavi, ma la struttura stessa della società: la ristrettezza della compagine sociale e il vincolo di solidarietà e controllo reciproco tra i pochi soci.

Spetta quindi al contribuente fornire la prova contraria. Non è sufficiente, secondo la Corte, negare genericamente la distribuzione o evidenziare che l’esercizio ufficiale si è chiuso in perdita. Il socio deve dimostrare attivamente che i maggiori ricavi accertati:

1. Sono stati accantonati o reinvestiti dalla società.
2. Sono stati oggetto di appropriazione da parte di un altro soggetto.

In mancanza di tale prova positiva, si presume che gli utili siano stati distribuiti ai soci in proporzione alle loro quote di partecipazione e nello stesso anno d’imposta in cui la società li ha conseguiti.

Le Motivazioni della Sentenza

Le motivazioni della Corte si fondano su una logica giuridica precisa e consolidata. Primo, l’atto impositivo notificato al socio è autonomo rispetto a quello notificato alla società estinta. Il socio avrebbe potuto e dovuto contestare nel merito la sussistenza dei maggiori ricavi della società nel corso del proprio giudizio, al fine di smontare il presupposto della pretesa fiscale nei suoi confronti. Il fatto che l’accertamento verso la società fosse stato notificato a un soggetto giuridicamente inesistente è irrilevante per la posizione del socio.

Secondo, viene rafforzato il principio secondo cui la stretta compagine sociale crea un ambiente in cui è altamente probabile che i soci siano a conoscenza e beneficiari di eventuali utili non dichiarati. Il legame fiduciario e il controllo reciproco rendono inverosimile che profitti ‘in nero’ rimangano occulti a uno dei soci. Questa caratteristica fattuale costituisce la base solida per la presunzione legale.

Infine, la Corte sottolinea che la cancellazione della società non crea uno ‘scudo’ per i soci. L’estinzione dell’ente ha effetti sul piano civilistico per i debiti sociali, ma non impedisce al Fisco di procedere autonomamente nei confronti dei soci per i loro obblighi tributari personali, derivanti da redditi che si presumono percepiti quando la società era ancora in vita.

Conclusioni

La sentenza n. 25693/2025 rappresenta un importante monito per i soci di S.r.l. a ristretta base partecipativa. La presunzione distribuzione utili è un meccanismo probatorio potente a disposizione dell’Agenzia delle Entrate, i cui effetti non vengono meno neppure con la cessazione dell’attività e la cancellazione della società. I soci devono essere consapevoli che, in caso di accertamento di ricavi non contabilizzati in capo alla loro azienda, l’onere di dimostrare la mancata percezione di tali somme ricadrà interamente su di loro. Una difesa efficace non può limitarsi a contestazioni formali, ma deve entrare nel merito e fornire prove concrete e positive del diverso utilizzo dei fondi.

La cancellazione di una società dal registro delle imprese impedisce al Fisco di accertare utili non dichiarati in capo ai soci?
No, la cancellazione della società non impedisce all’amministrazione fiscale di agire nei confronti del socio per recuperare l’imposta sugli utili extracontabili che si presumono distribuiti. L’accertamento verso il socio è un atto autonomo.

Su chi ricade l’onere della prova in caso di accertamento basato sulla presunzione di distribuzione di utili?
L’onere della prova ricade sul socio contribuente. Egli deve dimostrare che i maggiori ricavi accertati in capo alla società non sono stati distribuiti, ma, ad esempio, sono stati reinvestiti, accantonati o appropriati da un altro soggetto.

La presunzione di distribuzione degli utili ai soci di una S.r.l. a base ristretta è una presunzione di secondo grado e quindi vietata?
No, la Corte di Cassazione ha chiarito che non si tratta di una presunzione di secondo grado. Il fatto noto da cui si parte non è l’esistenza dei maggiori redditi, ma la ristrettezza della base sociale e il vincolo di solidarietà e controllo reciproco tra i soci, che caratterizzano la gestione sociale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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