Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 16753 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 16753 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato;
– ricorrente
–
contro
COGNOME COGNOME e NOME COGNOME con avv. NOME COGNOME;
– controricorrente –
Avverso la sentenza della CTR della Lombardia-Brescia, n. 2465/25/2019 depositata il 6 giugno 2019.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 7 maggio 2025 dal consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1.L’Agenzia delle entrate attribuiva ai soci di RAGIONE_SOCIALE, NOME e NOME COGNOME gli utili extrabilancio accertati con separato avviso di accertamento nei confronti della società, a seguito di p.v.c.
La CTP respingeva il ricorso ritenendo legittima la ripresa sia in quanto non era stata fornita prova contraria rispetto alla presunzione di distribuzione, sia in quanto i soci risultavano del tutto al corrente delle operazioni di gestione dell’amministratore.
RISTRETTA BASE E CONTRADDITTORIO PREVENTIVO
La CTR viceversa accoglieva il gravame proposto dai contribuenti, osservando come l’avviso era stato emesso senza osservanza degli obblighi di cui all’art. 12, comma 7, l. n. 212/2000.
Nel merito i giudici d’appello osservavano che non risultavano transitate somme sui conti personali dei soci, per cui la ricostruzione del percepimento di reddito sarebbe frutto di mera ipotesi, né erano indicate le modalità di recupero delle somme indicate nell’accertamento sociale.
L’Agenzia delle entrate propone allora ricorso per cassazione, fondato su tre motivi, mentre i contribuenti resistono a mezzo di controricorso e da ultimo hanno depositato memoria illustrativa.
CONSIDERATO CHE
1.Col primo motivo si deduce violazione dell’art. 12, l. n. 212/2000.
1.1. Va premesso che la sentenza impugnata si basa su distinte rationes decidendi .
La prima è appunto costituita dall’assunta illegittimità degli accertamenti nei confronti dei soci per omessa osservanza degli obblighi di cui all’art. 12, comma 7, l. n. 212/2000.
Va osservato che, come statuito da questa Corte (Cass. n. 7598/2014) le garanzie stabilite dalla norma richiamata, rispondendo all’esigenza di dare spazio al contraddittorio, fanno da contrappeso all’invasione della sfera del contribuente, al fine di conformare e adeguare l’azione amministrativa alla situazione concreta del soggetto dalla stessa interessato. Pertanto esse sono apprestate esclusivamente in favore del contribuente sottoposto a verifica presso i locali di sua pertinenza e non anche in favore del terzo a carico del quale possano emergere da detta verifica dati, informazioni o elementi utili in vista dell’emissione di un avviso di accertamento nei suoi confronti. A conferma di quanto sopra, si osservi che, anche laddove abbia esteso le garanzie in discorso all’ipotesi della mera richiesta di documentazione al contribuente, la giurisprudenza di legittimità ha
comunque mantenuto fermo, come presupposto di applicazione della norma, l’accesso presso i locali aziendali del contribuente sottoposto a verifica (Cass. n. 26493/2014).
Col secondo motivo si deduce violazione degli artt. 2697 cod. civ., 38 e 42, d.p.r. n. 600/1973 e 47, d.p.r. n. 91/1986. Esso attiene alla seconda ratio decidendi della sentenza.
2.1. Va precisato che sotto tale profilo si contesta sia la statuizione in ordine alla presunzione di distribuzione che quella in ordine alla prova dell’avvenuta distribuzione.
Sotto il primo profilo la sentenza è anche qui censurabile, perché da un lato critica l’accertamento basato sulla trasposizione degli utili in capo ai soci sulla base della percentuale di partecipazione, ma ciò risponde ad una praesumptio hominis mai smentita da questa Corte, restando salva la possibilità per il socio di dimostrare la mancata distribuzione o la propria estraneità dalla vita sociale, ma non l’onere per l’amministrazione di provare in positivo la stessa distribuzione come invece affermato dai giudici d’appello.
In ogni caso la produzione dei conti correnti personali risulta del tutto inatta a dimostrare quanto sopra, perché non attiene alla prova della mancata distribuzione degli utili od al loro accantonamento.
Da quanto precede emerge che entrambe le rationes decidendi non reggono allo scrutinio di legittimità, e dunque la sentenza, assorbito il terzo motivo, dev’essere cassata con rinvio al giudice d’appello che dovrà altresì provvedere alla liquidazione delle spese del presente giudizio.
P. Q. M.
La Corte in accoglimento dei primi due motivi, assorbito l’altro, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria della Lombardia-Brescia che, in diversa composizione, provvederà altresì alla liquidazione delle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, il 7 maggio 2025