Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 23006 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 23006 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 10/08/2025
IVA – Cessione irregolare dei beni d’impresa – Art. 53 dPR n. 633/1972
ORDINANZA
Sul ricorso n. 23132-2022, proposto da:
COGNOME NOME RAGIONE_SOCIALE c.f. CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dagli avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME
Ricorrente
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE , cf NUMERO_DOCUMENTO, in persona del Direttore p.t., domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende –
Controricorrente avverso la sentenza n. 1903/07/2022 della Commissione tributaria regionale della Campania, depositata il 17.02.2022; adunanza camerale del 26 febbraio udita la relazione della causa svolta nell’ 2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Dalla sentenza impugnata si evince che il ricorrente, titolare dell’omonima impresa agricola, acquist ò nel 2018 macchine agricole strumentali alla propria attività. Nella dichiarazione Iva 2019 ai sensi dell’art.
30, comma 3, lett. c), del d.P.R. n. 633/72, chiese il rimborso di € 25.094,54 , a tal fine producendo la relativa documentazione. L’Agenzia delle entrate eseguì un accesso presso la sua sede e presso la sede del depositario delle scritture contabili, ivi rinvenendo copia dei libretti di immatricolazione dei mezzi, ma non i mezzi stessi, custoditi, a dire del contribuente, provvisoriamente e gratuitamente presso Passaro Antonio per ragioni di sicurezza. All’esito dei controlli l’ufficio notificò l’atto di diniego del rimborso.
Inutile l’istanza di annullamento in autotutela, il COGNOME impugnò l’atto dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Caserta, che con sentenza n. 145/07/2021 accolse il ricorso. L’Agenzia propose appello dinanzi alla Commissione tributaria regionale della Campania, che, in riforma della pronuncia di primo grado, con la sentenza n. 1903/07/2022, accolse le censure erariali.
Il giudice regionale, rilevando che i beni non erano stati rinvenuti presso la sede dell’azienda, né in altri luoghi, dallo stesso denunciati espressamente quali sedi secondarie o succursali in cui si svolgeva la propria attività o quella di suoi rappresentanti, ha ritenuto che, come da previsione normativa, emergeva la presunzione della loro cessione (a tal fine ha richiamato gli artt. 53, 35 e 39 del d.P.R. n. 633 del 1972, l’ art. 1, d.P.R. n. 441 del 1997). Ha peraltro evidenziato come il contribuente non avesse fornito prova contraria.
Il contribuente ha censurato la sentenza, affidandosi a tre motivi, ulteriormente illustrati da memoria, e ne ha chiesto la cassazione.
L’Agenzia delle entrate ha resistito con controricorso.
La causa è stata decisa all’esito dell’adunanza camerale del 2 6 febbraio 2025.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente si duole della «Violazione di legge art. 360 cpc n. 3 in relazione all’erronea applicazione della presunzione di cessione al caso di specie -errata applicazione della normativa in materia di beni mobili registrati- art. 1156 c.c. -art. 53 dPR 633/72 -sussistenza della prova contraria».
Con il secondo motivo lamenta la «Violazione di legge art. 360 cpc n. 3 in relazione all’erronea applicazione della presunzione di cessione al caso di specie -errata applicazione della normativa in materia di beni mobili registrati e della prova della proprietà di macchine agricole- DLGS n. 285 del
30/4/1992 -Codice della Strada -e DPR n. 495 del 16/12/1992 e modificazioni -Regolamento di esecuzione ed attuazione del Codice della Strada- Art. 57 CdS ed art. 206-210 Regolamento di esecuzione -Circolare Ufficio n. 1931998 -Sussistenza della prova della proprietà».
I due motivi possono essere trattati unitariamente, perché, sia pur sotto diversa angolazione giuridica, criticano la sentenza in ordine alle ragioni per le quali nel caso di specie si è ritenuta operante la presunzione di cessione dei mezzi non rinvenuti presso i luoghi nei quali il contribuente esercita la sua attivi tà, comprese sedi secondarie o filiali, così come previsto dall’art. 53, comma 1, d.P.R. n. 633 del 1972.
I motivi sono entrambi infondati.
Deve intanto premettersi che, in materia di IVA, il mancato rinvenimento, nei locali in cui il contribuente esercita la sua attività, di beni risultanti in carico all’azienda in forza di acquisto, importazione o produzione, pone, ai sensi dell’art. 53 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e dell’art. 2728 cod. civ., una presunzione legale di cessione senza fattura dei beni medesimi, che può essere vinta solo se il contribuente fornisca la prova di una diversa destinazione, e che legittima il ricorso, da parte dell’ufficio, al metodo di accertamento induttivo ex art. 55, secondo comma, n. 2, del citato d.P.R. n. 633 del 1972 (Cass., 30 luglio 2014, n. 17298; 16 dicembre 2011, n. 27195). Si è in conseguenza anche avvertito che, sempre ai fini Iva, in mancanza della denunzia di variazione ex art. 35 del d.P.R, n. 633 del 1972, ogni trasferimento del luogo di esercizio dell’attività è inopponibile all’Amministrazione finanziaria, sicché la presunzione di cessione dei beni acquistati, importati o prodotti che non si trovino nei locali in cui il contribuente eserciti la sua attività, prevista dall’art. 53, comma 1, del d.P.R, n. 633 del 1972, opera con riferimento al luogo di esercizio dell’attività originariamente denunziato, anche in presenza della definizione della sanzione ai sensi dell’art. 15 della l. n. 289 del 2002, che riguarda il solo profilo formale dell’omessa denuncia. Avverso tale presunzione, applicabile anche alle imposte dirette in virtù del principio di unitarietà dell’ordinamento, il contribuente è ammesso alla prova contraria, nei limiti dell’oggetto e dei mezzi di prova prefigurati dalla predetta disposizione, trattandosi di presunzione legale relativa, annoverabile tra quelle miste (Cass., 23 gennaio
2020, n. 1500).
Infatti, le presunzioni di cessione e di acquisto dei beni, poste dall’art. 53 cit., sono annoverabili tra le presunzioni legali “miste”, che consentono la prova contraria da parte del contribuente, ma solo entro i limiti di oggetto e di mezzi di prova prefigurati dalla citata norma (Cass., 4 febbraio 2015, n. 1976).
Il ricorrente sostiene invece che tale disciplina non possa trovare applicazione ai beni mobili registrati. In particolare, la presunta cessione dei mezzi registrati non rinvenuti presso la sede o in una delle sedi dichiarate dell’impresa , sarebbe esclusa dalla disciplina dell’art. 53 cit.
A tal fine sostiene che deporrebbe in questo senso tanto lo stesso testo della suddetta norma, che non menziona i beni mobili registrati (primo motivo), quanto la normativa del Codice della Strada (secondo motivo), in particolare l’art. 57 del d.lgs. 285 del 1992, e gli artt. 206/210 del R egolamento d’ Esecuzione del codice della strada, da cui la difesa del ricorrente vorrebbe evincere la disciplina relativa alla prova della proprietà delle macchine agricole, del trasferimento di proprietà, della relativa immatricolazione , sino a menzionare l’art. 294 del Regolamento, secondo il quale il trasferimento della proprietà dei suddetti mezzi può avvenire solo a favore di soggetti in possesso di determinati requisiti.
Le ragioni illustrate sono prive di pregio.
A parte che nel caso di specie la denegazione del rimborso Iva è stata fondata dall’Agenzia delle entrate sul constatato mancato rinvenimento dei mezzi agricoli presso una delle sedi dell’impresa, così che tutta la vicenda si snoda proprio sulla ‘assenza’ dei predetti mezzi nei luoghi indicati dalla norma, la presunzione di cessione dei beni mobili registrati si collega inequivocamente, e senza eccezioni, alla disciplina generale civilistica, secondo la quale i contratti di compravendita di autoveicoli non necessitano, per il loro perfezionamento, della adozione di forme particolari, potendo essere validamente conclusi anche mediante semplici manifestazioni verbali di consenso, con la conseguenza che l’effetto traslativo, al pari di tutte le altre ipotesi di compravendita di cosa mobile determinata, ha luogo all’atto dell’incontro del consensus in idem placitum, legittimamente manifestato dai contraenti, a nulla rilevando, ai fini della validità ed efficacia del trasferimento, la mancata trascrizione presso gli appositi registri, la quale, come tutte le forme di pubblicità previste dal nostro ordinamento, ha natura
e funzione meramente dichiarativa, finalizzata esclusivamente a dirimere eventuali, futuri conflitti tra più acquirenti dal medesimo dante causa. Ne consegue che, in caso di vendita verbale di autoveicolo, la relativa prova ben può essere fornita con ogni mezzo e non necessariamente in via documentale (Cass., 12 giugno 1997, n. 5270; 15 marzo 2000, n. 2989; 26 luglio 2004, n. 13991), e la consegna del libretto di circolazione, della dichiarazione di vendita autenticata e del foglio complementare non attiene alla validità della vendita, bensì alla tradizione della cosa venduta, in quanto con tali documenti si realizza, per il compratore, la possibilità di godimento e di scambio dell’autoveicolo già acquistato con l’incontro dei consensi (Cass., 25 febbraio 1986, n. 1179).
D’altronde, la giurisprudenza di legittimità ha da tempo chiarito che gli obblighi di trascrizione al PRA dell’atto di compravendita, previsto dall’art. 94 del d.lgs. n. 285 del 1992, come modificato dall’art. 17, comma 18, L n. 449 del 1997, la cui violazione può fondare una pretesa risarcitoria da parte del venditore, evidenzia non già l’esistenza di adempimenti formali ai fini del passaggio di proprietà del mezzo, ma più semplicemente responsabilità dell’a cquirente, senza incidere sull’efficacia della vendita (Cass, 22 ottobre 2002, n. 14906; 30 gennaio 2013, n. 2263).
Si tratta di principi comuni, in tema di compravendita, anche al trasferimento di mezzi agricoli, principi fondati sull’assunto che l’acquirente di un qualsiasi bene ha diritto, in qualità di proprietario, ad una completa utilizzazione di esso secondo la sua destinazione contrattuale e, quindi, anche a quelle modalità di uso soltanto potenziali, posto che una restrizione in tal senso sarebbe in contrasto con il principio generale della piena esplicazione del diritto del compratore sulla cosa acquistata (Cass., 15 ottobre 2007, n. 21588, in una fattispecie relativa alla vendita di un trattore tosaerba), oppure finalizzate alla liberazione del venditore da qualunque forma di responsabilità. Ma si tratta, pur sempre, di ipotesi relazionate agli obblighi cui sono tenute le parti ai fini della pubblicità o, più in generale, per consentire la piena esplicazione degli effetti della cessione del bene, mai incidenti però sulla efficacia della cessione del mezzo, per il quale resta sempre sufficiente il mero incontro del consenso delle parti.
RGN 23132/2022 Consigliere rel. NOME Questa la pacifica interpretazione delle regole giuridiche in tema di trasferimento della proprietà di tutti i beni mobili registrati, compresi dunque
i mezzi agricoli, non emerge alcun elemento da cui desumere che dal regime dell’art. 53 cit. siano esclusi i mezzi agricoli iscritti nei pubblici registri e dunque sia inapplicabile il principio di presunzione di cessione del bene non rinvenuto.
Di tali principi il giudice regionale ha fatto corretta applicazione, per un verso richiamando le regole generali sulla cessione di beni mobili, anche registrati, per altro verso affermando la presunzione di cessione dei beni acquistati dal contribuente che esercita la sua attività d’impresa, qualora non rinvenuti presso la sua sede principale o altre eventuali sedi secondarie, conseguentemente dichiarando che priva di rilievo fosse la circostanza, dichiarata dal contribuente, che i suddetti mezzi «fossero ‘graziosamente’ custoditi presso un amico della parte privata in INDIRIZZO.
Con il terzo motivo il ricorrente ha denunciato la «Violazione art. 360 cpc n. 4 in relazione al vizio di ultrapetizione della sentenza di II grado che ha pronunciato con motivazione fondata su motivazioni diverse da quelle proposte dalla parte appellante con conseguente violazione del principio della domanda e della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, di cui all’art. 112 cpc, nonché omessa pronuncia sulle ulteriori illegittimità eccepite dal ricorrente».
Il ricorrente sostiene che la sentenza sarebbe affetta da un grave vizio processuale per aver deciso ultra petita . In concreto, a fronte d ell’atto d’appello erariale focalizzato sulla denuncia della erroneità della sentenza di primo grado, per aver escluso l’applicabilità dell’art. 53 cit. ai beni mobili registrati, ossia sulla presunzione della cessione dei beni non rinvenuti, nonché sulla prova della proprietà dei suddetti mezzi, il giudice d’appello avrebbe accolto l’impugnazione erariale soffermandosi sul contenuto dell’art. 53 cit. in relazione alla presunzione di cessione.
Ebbene, a parte che non è neppure nitida la prospettazione difensiva sulla diversità delle ragioni giuridiche fondanti la motivazione della decisione di secondo grado, essa, in ogni caso, resta proprio ancorata all’oggetto della contestazione elevata dall’Agenzia delle entrate con l’atto di rigetto della istanza di rimborso dell’iva. Con esso l’ufficio aveva disconosciuto il diritto al rimborso dell’iva perché i mezzi acquistati nell’ambito dell’attività d’impresa non erano risultati presso la sede dell’imp resa, né in altre eventuali sedi secondarie, così che di essi ne era stata presunta la cessione.
Affermare che, sulla base del dato normativo e dei principi relativi al trasferimento di beni mobili registrati, per questi era comunque sufficiente il mero incontro dei consensi, e che l’art. 53 cit. trovava applicazione anche ai mobili registrati, come ha fatto il giudice d’appello, non esula affatto né dal perimetro dell’oggetto della controversia, né da quello delle censure proposte con l’appello.
Anche questo motivo è in definitiva infondato.
Il ricorso, in conclusione, va rigettato e le spese processuali, che seguono la soccombenza, vanno liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente alla rifusione delle spese processuali sostenute dall ‘Agenzia delle entrate nel giudizio di legittimità, che si liquidano nella misura di € 3.000,00 oltre spese prenotate a debito. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis del medesimo articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il giorno 26 febbraio 2025