Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 336 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 336 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 08/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3021/2016 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio degli avvocati NOME e NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente- contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO , presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) -controricorrente-
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE, domiciliata ex lege in INDIRIZZO, presso l’Avvocatura Generale Dello Stato (P_IVAP_IVA che la rappresenta e difende
-controricorrente- avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Puglia n. 1501/2015 depositata il 26/06/2015.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n. 9336/2012, depositata in data 8 giugno 2012, questa Corte di cassazione, con riferimento alla pretesa tributaria di cui alle cartelle oggetto del ricorso qui in esame, riuniti i vari giudizi instaurati da ll’odierna ricorrente RAGIONE_SOCIALE avverso il diniego di definizione agevolata e avverso le cartelle relative alle pretese impositive per cui era stata negata la definizione, ha cassato le sentenze della CTR della Puglia e, decidendo nel merito, ha rigettato i ricorsi introduttivi della contribuente (Rg. n. 2629/10 Rg. n. 8989/2012; Rg. n. 18113/10); il ricorso Rg. n. 22452/10 è stato ritenuto assorbito, riguardando questione di sospensione dei giudizi.
1.1. I giudizi in relazione ai quali è stato rigettato il ricorso introduttivo riguardavano gli avvisi di diniego di condono relativi alla definizione, ai sensi della L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 9bis , di omessi versamenti di imposte dichiarate per gli anni dal 1995 al 2003 – Irpef in qualità di sostituto d’imposta, Irap e Iva -nonché la cartella di pagamento relativa all’iscrizione a ruolo RAGIONE_SOCIALE dette somme non versate, oltre alle sanzioni, relative ai soli periodi d’imposta 2000 e 2001 e, infine, la cartella di pagamento relativa all’iscrizione a ruolo RAGIONE_SOCIALE somme dovute a titolo di imposte dirette e di IVA per l’anno 2003, oltre alle sanzioni, a seguito del mancato perfezionamento del condono, ai sensi dell’art. 9 bis L. n. 289/2002, relativo ad omessi versamenti di imposte dichiarate per gli anni dal 1995 al 2003, per avere la contribuente pagato la sola prima rata, e non anche le successive, dell’importo dovuto per accedere al beneficio.
L’Ufficio, che aveva sgravato i ruoli annullati nei gradi di merito, iscriveva nuovamente a ruolo le somme confermate come dovute, notificando due nuove cartelle l’8.11.12 e il 23.5.13.
La prima, richiamante la cartella già sgravata, impugnata avanti alla CTP di Bari, nel giudizio R.G. 404/2013, era riconosciuta affetta da errori dall’Amministrazione, in quanto anziché gli anni 2000 e
2001 erano stati indicati gli anni 2001-2002, per cui venivano sgravati il 2002 e la parte del 2001 in realtà corrispondente al 2000. La seconda cartella veniva emessa a correzione ed integrazione della precedente, per le debenze del 2000 e del 2002, ferma restando la prima cartella per quelle effettive del 2001.
Anche la seconda cartella veniva impugnata, e il ricorso (R.G. 3571/13) era riunito a quello relativo alla prima (R.G. n. 404/13); in entrambi la contribuente deduceva la decadenza dell’Amministrazione dal potere impositivo , la duplicazione dell’imposta e dell’iscrizione a ruolo e la violazione della decisione della Corte di cassazione, nonché la carente motivazione della cartella, l’ erroneità RAGIONE_SOCIALE somme iscritte per il 2002 ed il mancato sgravio d ell’importo di euro 5.164,00.
La CTP rigettava il ricorso, non ravvisando la decadenza denunciata per essere state emesse le cartelle in base alla sentenza n. 9336/2012 della Corte di cassazione e non alla originaria liquidazione della dichiarazione, e ritenendo pertanto applicabile nella specie il solo termine prescrizionale decennale di cui all’ art. 2953 c.c.
La Commissione tributaria regionale della Puglia rigettava l’appello della società contribuente, i) confermando la statuizione dei giudici di primo grado di rigetto della eccezione di decadenza, ii) ritenendo infondata la censura di omessa pronuncia da parte della CTP sulle altre questioni, ritenute implicitamente respinte, iii) escludendo ogni duplicazione di imposta «avendo l’Ufficio errato solo nell’indicazione degli anni di imposta e non anche nella correttezza degli importi», iv) ritenendo sufficiente la motivazione della cartella, in quanto indicante «tutte le voci e le causali del l’ iscrizione a ruolo così come previsto dal D.M 28/06/1999, dall’art. 25 comma 2 D.P.R. 602173 e dalla precisazione di cui al D.M 3/9/99 n. 321 artt. 1 comma 2 e 6 comma 1», e v) dichiarando assorbito il resto.
Avverso la predetta sentenza RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione sorretto da quattro motivi.
Resistono con controricorso l’RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE.
In data 23.11.2024 il Pubblico ministero, nella persona del AVV_NOTAIO procuratore AVV_NOTAIO, ha depositato requisitoria scritta, chiedendo il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso la società contribuente lamenta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, la violazione d ell’art. 37, comma 44 del d.l. n. 223/2006, convertito nella l. n. 248/2006; la violazione dell’art. 25 DPR n. 602/1973 , come modificato dal D.lgs. 193/2001, del d.l.17/6/2005, n. 106 (art. 1, comma 5 bis e 5 ter, e succ. mod.); la falsa applicazione dell’art. 2953 c.c.; la «Violazione dei principi in tema di decadenza dal potere impositivo».
Il motivo è infondato.
Il diritto alla riscossione di un’imposta, azionato mediante emissione di cartella di pagamento e fondato su un accertamento divenuto definitivo a seguito di sentenza passata in giudicato, non è assoggettato ai termini di decadenza di cui all’art. 25 del d.P.R. n. 602 del 1973, nel testo vigente ratione temporis; inoltre, opera
il termine di prescrizione decennale previsto dall’art. 2953 c.c. per l’actio iudicati (Cass. n. 25222/2024; Cass. n. 8105/2019).
2.1. Le cartelle impugnate risultano pertanto tempestivamente notificate, l’8.11.12 e il 23.5.13, con riferimento all l’8/06/2012, data di deposito della sentenza n. 9336/2012 di questa Corte di cassazione.
2.2. Con ulteriore censura, ultronea rispetto ai vizi denunciati nella rubrica del motivo, la ricorrente lamenta che l’u ltima cartella notificata rechi anche tributi per il 2002, che non sarebbero stati indicati in alcuna RAGIONE_SOCIALE precedenti, in quanto nel giudizio deciso
dalla S.C. si sarebbe discusso solamente della sanzione del 30% prevista per le rate del condono non versate.
2.3. La censura, al netto RAGIONE_SOCIALE confuse modalità di formulazione, è inammissibile per difetto di specificità o autosufficienza, là dove la ricorrente pretende di identificare l’oggetto del giudizio di cassazione già svolto nella sola sanzione del 30%, senza nulla riportare dell’atto introduttivo di tale giudizio. La censura è, comunque, anche infondata, perché questa Corte, con la menzionata sentenza n. 9336/2012, ha negato la spettanza del condono e dunque confermato la debenza integrale anche RAGIONE_SOCIALE imposte e non solo RAGIONE_SOCIALE sanzioni.
Con il secondo motivo di ricorso si deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la «Violazione degli articoli 324 c.p.c. e 2909 cod. civ. nonché dei principi di iscrizione a ruolo e di giudicato (in presenza di cartella di pagamento emessa in violazione dei principi di iscrizione a ruolo, in possibile duplicazione d’imposta e in violazione RAGIONE_SOCIALE statuizioni contenute nella sentenza n. 9336/12 della corte di cassazione)».
Afferma la ricorrente che vi sarebbe violazione del giudicato di cui alla richiamata sentenza di questa Corte, che a dire di controparte non avrebbe autorizzato né prescritto alcuna ulteriore iscrizione a ruolo, tanto meno a titolo definitivo; e vi sarebbe ”possibile” duplicazione d’imposta.
4. Il motivo è infondato.
Il diniego del condono sul quale si è definitivamente pronunciata la Cassazione con la sentenza n. 9336/2012 , in coerenza con l’art. 9 bis legge n. 289/2002, ha determinato la perdita di tutti i benefici derivanti dal tentativo, non riuscito, di accedere alla definizione agevolata.
4.1. La contestazione attinente, infine, alla «possibile duplicazione di imposta» è priva di qualsiasi indicazione dei documenti o degli
atti processuali sui quali essa si fonda ed è, sotto tale profilo, inammissibile (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 12481 del 19/04/2022).
Con il terzo strumento di impugnazione la società ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione «dell’art. 3 L. 241/90, dell’art. 7 L. 212/00 e dell’art. 25 d.p.r. 602/73; Omesso esame e motivazione apparente, nullità della sentenza per violazione art. 112 c.p.c., ex art. 360 n. 4 cod. proc. civ.».
5.1. Il motivo è inammissibile perché formulato mediante la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, comma 1, n. 4 e n. 5, cod. proc. civ., non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione (Cass., 13 dicembre 2019, n. 32952; Cass., 4 ottobre 2019, n. 24901; Cass., 23 ottobre 2018, n. 26874) e ciò anche a volere accogliere l’orientamento meno rigoroso che subordina l’ammissibilità del motivo frutto di mescolanza (Cass., 13 dicembre 2019, n. 32952; Cass., 4 ottobre 2019, n. 24901; Cass., 23 ottobre 2018, n. 26874), alla condizione che lo stesso comunque evidenzi specificamente la trattazione RAGIONE_SOCIALE doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione RAGIONE_SOCIALE norme di diritto appropriate alla fattispecie ed i profili attinenti alla ricostruzione del fatto.
5.2. Il motivo è comunque inammissibile per altro profilo, avendo i giudici di appello esposto, con iter logico intellegibile, le ragioni della decisione, avuto riguardo all’esame RAGIONE_SOCIALE voci e RAGIONE_SOCIALE causali dell’atto impugnato , con l’effetto che la censura riguarda non
l’apparenza della motivazione ma un vizio di sufficienza della stessa, ovvero, un vizio non sindacabile in sede di legittimità.
6. Con il quarto motivo di ricorso si lamenta l’« Omesso esame e motivazione apparente, nullità della sentenza per violazione art. 112 c.p.c., ex art. 360 n. 4 cod. proc. civ.; Omesso esame, ex art. 360, n. 5 cod. proc. civ., di un fatto decisivo».
La società contribuente allega che la CTR non si sarebbe pronunciata sulla censura della ricorrente di illegittimità RAGIONE_SOCIALE cartelle impugnate, «con specifico riferimento alle somme erroneamente ed indebitamente richieste ed iscritte a ruolo, quanto meno per il periodo d’imposta 2002».
Vi sarebbe inoltre l’omesso esame di un fatto decisivo, in quanto la sentenza di questa Corte di cassazione, presupposta alla nuova iscrizione, non atterrebbe all’indicato anno d’imposta 2002.
6.1. Il motivo è inammissibile in relazione al secondo profilo di censura in quanto, ricorrendo una ipotesi di ‘doppia conforme’, prevista dall’art. 348 -ter, comma 5, c.p.c., e non avendo la ricorrente indicato le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse» (Cass. 28 febbraio 2023, n. 5947).
6.2. Il motivo è comunque infondato, poiché non si versa in ipotesi di omessa pronuncia, ricorrendo invece un’ipotesi di implicita pronuncia di rigetto.
Deve richiamarsi, in proposito, l’orientamento di questa Corte secondo cui il vizio di omessa pronuncia su una domanda o eccezione di merito, che integra una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e il pronunciato ex art. 112 cod. proc. civ., si ha quando vi sia omissione di qualsiasi decisione su di un capo di domanda, intendendosi per capo di domanda ogni richiesta RAGIONE_SOCIALE parti diretta ad ottenere l’attuazione in concreto di una volontà di legge che garantisca un bene all’attore o al convenuto e,
in genere, ogni istanza che abbia un contenuto concreto formulato in conclusione specifica, sulla quale deve essere emessa pronuncia di accoglimento o di rigetto (Cass., 26 gennaio 2021, n. 1616; Cass., 27 novembre 2017, n. 28308).
Inoltre, secondo costante giurisprudenza, «ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia» (Cass., 4 ottobre 2011, n. 20311; Cass., 10 maggio 2007, n. 10696; Cass., 26 novembre 2013, n. 26397; Cass., 18 giugno 2018, n. 15936).
6.3. Nel caso di specie la pronuncia di rigetto, in relazione alle somme iscritte a ruolo e di cui è stato richiesto il pagamento nel 2002, è implicita per il rinvio operato in sentenza alla decisione della Corte di c assazione riferita all’annualità del 2002. Questa Corte si era infatti pronunciata con riferimento al ricorso avente a oggetto la cartella emessa nel 2003 e relativa all’iscrizione a ruolo RAGIONE_SOCIALE somme dovute a titolo di imposte dirette e di IVA per l’anno 2003, oltre alle sanzioni, a seguito del mancato perfezionamento del condono, ai sensi dell’art. 9-bis L. 27 dicembre 2002, n. 289, relativo ad omessi versamenti di imposte dichiarate per gli anni dal 1995 al 2003, e dunque anche per l’anno 2002.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente al rimborso, in favore RAGIONE_SOCIALE controricorrenti, RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità, che si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M .
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità, che liquida, in favore della controricorrente RAGIONE_SOCIALE, in euro 7.800, oltre spese prenotate a debito, e in favore della controricorrente RAGIONE_SOCIALE in euro 7.800,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 18/12/2024.