Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 20764 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 20764 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 22/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1962/2024 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
COGNOME domiciliato ‘ex lege’ in Roma INDIRIZZO presso la Cancelleria della Corte di cassazione, rappresentato e difeso da ll’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA II GRADO del VENETO n. 645/2023 depositata il 05/07/2023. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28/05/2025 dal
Consigliere NOME COGNOME.
FATTTI DI CAUSA
La Guardia di Finanza eseguiva nei confronti della ditta individuale COGNOME NOME, esercente l’attività di ‘commercio all’ingrosso di altri materiali da costruzione’ (cod. 467329), una verifica fiscale relativa agli anni di imposta 2011, 2012 e 2013. All’esito, giusta PVC, stante il fatto che nella dichiarazione dei redditi non veniva indicata la presenza di rimanenze finali, contestava la mancata fatturazione di materiale inerte pari alla differenza tra quanto acquistato e quanto venduto nei periodi oggetto di controllo.
La DP di Padova dell’Agenzia delle entrate, in recepimento del PVC, notificava tre avvisi di accertamento volti a liquidare maggiori ii.dd. ed ii., interessi e sanzioni (n. T6S010503065/2017 per l’anno di imposta 2011, n. T6S010503067/2017 per l’anno di imposta 2013 e n. T6S010503066/2017 per l’anno di imposta 2012).
Il contribuente li impugnava dinanzi alla locale CTP, la quale, come da sentenza in epigrafe, ‘in parziale accoglimento del ricorso, annulla l’avviso di accertamento per la parte relativa all’Irap per l’anno di imposta 2011 ; rigetta per il resto i ricorsi’.
Il contribuente proponeva appello, accolto dalla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Veneto, con la sentenza in epigrafe, sulla base della seguente letterale motivazione:
-tali presunzioni , non operando in via diretta ed immediata in materia di imposte dirette, non sono da sole sufficienti a giustificare l’accertamento, ma necessitano di ulteriori riscontri, adeguati alla disciplina delle singole imposte; inoltre, trattandosi di presunzioni legali relative, annoverabili tra quelle c.d. miste, è consentita la prova contraria da parte del contribuente, ma solo entro i limiti di oggetto e di mezzi di prova indicati dall’art. 53 cit., e da quest’ultimo previsti ad evidenti fini antielusivi ;
-sulla base di tali considerazioni
P.Q.M.
accoglie l’appello .
Propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate con due motivi: resiste il contribuente con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Primo motivo: ‘Ai sensi dell’art. 360 c.p.c., 1° comma, n. 4) c.p.c.: nullità della sentenza per motivazione assente e/o apparente, in violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4) c.p.c., dell’art. 36 d.lgs. n. 546/1992 e degli artt. 24 e 111 Cost., anche nel relativo combinato disposto’. La motivazione della sentenza impugnata ‘è tale solo sotto l’aspetto grafico, mentre sul piano dell’esame del fatto concreto, e della sua sussunzione nell’astratta regola enunciata, è del tutto priva di contenuti’.
1.1. Il motivo è infondato.
La sentenza impugnata esibisce una motivazione assai sintetica ma effettiva, sia graficamente che contenutisticamente, così
superando ila soglia del minimo costituzionale (Cass., Sez. U, n. 8053 del 2014). Invero essa afferma che, quanto alle imposte reddituali, la presunzione posta dall’art. 1 DPR n. 441 del 1997, si per sé sola, in difetto, cioè, di ulteriori elementi indiziari, è inidonea a fondare l’accertamento.
2. Secondo motivo: ‘Ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 3) c.p.c.: violazione o falsa applicazione dell’art. 1, comma 1, d.P.R. 441/97 e dell’art. 2697 c.c., anche nel relativo combinato disposto’. ‘La decisione impugnata richiama una sentenza di legittimità piuttosto risalente che esclude la applicabilità delle presunzioni di cui all’art. 1 DPR 441/1997 all’accertamento delle imposte sui redditi, senza avvedersi del mutato orientamento dei giudici di legittimità sul punto’. ‘Quanto appena rilevato è sufficiente alla cassazione della sentenza, espressasi esclusivamente in punto di diritto. Per completezza, comunque, si riepilogano di seguito i seguenti fatti pacifici, al cui cospetto la sentenza impugnata ha fatto malgoverno delle norme citate in rubrica: ‘. ‘Senza recesso da quanto sopra sostenuto, in via d’estremo subordine valga infine osservare che è pacifico che gli avvisi di accertamento impugnati contenessero sia rilievi ai fini delle imposte sui redditi, sia rilievi ai fini Iva. Si veda la relativa ricognizione che segue, presente sub ‘Atti impositivi’ alle pagg. 1 e s. della stessa sentenza d’appello impugnata: ‘.
2.1. Il motivo è fondato e merita accoglimento.
A termini della giurisprudenza di legittimità, la presunzione di cessione in evasione d’imposta di cui agli artt. 1 ss. DPR n. 441 del 1997 trova applicazione in riferimento sia alle ii.dd. che alle ii.ii.
Ciò si evince testualmente, ad esempio, dal principio richiamato da Cass. n. 4846 del 2022, in motiv., p. 5, secondo cui, ‘in tema di
accertamento dell’IVA e delle imposte sui redditi, in base al D.P.R. n. 441 del 1997, art. 4, comma 2, le eventuali differenze quantitative derivanti dal raffronto tra le risultanze delle scritture ausiliarie di magazzino di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 14, comma 1, lett. d), o della documentazione obbligatoria emessa e ricevuta, e le consistenze delle rimanenze registrate, costituiscono presunzione di cessione o di acquisto per il periodo d’imposta oggetto del controllo, presunzione che è relativa e superabile non con qualunque mezzo di prova, ma solo con le prove tassativamente indicate dal citato D.P.R. n. 441 del 1997, artt. 1 e 2 (Cass. n. 31273 del 2018; per casi di applicazione della presunzione anche alle ii.dd., cfr., recentemente, anche Cass. nn. 14468 -24 e 26223 -21).
Sotto altro profilo, l’elaborazione giurisprudenziale accomuna la presunzione ex art. 53 DPR n. 633 del 1972 a quella dell’art. 4 DPR n. 441 del 1997, affermando che ‘gli effetti della presunzione di cessione dei beni acquistati, importati o prodotti, prevista dall’art. 53 del d.P.R. n. 633 del 1972, operano -come successivamente chiarito anche dall’art. 4 del d.P.R. n. 441 del 1997 -con riferimento al momento di inizio delle operazioni di verifica ed al periodo d’imposta oggetto di controllo. Ne deriva che non è consentito al contribuente, al fine di superare la presunzione, alterare il presupposto della norma mediante una ‘spalmatura’ delle riconosciute cessioni in frode all’imposta sugli anni anteriori a quello dell’accertamento, sicché si rendono irrilevanti le vicende tributarie relative a quegli anni’ (Cass. n. 5941 del 2021).
In siffatto contesto di trasversale applicazione della presunzione alle ii.dd. e iva, la prova contraria che deve essere fornita dal contribuente è particolarmente rigorosa, come emerge, ad esempio, da una recentissima pronuncia di questa S.C. a termini della quale ‘la
rilevazione di differenze inventariali in sede di accertamento fiscale, registrate tra le quantità di merci giacenti in magazzino e quelle desumibili dalle scritture di carico e scarico, comporta l’applicazione della presunzione legale di cessioni e di acquisti in evasione di imposta, anche se gli eventuali errori di conteggio nella movimentazione delle merci hanno una percentuale di scostamento non significativa, tale da configurare un normale accadimento, che non esonerano il contribuente dalla prova contraria, con le modalità tassativamente indicate dagli artt. 1 e 2 del d.P.R. n. 441 del 1997, della legittima fuoriuscita dei beni dal circuito aziendale (per la presunzione di cessione) ovvero del legittimo ingresso degli stessi (per la presunzione di acquisto), tale da rendere inoperante lo stesso regime presuntivo’ (Cass. n. 19206 del 2024). Donde, la prova contraria di cui il contribuente può avvalersi per superare la presunzione è solo quella ossequiante le ‘modalità tassative’ di legge.
Ne consegue, rapportando i superiori principi al caso di specie, che molteplici sono gli errori commessi dalla CGT II:
-non ha individuato l’effettivo ambito di operatività della presunzione, rapportandolo sia alle ii.dd. che a quelle ii.;
-non ha colto l’essenza della presunzione, legittimante l’Ufficio all’accertamento anche sulla sola base di essa;
-ha comunque misconosciuto la ricostruzione d’insieme -riguardante la mancata indicazione di rimanenze finali per plurimi aa.ii. – ‘ad abundantiam’ offerta dall’Ufficio – con specificazione della posizione assunta dal contribuente in sede procedimentale – ad ulteriore supporto della presunzione, ricostruzione sunteggiata ancora nel secondo motivo in disamina [cfr. p. 7 ric., ove, in particolare, si legge che ‘il contribuente, dopo avere ammesso l’assenza di prova
contraria (‘non ho alcun documento per provare tale utilizzo. Non ho altro da aggiungere’: cfr. foglio n. 22 del p.v.c. allegato ai tre atti di costituzione dell’ufficio in primo grado) e nei sessanta giorni dalla notifica del p.v.c. non aver fatto pervenire alcuna osservazione, ha poi sostenuto di aver utilizzato l’intera differenza di quantitativo per la sistemazione del piazzale e del capannone dell’azienda e per il ripristino a seguito di eventi atmosferici, con una perizia contestata dall’ufficio’];
-ha fatto, in definitiva, totale malgoverno del rapporto tra prova presuntiva in favore dell’Ufficio e necessaria controprova del contribuente, la quale ultima, tuttavia, per poter vincere la prima, è vincolata alle specifiche, ‘recte’: ‘tassative’, ‘modalità’ di legge, nei termini indicati dalla giurisprudenza citata.
Conclusivamente, in accoglimento del secondo motivo, rigettato il primo, la sentenza impugnata va cassata con rinvio, per nuovo esame e per le spese, comprese quelle del grado.
P.Q.M.
In accoglimento del secondo motivo di ricorso, rigettato il primo, cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Veneto, in diversa composizione, per nuovo esame e per le spese.
Così deciso a Roma, lì 28 maggio 2025.