Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 9667 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 9667 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23648/2016 proposto da:
NOME COGNOMEC.F. CODICE_FISCALE), rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale allegata al ricorso, dall’Avv. NOME COGNOME presso il cui studio è elettivamente domiciliato in Roma alla INDIRIZZO
-ricorrente – contro
AVVISI DI ACCERTAMENTO 2008, 2009, 2010, 2011, 2012
Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa, ex lege , dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma è domiciliata alla INDIRIZZO
-controricorrente –
Avverso la sentenza della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DEL L’EMILIA -ROMAGNA n. 594/5/16, depositata in data 7/3/2016;
e sul ricorso n. 16491/2018 R.G. proposto da:
Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa, ex lege, dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma è domiciliata alla INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
NOME COGNOME (C.F. CODICE_FISCALE);
-intimato –
Avverso la sentenza della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DELL’EMILIA -ROMAGNA n. 3156/13/17, depositata in data 21/11/2017;
Udita la relazione della causa svolta dal consigliere dott. NOME COGNOME nella camera di consiglio del 19 dicembre 2024;
Fatti di causa
Sul ricorso n. 23648/2016 R.G.:
In data 30/8/2013 , l’Agenzia delle Entrate, ufficio di Cesena, notificò al sig. NOME COGNOME (d’ora in poi, ‘il contribuente’ ) l’invito a fornire la documentazione giustificativa delle movimentazioni bancarie dei conti
ad esso intestati o al medesimo riferibili. Il contribuente depositò la documentazione che gli era stata richiesta ed integrò anche la produzione documentale in un primo momento effettuata.
Senza che nessun incontro fosse fissato con il contribuente, l’ufficio, in data 23/12/2013 gli notificò un avviso di accertamento per l’anno 2008 ai fini Irpef, Irap e Iva, oltre addizionali Irpef, interessi e sanzioni.
Con il suddetto accertamento, l’ufficio, sulla base delle movimentazioni sui conti correnti del contribuente presunse l’esercizio di attività commerciale con ricavi occulti per vendite di oggetti d’arte per una somma superiore ad euro 585.000, pari alla somma dei versamenti e dei prelevamenti (ex art. 32 d.P.R. n. 600 del 1973).
Di conseguenza, fu aperta in capo al contribuente, d’ufficio, una partita iva per il commercio di oggetti d’arte e fu accertato induttivamente un reddito per l’anno 2008 pari ad euro 103.336,26, previa applicazione al volume d’affari accertato del tasso di redditività del 23%.
Instauratosi il procedimento di accertamento con adesione, nel corso del quale l’ufficio ritenne adeguatamente giustificati i prelevamenti per l’importo di euro 161.742 (su un totale contestato di euro 311.859) , tale procedimento non si concluse positivamente perché, medio tempore , al contribuente venne notificato un provvedimento di sequestro preventivo di tutti i suoi beni emesso dal Tribunale di Forlì, al quale fece seguito il provvedimento di confisca di prevenzione emessa dalla stessa autorità giudiziaria, poi revocato dalla Corte d’appello territoriale.
Il contribuente, contro l’avviso di accertamento notificatogli, propose ricorso dinanzi alla C.T.P. di Forlì che, nel contraddittorio con l’ufficio, lo respinse.
Su appello del contribuente, la C.T.R. riformò in parte la sentenza di primo grado, escludendo l’Irap dalle imposte dovute e riducendo la base imponibile a quanto riconosciuto dall’ufficio in sede di
procedimento di accertamento con adesione, che tuttavia non era stato concluso.
Avverso la sentenza d’appello, il contribuente ha proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi.
Resiste l’Agenzia delle Entrate con controricorso.
Il contribuente ha depositato memoria difensiva, ai sensi dell’art. 380 bis.1. c.p.c.
Sul ricorso n. 16491/2018 R.G.:
L’Agenzia delle Entrate, sul presupposto che NOME COGNOME (d’ora in poi, ‘il contribuente’ ) esercitasse, sin dal 2008, commercio al dettaglio di oggetti d’arte, aprì in capo a lui una partita iva, senza che il contribuente presentasse la dichiarazione dei redditi né con riferimento all’anno 2008, né con riferimento ai successivi quattro anni (2009, 2010, 2011 e 2012) cui si riferisce il ricorso in oggetto.
Acquisita la documentazione dal contribuente, l’ufficio procedette all’accertamento in via induttiva d ei redditi per gli anni dal 2009 al 2012, ai sensi degli artt. 39, comma 2 e 41 del d.P.R. n. 600 del 1973, ai fini Irpef, Irap e Iva.
Il contribuente propose distinti ricorsi contro gli avvisi di accertamento notificati e la C.T.P. di Forlì, che con quattro distinte sentenze rigettò le impugnazioni.
Su appello alla C.T.R. , quest’ultima, nel contraddittorio con l’ufficio, accolse il ricorso del COGNOME.
Avverso la sentenza d’appello, l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
Il contribuente è rimasto intimato.
Ragioni della decisione
Innanzitutto, i ricorsi devono essere riuniti, per connessione soggettiva e, in parte, oggettiva.
Sul ricorso n. 23648/2016 R.G.:
Preliminarmente, deve dichiararsi la tempestività del ricorso: al netto della sospensione feriale dei termini processuali del 2016 (cioè al netto dei 31 giorni di agosto), infatti, il termine per la notificazione del ricorso veniva a scadere l’8 ottobre 2016, di sabato, sicché, considerando la proroga di diritto di cui al quarto comma dell’art. 155 c.p.c., la notifica effettuata il 10 ottobre 2016 era tempestiva.
In accoglimento dell’eccezione spiegata dal contribuente nella memoria difensiva depositata in vista dell’adunanza camerale, inoltre, si deve dichiarare inammissibile il controricorso spiegato dall’Agenzia delle Entrate: esso è stato notificato ad un indirizzo digitale (EMAIL non appartenente all’Avvocato domiciliatario del contribuente, come da lui dedotto e come risulta dalla consultazione, per codice fiscale, d ell’Indice Nazionale degli indirizzi di PEC (Ini-Pec).
1.Con il primo motivo di ricorso, rubricato ‘ Art. 360, primo comma, n. 3: violazione e/o falsa applicazione dell’art. 12, settimo comma, della legge n. 212 del 2000 e del principio, di rilevanza comunitaria, dell’obbligatorietà del contraddittorio preventivo’ , il contribuente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso la sussistenza in capo all’amministrazione dell’obbligo di instaurazione del contraddittorio preventivo.
1.1. Il motivo è infondato.
Questa Corte, con orientamento consolidato, cui il Collegio intende dare continuità, ha statuito che, in tema di accertamento fiscale, il termine dilatorio di cui all’art. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000 opera soltanto in caso di controllo eseguito presso la sede del contribuente e non anche alla diversa ipotesi, non assimilabile alla
precedente, di accertamenti cd. a tavolino, atteso che la naturale ” vis expansiva ” dell’istituto del contraddittorio procedimentale nei rapporti tra fisco e contribuente non giunge fino al punto di imporre termini dilatori all’azione di accertamento derivanti da controlli eseguiti nella sede dell’Amministrazione sulla base dei dati forniti dallo stesso contribuente o acquisiti documentalmente (Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 24793 del 05/11/2020, Rv. 659465 -02; Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 27420 del 29/10/2018, Rv. 651436 – 01).
2. Con il secondo motivo di ricorso, rubricato ‘Art. 360, primo comma, n. 3: falsa applicazione degli artt. 32, 38 e 39 d.P.R. n. 600/1973 e/o violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2727 c.c.’ , il contribuente censura la sentenza d’appello per aver falsamente applicato l’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 poiché, contrariamente a quanto previsto dalla giurisprudenza di legittimità, ha ritenuto che le sole movimentazioni bancarie potessero legit timare l’accertamento per cui è causa, in quanto idonee a d imostrare l’esercizio dell’attività d’impresa da parte del contribuente. La C.T.R. avrebbe applicato, illegittimamente, una doppia presunzione: dalla vendita di oggetti d’arte, avrebbe presunto lo svolgimento di attività imprenditoriale; dalle entrate e i prelievi sul conto corrente, si è risalito, presuntivamente, all’imponibile. In ogni caso, il contribuente si lamenta che, nonostante che la C.T.R. abbia escluso l’applicazione dell’Irap per mancanza del requisito dell’autonoma organizzazione in capo al contribuente, lo abbia qualificato come imprenditore anziché come lavoratore autonomo, negandogli l’applicazione della sentenza n. 228 del 2014 della Corte Costituzionale.
2.2. Il motivo è fondato per quanto di ragione.
Esso deve essere disatteso con riferimento alla dedotta violazione delle norme indicate nella rubrica: in particolare, non vi è alcuna violazione del divieto di doppia presunzione in quanto, a parte gli incerti confini
dogmatici di tale ultimo asserito divieto, nella sentenza d’appello la C.T.R. afferma che i prelievi e i versamenti eseguiti sul conto corrente dal contribuente erano di tale importo e di tale frequenza da lasciare indurre l’esercizio di un’attività impren ditoriale di commercio di oggetti d’arte in capo al contribuente.
Si tratta di una conclusione in linea con il procedimento di accertamento con metodo induttivo condotto in base agli artt. 32, 38 e 39 del d.P.R. n. 600 del 1973.
Il motivo, inoltre, non coglie nel segno con riferimento alla affermata necessaria simmetria tra qualifica di imprenditore e assoggettamento ad Irap : ai sensi dell’art. 55, comma 1, Tuir, sono redditi d’impresa quelli che derivano dall’esercizio di imprese commerciali, cioè dall’esercizio, per professione abituale anche se non esclusiva, delle attività indicate nell’art. 2195 c.c. , in qualsiasi modo organizzate (Cass., sez. 5, n. 31643/2019, Rv. 656010-01).
Ne consegue che quelli che svolgono un’attività intermediaria nella circolazione di beni (art. 2195, comma 1, n. 2 c.c.), come coloro che commerciano in oggetti d’arte, sono imprenditori commerciali, a prescindere dal ricorrere di tutti i presupposti per l ‘assoggettamento all’Irap.
Il motivo in esame è, tuttavia, fondato con riferimento alla sentenza della Corte Costituzionale n. 10 del 2023, che ha statuito che l’art. 32, primo comma, n. 2 del d.P.R. n. 600 del 1973, per evitarne l’incostituzionalità, deve essere interpretato nel senso che, a fronte della presunzione legale di ricavi non contabilizzati, e quindi ‘occulti’, scaturente da prelevamenti bancari non giustificati, il contribuente imprenditore possa sempre, anche in caso di accertamento analiticoinduttivo, opporre la prova presuntiva contraria e in particolare possa eccepire la ‘ incidenza percentuale dei costi relativi, che vanno, dunque, detratti dall’ammontare dei prelievi non giustificati ‘.
Ne deriva che, in sede di rinvio, il giudice tributario dovrà detrarre dalla base imponibile costituita dai prelievi non giustificati, individuati dall’amministrazione , una quota percentuale a titolo di costi per la produzione del reddito (versamenti + prelevamenti -quota percentuale di costi).
3. Con il terzo motivo di ricorso, rubricato ‘Art. 360, primo comma, n. 3: violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2727, 2729, 2697 e 2082 c.c. e dell’art. 55 d.P.R. n. 917/1986’ , il contribuente censura la sentenza impugnata per aver fondato il suo giudizio su presunzioni senza confrontarsi con i fatti modificativi, impeditivi ed estintivi ex adverso dedotti.
La C.T.R. avrebbe trascurato gli indici che porterebbero a qualificare il contribuente come un semplice collezionista che nel corso del tempo avrebbe accumulato un consistente patrimonio di opere d’arte e poi, in un secondo momento, avrebbe iniziato a dismetterlo vendendo le singole opere ricavandone un notevole plusvalore.
3.1. Il motivo è inammissibile.
Dietro l’egida della censura per violazione di legge il contribuente tende, in realtà, ad ottenere un riesame nel merito della decisione assunta dalla C.T.R., compito che non compete a questa Corte di legittimità.
In punto di fatto, la C.T.R. ha accertato che nell’anno di imposta il contribuente, che aveva un elevato tenore di vita e che dal 1999 non presentava dichiarazioni dei redditi, aveva effettuato movimentazioni bancarie in entrata e in uscita per oltre 580.000 euro.
In particolare, i prelevamenti in quel periodo ammontano a quasi 312.000 euro.
Si tratta, come ha ben messo in luce il giudice di appello, di flussi di denaro consistenti, di cui il contribuente è riuscito solo per una minima parte a giustificare la natura.
Da tale imponente flusso di denaro confluito e fuoriuscito dal conto corrente bancario riconducibile al contribuente, l’Agenzia delle Entrate , in seguito ad istruttoria, ha desunto l’esercizio di un’attività di commercio d’opere d’arte (cfr. Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 6874 del 08/03/2023, Rv. 667379 – 02).
L’entità e la frequenza degli scambi di opere d’arte, secondo la C.T.R., avrebbero prodotto un reddito, nel corso degli anni d’imposta oggetto di verifica fiscale, del quale il contribuente non ha saputo spiegare l’eventuale origine alternativa.
Ne consegue che l’affermazione secondo la quale egli sarebbe stato prevalentemente un collezionista tende ad accreditare dinanzi a questa Corte una inammissibile riqualificazione in fatto del materiale istruttorio esaminato dal giudice di merito.
4. Con il quarto motivo di ricorso, rubricato ‘Art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c.: violazione e/o falsa applicazione degli artt. 36 e 38 d.l. n. 41/1995’ , il contribuente censura la sentenza impugnata perché non avrebbe considerato che , sul presupposto che egli svolgesse l’attività di commercio di oggetti d’arte, aveva diritto all’applicazione dell’iva in base al regime del margine e non a quello ordinario.
4.1. Il motivo è infondato.
Il regime iva cd. ‘del margine’ è un regime speciale, derogatorio rispetto a quello ordinario, con la conseguenza che il contribuente ha l’onere di provare la sussistenza dei relativi presupposti di fatto (Cass., Sez. 5-, Ordinanza n. 37261 del 29/11/2021, Cass., Sez. 6-5, 30/05/2016, n. 11086, Cass., Sez. 5, 07/11/2018, n. 28376, secondo cui l’indicazione sulla fattura del cedente della dicitura ‘ regime del margine oggetti d’arte, oppure da collezione o di antiquariato o beni d’occasione ‘ , non può ritenersi un mero elemento formale, impedendo la sua omissione la prova del requisito d’ordine soggettivo).
5. Il ricorso n. 23648/2016 R.G., dunque, è accolto in relazione al secondo motivo, per quanto di ragione, ed è rigettato nel resto. La sentenza impugnata è cassata in relazione al motivo accolto e la causa è rinviata, anche per le spese, alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado dell’Emilia -Romagna, in diversa composizione.
Sul ricorso n. 16491/2018 R.G.:
1.Con il primo motivo di ricorso, rubricato ‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 55 d.P.R. n. 917/1986, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.’ , l’Agenzia delle Entrate censura la sentenza impugnata nella parte in cui, pur avendo correttamente escluso la necessità che, ai fini fiscali, l’esercizio di un’attività imprenditoriale dovesse essere connotata da una particolare organizzazione, ha comunque accolto l’appello del contribuente sulla base di indici fattuali (l’assenza di una rete struttu rata di clienti e di servizi aggiuntivi rispetto alla mera vendita delle opere d’arte) dai quali avrebbe potuto trarsi l’assenza di organizzazione piuttosto che l’assenza del requisito di professionalità.
1.1. Il motivo è fondato.
Per giurisprudenza costante di legittimità, le nozioni civilistiche e tributarie di ‘imprenditore’ non coincidono, sicché, ai fini della produzione di un reddito d’impresa, non è necessario il requisito dell’organizzazione (Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 15021 del 15/07/2020; Cass., Sez. 5-, Ordinanza n. 6874 del 08/03/2023).
Tale premessa è condivisa dalla sentenza impugnata, che però è incorsa nel denunciato vizio di sussunzione lì dove ha escluso l’esercizio dell’attività imprenditoriale di commercio di opere d’arte in capo al contribuente per il fatto che non fossero emersi contatti sistematici con i clienti e che egli si limitasse a vendere gli oggetti senza offrire servizi complementari.
Come ha ben rilevato l’Agenzia ricorrente, la rete strutturata di clienti e l’offerta di servizi aggiuntivi oltre alla vendita delle opere d’arte afferiscono all’aspetto organizzativo dell’attività economica, non al suo carattere professionale, con la cons eguenza che l’esclusione della tipica organizzazione imprenditoriale, in senso civilistico, non è sufficiente per escludere la produzione di reddito d’impresa.
2. Con il secondo motivo di ricorso, rubricato ‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 32 d.P.R. n. 600 del 1973; dell’art. 2697 e 2727 c.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.’ , l’Agenzia ricorrente censura la sentenza impugnata per aver violato i criteri di riparto dell’onere della prova. In particolare, censura la sentenza impugnata nella parte in cui quest’ultima ha affermato che i movimenti sul conto corrente del contribuente non sarebbero idonei a provare lo svolgimento in forma profess ionale dell’attività d’impresa di commerciante di opere d’arte .
2.1. Il motivo è fondato.
L’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 pone una presunzione a carico del contribuente con riferimento alle risultanze delle indagini sui conti correnti bancari da lui intrattenuti: per la determinazione del reddito d’impresa, salvo che il contribuente non di mostri che ne ha tenuto conto nella dichiarazione dei redditi o che non hanno rilevanza ai fini fiscali, sono considerati ricavi, qualora non ne sia indicato il beneficiario e sempreché non risultino dalle scritture contabili, i prelevamenti o gli importi riscossi nell’ambito dei rapporti intercorrenti con banche e istituti di credito.
Deve essere, allora, il contribuente a dimostrare che quei versamenti e quei prelevamenti non riguardano operazioni produttive di reddito imponibile.
In sede di rinvio, il giudice del merito, nel valutare gli elementi istruttori alla luce della presunzione legale relativa a favore del fisco, dovrà
comunque applicare i princìpi fissati dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 10 del 2023, ammettendo la deduzione dalla base imponibile di una quota forfettaria di costi sostenuti per la produzione del reddito.
Con il terzo motivo di ricorso, rubricato ‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 20 del d.lgs. n. 74 del 2000 e dell’art. 654 c.p.p., ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.’ , l’Agenzia delle Entrate censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto di superare le presunzioni sulle quali si fondano le riprese fiscali sulla base ‘dei giudicati del Tribunale di Forlì e della Corte di Cassazione’ .
Argomenta l’Agenzia ricorrente che, vigendo nel nostro ordinamento il cd. ‘doppio binario’ tra l’ordinamento penale e quello tributario, un giudicato di assoluzione penale per gli stessi fatti posti a base della ripresa fiscale non potrebbe fare stato nel giudizio tributario.
Nella sentenza impugnata, inoltre, mancherebbe una specifica valutazione della sentenza penale quale fonte di prova dell’infondatezza degli avvisi di accertamento emessi nei confronti del contribuente.
3.1. Il terzo motivo di ricorso, letto congiuntamente alla memoria depositata dal contribuente nell’ambito della causa n. 23648/2016 R.G., cui la causa n. 16491/2018 R.G. è riunita, pone a questa Corte la questione della rilevanza dell’art. 21 bis del d.lgs. n. 74 del 2000, introdotto dall’art. 1, comma 1, lettera m) del D. Lgs. 14 giugno 2024, n. 87.
La nuova disposizione si applica immediatamente, anche se il giudizio tributario, al tempo della sua entrata in vigore, pende dinanzi alla Corte di Cassazione, ed anche se la sentenza irrevocabile di assoluzione dibattimentale con formula di merito (perché il fatto non sussiste o perché l’imputato non l’ha commesso) sia stata emessa prima
dell’entrata in vigore della novella legislativa (Cass., Sez. 5-, Ordinanza n. 23570 del 03/09/2024, Rv. 672125 – 01).
Con riferimento ai fatti di causa, la sentenza penale dibattimentale del Tribunale di Forlì n. 2364/16 ha assolto il COGNOME con formula di merito dai fatti a lui ascritti , fiscalmente rilevanti, relativi ai periodi d’imposta 2010, 2011 e 2012.
La sentenza di assoluzione penale, tuttavia, non reca attestazione di passaggio in giudicato.
Orbene, non si può dare processualmente per acquisita l’irrevocabilità della sentenza penale di assoluzione sulla base della non contestazione specifica di tale irrevocabilità da parte dell’Agenzia delle Entrate: l’irrevocabilità è un fatto processuale, e come tale deve essere provata documentalmente.
Inoltre, occorre accertare l’identità tra i fatti materiali di reato in relazione ai quali il contribuente è stato assolto e quelli in relazione ai quali è stata esercitata la ripresa fiscale da parte dell’Agenzia delle Entrate.
Identità che certamente non riguarda tutti i fatti in relazione ai quali è stata esercitata la ripresa fiscale di cui in questa sede si discute, considerato che gli avvisi di accertamento sub iudice sono relativi anche ai periodi d’imposta 2008 e 2009, estranei alle imputazioni penali.
3.2. Si impone, dunque, la cassazione della sentenza impugnata con riferimento a tutti i motivi di ricorso, con rinvio della causa, anche per le spese, alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado dell’Emilia -Romagna, in diversa composizione.
P.Q.M.
Riuniti i ricorsi, li accoglie per quanto di ragione.
Cassa le sentenze impugnate in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado dell’Emilia –
Romagna che, in diversa composizione, regolerà anche le spese del presente giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 19 dicembre