Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 27103 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 27103 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: CORTESI NOME
Data pubblicazione: 09/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso n.r.g. 19107/2018, proposto da:
COGNOME NOME COGNOME rappresentato e difeso, per procura a margine del ricorso, dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliato presso l’Avv. NOME COGNOME in ROMA, INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato presso la quale è domiciliata in ROMA, INDIRIZZO
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 5545/2017 della Commissione tributaria regionale della Lombardia, depositata il 21 dicembre 2017; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23 settembre 2025 dal consigliere dott. NOME COGNOME
Rilevato che:
1. Il 20 maggio 2013 l’Amministrazione finanziaria notificò a NOME COGNOME un avviso di accertamento con il quale recuperava a tassazione, ai fini Irpef per l’anno 2006, i redditi derivanti dalle disponibilità finanziarie che costui deteneva in Svizzera, Paese a fiscalità privilegiata, in violazione degli obblighi di monitoraggio fiscale, oltre ad irrogare sanzioni.
Il contribuente impugnò l’atto impositivo innanzi alla C.T.P. di Milano, che lo annullò in quanto notificato dopo il termine ordinario di decadenza.
Il successivo appello erariale fu accolto con la pronunzia indicata in epigrafe.
I giudici regionali, premesso il rilievo in base al quale l’accertamento aveva tratto origine da un’indagine penale (cd. ‘ inchiesta Pessina ‘ ), dalla quale erano emersi i dati relativi alle disponibilità finanziarie di molti contribuenti italiani presso istituti di credito svizzeri, ritennero errata la sentenza di primo grado che aveva accolto l’eccezione di decadenza sollevata dal contribuente.
Affermarono, in particolare, che l’art. 12 del d.l. n. 78/2009 nella parte in cui, al comma 2bis , prevede il raddoppio dei termini di accertamento nel caso di rilievo di una ‘presunzione di evasione’ per disponibilità finanziaria all’estero, di cui al precedente comma 2 -trovava applicazione al caso in questione, ancorché relativo a condotte anteriori, trattandosi di norma processuale e, quindi, passibile di applicazione retroattiva.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il COGNOME sulla base di cinque motivi.
L’ Amministrazione ha resistito con controricorso.
Il ricorrente ha depositato memoria in prossimità dell’udienza.
Considerato che:
Il primo motivo è rubricato «violazione e falsa applicazione degli artt. 12, commi 2 e 2 bis , del d.l. n. 78/2009, 3 e 10 della l. n. 212/2000, 11, comma 1, disp. prel. c.c., 3 e 24 Cost.»
La sentenza impugnata, al di là delle disposizioni indicate in rubrica, è sottoposta a critica nella parte in cui ha ritenuto la natura processuale del termine previsto dall’art. 12, comma 2 -bis , del d.l. n. 78/2009.
Il ricorrente assume che, invece, tale disposizione avrebbe natura sostanziale, e perciò ostativa ad una sua applicazione retroattiva, come ritenuto dai giudici regionali.
Con il secondo motivo, denunziando omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, il ricorrente lamenta che la C.T.R. avrebbe trascurato di pronunciarsi sulla natura del recupero a tassazione in questione; poiché, infatti, la ripresa disposta dall’Ufficio non derivava dall’applicazione della presunzione di cui all’art. 12, comma 2, del d.l. n. 78/2009, neppure poteva porsi il tema del raddoppio dei termini di accertamento ex art. 43, comma 1, del D.P.R. n. 600/1973.
Il terzo motivo è rubricato «violazione e falsa applicazione dell’art. 12, commi 2 e 2 -bis , e 43, comma 1, del d.P.R. n. 600/73».
In relazione alla medesima circostanza di cui alla censura che precede, il ricorrente denunzia anche l’ error in iudicando nel quale sarebbero incorsi i giudici d’appello, ricorrendo alla presunzione in relazione ad un’ipotesi che, in realtà, non concerneva l’accertamento della detenzione di capitali all’estero, come previsto dalla relativa disciplina, ma di redditi maturati sugli stessi.
Ancora, con il quarto motivo, denunziando violazione degli artt. 63, par. 1, e 64, par. 1, del TFUE, il ricorrente assume che, ove si applicasse alla fattispecie il raddoppio dei termini, si produrrebbe un’illegittima restrizione dei movimenti di capitali fra Stati membri della UE e Stati terzi.
Con il quinto motivo, infine, il ricorrente denunzia nullità della sentenza per omessa pronunzia sull’eccezione di errata applicazione della presunzione di fruttuosità, di cui all’art. 6 del d.l. n. 167/1990, e sull’errata tassazione degli interessi cos ì determinati ai fini delle imposte sui redditi.
Il primo motivo è infondato.
6.1. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, le previsioni di cui ai commi 2bis e 2ter dell’ art. 12 del d.l. n. 78/2009, che raddoppiano, rispettivamente, i termini di decadenza per la notificazione degli avvisi di accertamento basati sulla presunzione di cui al comma 2 e quelli di decadenza e di prescrizione stabiliti per la notificazione degli atti di contestazione o di irrogazione delle sanzioni per l ‘ omessa denuncia di disponibilità finanziarie detenute all ‘ estero, hanno natura procedimentale e non sostanziale, e soggiacciono perciò al principio tempus regit actum .
Tali disposizioni, pertanto, si applicano anche per i periodi d ‘ imposta precedenti alla loro entrata in vigore (il 1° luglio 2009), ove venga in rilievo la sottrazione alla tassazione di redditi esportati in Stati o territori a regime fiscale privilegiato, indipendentemente dall ‘ applicabilità della presunzione legale di cui all’art. 12, comma 2 ( ex multis , fra le più recenti, Cass. n. 16613/2025; Cass. n. 18061/2024; Cass. n. 2990/2024).
Le restanti censure appaiono connesse, in quanto tutte riferite, seppur da diversa visione prospettica, al tema dell’applicabilità al caso di specie della cd. presunzione di evasione stabilita dall’art. 12, comma
2, del d.l. n. 78/2009; si può, pertanto, procedere al loro esame congiunto.
Tali censure sono fondate entro i limiti e nei termini dinanzi precisati.
7.1. In ordine alla presunzione di evasione -sancita con riferimento agli investimenti ed alle attività di natura finanziaria negli Stati o territori a regime fiscale privilegiato, dall’art. 12, comma 2, del d.l. n. 78/2009 -questa Corte ha ripetutamente affermato che essa non ha efficacia retroattiva, poiché non le si può attribuire natura processuale.
Ciò in quanto le norme in tema di presunzioni sono collocate tra quelle sostanziali nel codice civile, e perché una differente interpretazione potrebbe -in contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost. -pregiudicare l ‘ effettività del diritto di difesa del contribuente rispetto alla scelta in ordine alla conservazione di un certo tipo di documentazione (si vedano, fra le altre, Cass. n. 5964/2024; Cass. n. 2990/2024; Cass. n. 33965/2023; Cass. n. 7957/2021; Cass. n. 31243/2019; Cass. n. 29632/2019; Cass. n. 33233/2018; Cass. n. 3276/2018).
7.2. Nondimeno, la circostanza che tale presunzione legale non sia suscettibile di applicazione retroattiva agli anni di imposta antecedenti alla sua entrata in vigore, non preclude all’Ufficio di provare l’esistenza di redditi non dichiarati dal contribuente, detenuti occultamente in Paesi a fiscalità privilegiata, anche sulla base di presunzioni semplici gravi, precise e concordanti (art. 38 del d.P.R. n. 600/1973 con riguardo alla rettifica del reddito delle persone fisiche) senza fare ricorso alla presunzione legale in oggetto (così, espressamente, Cass. n. 12910/2025, Cass. n. 4641/2024 e numerose altre precedenti).
È noto, peraltro, in quanto statuito da questa stessa Corte con orientamento consolidato, che in tema di presunzioni semplici gli elementi di prova non debbano necessariamente essere più di uno, ben
potendo il giudice fondare il suo convincimento su uno solo di essi, purché grave e preciso, in quanto il requisito della ‘ concordanza ‘ deve ritenersi riferito alla sola ipotesi, non necessaria, del concorso di più elementi presuntivi (così Cass. n. 29633/2019); con riferimento alla materia tributaria, il convincimento del giudice in ordine alla sussistenza di redditi maggiori di quelli dichiarati può dunque fondarsi anche su una sola presunzione semplice, purché grave e precisa.
7.3. Infine, e con riguardo alle sanzioni contemplate per l’ipotesi di violazione dell’obbligo di dichiarazione annuale di cui all’art. 4, comma 1, del d.l. n. 167/1990, si è affermato che il termine di decadenza dal potere di irrogazione va individuato, nell’ambito di quanto previsto da ll’art. 20 del d.lgs. n. 472/1997, non in quello che fa riferimento al tempo di commissione della violazione, bensì in quello, maggiore, fissato per l’accertamento del tributo, tenuto conto anche in questo caso del raddoppio dei termini con efficacia retroattiva (Cass. n. 35840/2022; Cass. n. 30742/2018).
Una tale interpretazione non si pone in contrasto con quanto previsto dal l’art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 472/1997, atteso che l’applicazione ‘ a ritroso ‘ della sanzione, per tutto l’arco temporale consentito dal raddoppio dei termini, sconta comunque il limite della previa esistenza della norma sanzionatoria (art. 5 del d.l. n. 167/1990), la quale è di gran lunga antecedente alle annualità pregresse passibili di accertamento in forza dell’art. 12, comma 2bis , del d.l. n. 78/2009 (così, ancora, la prima del le sentenze poc’anzi menzionate ).
7.4. Poste tali coordinate, è nella prospettiva indicata che deve allora meglio collocarsi la tesi del ricorrente, secondo cui al caso di specie non può applicarsi la presunzione legale, della quale sola, invece, i giudici regionali hanno ritenuto l’applicabilità.
La legittimità dell’accertamento, invece, doveva essere vagliata alla luce della sussistenza di presunzioni semplici idonee a fondarla; e un
tale vaglio manca del tutto nella disamina della vicenda operata dalla C.T.R.
In questi termini vanno, dunque, condivisi gli argomenti del ricorrente, che merita di vedere riesaminata la propria posizione, anche in relazione agli interessi, alla luce di tale principio.
7.5. Gli stessi argomenti, invece, non persuadono laddove adombrano , nell’operato dell’Ufficio, profili di contrarietà al principio unionale di libertà di circolazione dei capitali.
È noto, infatti, che in base al l’art. 65, par . 1, lett. a), del TFUE, la previsione di cui al precedente art. 63 non pregiudica il diritto degli Stati membri di applicare le pertinenti disposizioni della loro legislazione tributaria che distinguono fra i contribuenti che non si trovano nella medesima situazione per quanto riguarda il loro luogo di residenza o il luogo di collocamento del loro capitale ; e, com’è stato ripetutamente affermato dalla giurisprudenza della CGUE, tale disposizione dev’essere inte rpretata in senso ostativo a norme domestiche che si concretizzino in un mezzo di discriminazione arbitraria o in una restrizione dissimulata al libero movimento dei capitali e dei pagamenti di cui all’articolo 63 e, invece, consentaneo a quelle giustificate da ragioni di interesse generale o che riguardano situazioni non comparabili , comprendendo le prime anche l’esigenza di garantire l’efficacia dei controlli fiscali sui possibili vantaggi tributari (in questo senso, fra le altre, Corte di Giustizia 24 novembre 2016, RAGIONE_SOCIALE, C-464/14).
In linea con tale impostazione, e poiché alla giurisprudenza unionale ha dato continuità l’indirizzo interpretativo di questa Corte, si deve escludere che nel caso in esame sussista una violazione dell’art. 63, par. 1, TFUE.
Ed infatti, l’art. 12, comma 2, del d.l. n. 78/2009, richiama la cd. black list di cui all’art. 1 del d.m. 21 novembre 2001 MEF, che all’ epoca
dei fatti comprendeva anche la Svizzera, nel cui territorio il ricorrente deteneva le disponibilità finanziarie di cui trattasi; con il che, evidentemente, possono ritenere sussistenti le menzionate ragioni di interesse generale.
7.6. Il quarto motivo è, dunque, infondato; le restanti censure, invece, meritano accoglimento nei termini di cui in motivazione.
In relazione alle stesse, la sentenza impugnata è cassata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, affinché, in diversa composizione, provveda al riesame della controversia in conformità al seguente principio di diritto: «In tema di accertamento tributario, sebbene la presunzione di evasione sancita dall’art. 12, comma 2, del d.l. n. 78 del 2009, conv., con modif., dalla l. n. 102 del 2009, con riferimento all’omessa dichiarazione di investimenti e attività di natura finanziaria negli Stati o territori a regime fiscale privilegiato, non sia suscettibile di essere applicata retroattivamente agli anni di imposta antecedenti alla sua entrata in vigore (prevista dal 1 luglio 2009), stante la natura sostanziale e non procedimentale delle presunzioni, l’Ufficio può ricorrere ai medesimi fatti oggetto della suddetta presunzione legale (redditi non dichiarati occultamente detenuti in Paesi a fiscalità privilegiata) sub specie di presunzione semplice».
Il giudice del rinvio provvederà anche a regolare le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione in relazione al secondo, terzo e quinto motivo, rigettati il primo e il quarto, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte Suprema di cassazione, il 23 settembre 2025.
Il Presidente NOME COGNOME