Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 15749 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 15749 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 12/06/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 17938/2016 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore generale pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato presso i cui uffici in Roma, INDIRIZZO è domiciliata;
-ricorrente –
CONTRO
ISTITUTO REGIONALE PER IL CREDITO ALLA RAGIONE_SOCIALE -I.R.C.A.C. (c.f. NUMERO_DOCUMENTO), in persona del Presidente p. t. rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME del foro di Agrigento, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME COGNOME giusta procura speciale in atti
-controricorrente – avverso la sentenza n. 56/2016 della Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, depositata in data 11.01.2016, non notificata;
udita la relazione svolta alla pubblica udienza del giorno 1.4.2025 dal Cons. NOME COGNOME udito il Sostituto Procuratore Generale,
Rimborso eccedenza Irpeg
– Prescrizione – art. 2,
comma 58, l. 350/2003
che ha concluso per l’accoglimento del primo motivo, assorbiti gli altri; uditi per la ricorrente l’Avvocato dello Stato NOME COGNOME e per la controricorrente l’Avv. NOME COGNOME per delega dell’avv. NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1. L’Agenzia delle Entrate propone quattro motivi di ricorso per la cassazione della sentenza in epigrafe indicata, con la quale la Commissione tributaria regionale della Sicilia, in riforma della decisione di primo grado, ha ritenuto illegittimo il silenzio-rifiuto opposto all’istanza 22 maggio 2009 con la quale l’Istituto Regionale per il Credito alla Cooperazione aveva chiesto il rimborso del credito Irpeg risultante dal Mod. 760/87 del 27 maggio 1987 per i redditi prodotti nel 1986, oltre interessi. La Commissione tributaria regionale, in sintesi, ha osservato che: la fattispecie era regolata dall’art. 2, co. 58 ^, l. 350/2003 (legge finanziaria 2004), secondo cui: ‘ Nel quadro delle iniziative volte a definire le pendenze con i contribuenti, e di rimborso delle imposte, l’Agenzia delle entrate provvede alla erogazione delle eccedenze di IRPEF e IRPEG dovute in base alle dichiarazioni dei redditi presentate fino al 30 giugno 1997, senza far valere la eventuale prescrizione del diritto dei contribuenti ‘; la disposizione, come definitivamente chiarito dalla Corte Costituzionale (ord. n. 112/2013), che l’aveva ritenuta legittima con riferimento agli articoli 3, 97 e 113 co.2^ Cost., aveva contenuto precettivo, nel senso di configurare un vero e proprio divieto, per l’Agenzia delle Entrate, di far valere l’eventuale prescrizione del diritto del contribuente al rimborso; nel merito, il credito Irpeg risultava dal Mod. 760/86 presentato dall’Istituto e mai contestato dall’A.F.; il silenzio rifiuto era pertanto illegittimo e l’Agenzia delle Entrate era pertanto tenuta al rimborso della somma richiesta, oltre interessi al tasso legale fino al saldo.
Avverso la precitata pronuncia proponeva ricorso l’Agenzia delle Entrate, basato su quattro motivi. L’I.R.C.A.C. resisteva con controricorso.
Con ordinanza interlocutoria del 25 marzo 2023 la causa veniva rinviata a nuovo ruolo, in attesa dell’esito del rinvio degli atti alla Prima Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite di analogo ricorso pendente tra le stesse parti.
Indi, dopo il pronunciamento delle Sezioni Unite, la causa è stata fissata per la trattazione in pubblica udienza.
L’Istituto ha depositato memoria ex art. 380 bis.
La Procura generale ha depositato requisitoria scritta.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate lamenta ex art. 360 co. 1^ n. 3 cod.proc.civ. -violazione e falsa applicazione degli artt.2934, 2937 e 2946 cod.civ., 2, co. 58 l. 350/2003. Diversamente da quanto sostenuto dalla Commissione Tributaria Regionale (in contrasto con vari precedenti di legittimità che avevano fatto seguito a Cass. SU n. 2687/07), il disposto dell’articolo 2 co. 58 in esame costituiva un mero ‘invito’ all’amministrazione finanziaria a non far valere la prescrizione, senza comportare alcuna abolizione di quest’ultima (così, Cass. nn. 11943/16, 11323/16, 7706/13, 633/12). Né una diversa conclusione poteva desumersi dalla citata ordinanza della Corte Costituzionale n. 112 del 2013, la quale aveva richiamato l’eccezionalità della norma, riferendola ai rimborsi a favore dei contribuenti che avevano richiesto il condono, fattispecie diversa dalla presente.
Con il secondo, subordinato, motivo di ricorso, l’Agenzia delle Entrate deduce -ex art. 360 co. 1^ n. 3 cod.proc.civ. -violazione e falsa applicazione degli articoli 2946 cod.civ., 2, co. 58 l. 350/2003 ed 11 preleggi, per non avere la Commissione Tributaria Regionale considerato che al momento dell’entrata in vigore della l.
350/03 il credito in questione, relativo a dichiarazione presentata il 12 maggio 1986, era comunque già estinto per decorso (non interrotto) del termine decennale, non avendo la norma in esame efficacia retroattiva (C.Cost. cit.).
Con il terzo motivo si lamenta, in via ulteriormente subordinata, la violazione dell’articolo 2697 cod.civ., avendo la C.T.R. erroneamente ritenuto che il contribuente, sul quale gravava il relativo onere, aveva provato il credito chiesto a rimborso mediante la semplice produzione di copia di una dichiarazione fiscale di oltre vent’anni prima, ed in ordine alla quale nessuna documentazione si trovava più in possesso dell’Ufficio.
Con il quarto motivo l’Agenzia delle Entrate deduce, in via ancora subordinata, la violazione degli articoli 37, 38 e 44 d.P.R. 602/73, per avere la Commissione Tributaria Regionale riconosciuto l’automatica spettanza degli interessi e del risarcimento da svalutazione monetaria, nonostante -a fortiori in ambito tributario – il maggior danno di cui all’articolo 1224, secondo comma, cod.civ. dovesse essere provato dal creditore, quantomeno con l’allegazione del maggior saggio medio di rendimento netto dei titoli di Stato di durata annuale rispetto al tasso legale di interesse (Cass. n.11943/16).
L’Istituto Regionale per il Credito alla Cooperazione ha depositato controricorso, opponendo che: la correttezza dell’interpretazione dell’art. 2 co. 58 l. 350/2003, così come offerta dalla Commissione Tributaria Regionale, non era inficiata da Cass. S.U. 2687/07 cit., in quanto relativa a diversa fattispecie e contenente, sul punto, un mero obiter ; rilevanti, nel senso stabilito dalla sentenza impugnata, erano invece i richiami a C.Cost. cit. ed anche a Cass. n. 4786/09; l’operatività della prescrizione è per sua natura condizionata alla rituale eccezione in giudizio il che, nell’interpretazione propugnata dalla Agenzia delle Entrate, determinerebbe il pratico svuotamento di significato della
disposizione in esame, mediante la inutile riproposizione dell’art. 2937 cod.civ. (rinunzia alla prescrizione); il fatto che la norma introducesse, per ragioni di equità, un vero e proprio divieto di eccepire la prescrizione per i rimborsi dei crediti Irpef ed Irpeg rinvenienti da dichiarazioni annuali presentate fino al 30 giugno 1997, si poneva in linea con il principio ex art. 53 Cost., oltre che con quelli di buona fede ed affidamento; alla data di entrata in vigore dell’art. 2 co. 58 l. 350/2003 (1^.1.2004) il termine decennale di prescrizione non era comunque ancora decorso, avendo l’Istituto presentato, nel settembre 1994, una prima istanza di rimborso presso l’Ufficio II DD di Palermo; la mera esposizione del credito in dichiarazione determinava l’obbligo dell’Amministrazione di procedere, d’ufficio, al rimborso, tanto più che, nella specie, la stessa Amministrazione Finanziaria aveva riconosciuto il credito del contribuente (che aveva documentato le ritenute operate in eccesso dalle banche) in un successivo avviso di accertamento depositato in sede di gravame; inconferente era il motivo di ricorso relativo alla mancata prova di maggior danno ex art. 1224, co. 2^, cod.civ., non avendo l’Istituto mai chiesto né ottenuto il risarcimento da svalutazione monetaria.
6. In altro giudizio pendente tra le stesse parti, interveniva l’ordinanza n. 8475/23, con la quale la Sezione Tributaria della Corte rimetteva gli atti alla Prima Presidente per l’eventuale assegnazione della causa alle Sezioni Unite ritenendo opportuno, alla luce dei precedenti sia di SU n.2687/07 sia di C.Cost. ord. 112/2013, ‘un nuovo intervento nomofilattico chiarificatore sulla specifica questione della valenza precettiva o meno dell’art.2, comma 58, della legge 24 dicembre 2003, n.350’, vista la rilevanza della questione e la sua idoneità a riproporsi in futuri giudizi.
Le Sezioni Unite di questa Corte si sono pronunciate con la sentenza n. 12284, depositata il 7 maggio 2024, alla cui condivisa motivazione si rinvia, con la quale è stato affermato il seguente
principio di diritto: ‘ l’art. 2 co. 58^ legge 350/2003 pone a carico dell’Amministrazione Finanziaria un vero e proprio obbligo di non far valere la prescrizione del diritto del contribuente al rimborso delle eccedenze Irpef ed Irpeg sulle dichiarazioni presentate fino al 30 giugno 1997; questo obbligo, la cui violazione è rilevabile anche d’ufficio dal giudice, viene a cessare dopo un decennio, pari al decorso di un nuovo termine prescrizionale, dall’entrata in vigore (1^ gennaio 2004) della legge stessa ‘.
Vanno pertanto rigettati i primi due motivi di ricorso dell’Agenzia delle Entrate.
8.1. Il primo motivo si basa infatti sulla riaffermazione dell’indirizzo interpretativo di legittimità che, per quanto consolidato, si è visto non resistere alle plurime obiezioni sollevate con l’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite sopra citata e sostanzialmente condivise dalle Sezioni Unite, mentre risulta dirimente che l’istanza di rimborso sia stata proposta dall’Istituto il 22 maggio 2009, e quindi -con effetto interruttivo – prima dello spirare del decennio dall’entrata in vigore della l. 350/03.
8.2. Il secondo motivo, di natura subordinata, si fonda invece sul fatto che il credito di rimborso in questione si sarebbe estinto per prescrizione decennale ancor prima dell’entrata in vigore di questa legge. Senonchè, pur volendo superare il profilo di inammissibilità della doglianza per genericità ed indeterminatezza – non prendendo essa posizione alcuna avverso la deduzione dell’Istituto secondo cui questo primo decennio di prescrizione sarebbe stato invece efficacemente interrotto da una pregressa istanza di rimborso del 30.9.1994 -risulta decisivo che un’eventuale prescrizione ante legem non avrebbe di per sé mutato i termini del problema, restando l’Amministrazione Finanziaria comunque tenuta anche in questa evenienza, certamente rientrante nella previsione di legge -a non far valere l’avvenuta estinzione.
9. Senz’altro inammissibile è invece il terzo motivo di ricorso. Non è inutile premettere il costante orientamento di legittimità (tra le ultime, Cass. Sez. Trib. n. 32505/23), secondo cui il ricorrente per cassazione non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità in quanto, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ‘ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione del giudice di merito, a cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra esse, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione’. Ed a ciò si deve aggiungere, perché anche di questo la ricorrente si duole, che in sede di legittimità, la violazione dell’art. 2697 c.c. (tra le molte, Cass.Sez.III, n. 26769/18) ‘si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni’.
9.1 Nella fattispecie in esame, la Commissione Tributaria Regionale non ha affatto sovvertito la regola generale di ripartizione dell’onere della prova, esattamente assumendo che, vertendosi di istanza di rimborso, tale prova dovesse gravare sull’Istituto. Essa ha poi motivatamente reputato che la prova fosse stata fornita dal contribuente, in ragione della copia della dichiarazione dei redditi per l’anno 1986 e della relativa lettera RR di trasmissione all’Ufficio Distrettuale IIDD di Palermo; dell’esame del Modello 760/87 e, in particolare, della sezione 2 del modello 760M; del contegno dell’Agenzia delle Entrate la quale – in sede processuale – non
aveva eccepito l’omessa presentazione della dichiarazione in questione, né ne aveva espressamente disconosciuto la conformità della copia prodotta all’originale; del riconoscimento del credito in seno all’avviso di accertamento n. 70068/92 emesso dall’Ufficio Distrettuale II.DD. di Palermo. E’ dunque palese come, nella presente sede di legittimità, non vi possa essere spazio alcuno per una delibazione probatoria e per una ricostruzione dei fatti di causa differenti ed alternative rispetto a quelle così operate dal giudice del merito.
10. Venendo al quarto ed ultimo motivo di ricorso, se ne ravvisa parimenti l’inammissibilità. Va, anche in proposito, premesso il pacifico assunto secondo cui l’onere della indicazione specifica dei motivi di impugnazione, imposto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall’art. 366, comma 1, n. 4 c.p.c., qualunque sia il tipo di errore (“in procedendo” o “in iudicando”) per cui è proposto, non può essere assolto ” per relationem ” con il generico rinvio ad atti del giudizio di appello, senza la esplicazione del loro contenuto, essendovi il preciso onere di indicare, in modo puntuale, gli atti processuali ed i documenti sui quali il ricorso si fonda, nonché le circostanze di fatto che potevano condurre, se adeguatamente considerate, ad una diversa decisione; deve infatti il ricorso medesimo contenere, in sé, tutti gli elementi che diano al giudice di legittimità la possibilità di provvedere al diretto controllo della decisività dei punti controversi e della correttezza e sufficienza della motivazione della decisione impugnata (tra le moltissime: (Cass.Trib. n. 342/21). Ciò posto, il motivo che viene qui in considerazione è del tutto scollegato dalla realtà sostanziale e processuale della fattispecie, perché con esso si lamenta apoditticamente il fatto che sarebbero stati illegittimamente riconosciuti a credito dell’Istituto, ‘in via automatica’, anche interessi a titolo di risarcimento del maggior danno ex art. 1224 cod.civ., nonostante quest’ultimo non fosse stato provato dal
creditore. La doglianza si esaurisce poi nella trascrizione di una massima giurisprudenziale nel senso voluto (Cass. n. 11943/16). Contrariamente all’assunto, non risulta da alcunchè e ciò doveva essere necessariamente specificato, ex art. 366 cit., vuoi nella rievocazione in ricorso dei fatti di causa, vuoi nella formulazione di una censura non astratta, ma calibrata sulla decisione impugnata, vuoi ancora nella indicazione degli atti processuali a tal fine rilevanti -che l’ammontare riconosciuto in rimborso fosse comprensivo anche del maggior danno ex art. 1224 cod.civ. Non è quindi questione se il contribuente avesse in giudizio provato, oppure no, questo diritto (unico aspetto sviluppato nel motivo) ma, a monte, se l’avesse davvero dedotto nell’istanza di rimborso prima e nel giudizio poi (circostanze entrambe contestate dal controricorrente). E la ricorrente neppure esplicita da quali elementi si dovrebbe trarre argomento per ritenere che il maggior danno sia stato comunque in effetti riconosciuto dalla Commissione Tributaria Regionale, atteso che di ciò non vi è traccia alcuna né nel dispositivo della sentenza impugnata, che si limita a riconoscere il credito ‘oltre interessi’, né nella motivazione. L’indeterminatezza del motivo in esame appare poi tanto più eclatante se si rapporta la doglianza alla specificità e tassatività che invece presiede al regime degli interessi spettanti sui rimborsi tributari (v. art. 44 d.P.R. n. 602/73); regime di natura legale e speciale che, in assenza di altre dovute ed indispensabili indicazioni, deve ritenersi essere stato applicato anche nel caso, ad esclusione quindi del maggior danno. E di ciò si trae comunque definitiva conferma dal ricorso introduttivo dell’Istituto avanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Palermo, recante la domanda di riconoscimento degli interessi ‘nella misura prevista dalla legge’.
11. Il ricorso va conclusivamente respinto.
Le spese del presente giudizio vengono compensate, risentendo la decisione del superamento di un pregresso orientamento favorevole all’Amministrazione Finanziaria.
13 . Rilevato che risulta soccombente l’Agenzia delle Entrate, ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’articolo 13 comma 1quater del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della l. 228 del 2012 (Cass. 29/01/2016, n. 1778).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; compensa le spese. Così deciso in Roma, in data 1.4.2025