Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 16356 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 16356 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: CORTESI NOME
Data pubblicazione: 17/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso n.r.g. 26367/2022, proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , in persona del direttore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato presso la quale è domiciliata in ROMA, INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME COGNOME rappresentata e difesa, per procura allegata al controricorso, dall’Avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliata presso l’Avv. NOME COGNOME, in ROMA, INDIRIZZO
– controricorrente –
nonché contro
AGENZIA DELLE ENTRATE RISCOSSIONE
-intimata – avverso la sentenza n. 1811/01/2022 della Commissione tributaria regionale della Calabria, depositata il 31 maggio 2022; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21
maggio 2025 dal consigliere dott. NOME COGNOME
Rilevato che:
NOME COGNOME impugnò, innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Catanzaro , l’intimazione di pagamento notificatagli l’11 ottobre 2018, ricevuta a seguito di cartella di pagamento concernente Irap, Irpef e Iva per l’anno d’imposta 2005, oltre interessi e sanzioni.
La Commissione adìta respinse il ricorso.
Il successivo appello del contribuente fu parzialmente accolto con la sentenza indicata in epigrafe.
I giudici regionali, premesso il rilievo in base al quale la mancata impugnazione degli atti impositivi o esecutivi rende irretrattabili i crediti d’imposta, senza incidere sul relativo termine prescrizionale, rilevò che non era ancora decorso il termine ordinario in relazione alle imposte; con riferimento, invece, alle sanzioni e agli interessi collegati, era maturata la prescrizione, il cui termine era quello quinquennale, rispettivamente stabilito dall’ art. 20, comma 3, del d.lgs. n. 472/1997 e dall’ art. 2948, primo comma, num. 4, cod. civ.
L’impugnazione del contribuente fu pertanto accolta limitatamente a tali ultime voci di credito.
La sentenza d’appello è stata impugnata dall’Amministrazione con ricorso per cassazione affidato a due motivi.
Il ricorso è stato notificato a NOME COGNOME che in base alla dichiarazione di successione presentata all’anagrafe tributaria risultava essere l’ unica erede di NOME COGNOME deceduto il 23
gennaio 2019; l ‘ intimata ha depositato controricorso, mentre Agenzia delle Entrate -Riscossione, pure intimata, non ha svolto difese.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso l’Amministrazione denunzia nullità della sentenza per « violazione e falsa applicazione dell’art. 12 del D. Lgs. n. 546/1992, in combinato disposto con l’art. 83 c.p.c. e con l’art. 1722 c.c. inammissibilità dell’appello proposto in assenza di ius postulandi ».
La ricorrente osserva che l’appello del contribuente era stato proposto il 5 ottobre 2021 e che l’atto introduttivo del giudizio dava atto della sussistenza di una procura in calce a favore del difensore; il COGNOME, tuttavia, era deceduto due anni prima.
Assume pertanto, con richiamo ad alcuni precedenti di questa Corte, che la C.T.R. avrebbe dovuto dichiarare inammissibile il gravame, in quanto il difensore della parte costituita deceduta dopo la sentenza di primo grado, ancorché munito di procura rilasciatagli anche per il secondo grado, non è legittimato a proporre appello, poiché la morte del mandante estingue il contratto di mandato ai sensi dell’art. 1722, num. 4), cod. civ.
Il secondo motivo denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 20 del d.lgs. n. 472/1997.
Secondo l’Agenzia delle entrate l a sentenza d’appello sarebbe errata nella parte in cui ha ritenuto applicabile alle sanzioni il termine di prescrizione quinquennale, operante nel solo caso (qui non ricorrente) in cui esse siano irrogate separatamente dall’imposta.
L’Amministrazione richiama, inoltre, alcune pronunzie di questa Corte che hanno affermato il principio secondo cui, una volta divenuto definitivo l’avviso di rettifica e liquidazione per mancata impugnazione, ai fini della riscossione del credito opera unicamente il
termine decennale di prescrizione, anche se il credito è comprensivo di sanzioni e interessi.
In relazione all’eccezione preliminare sollevata dalla controricorrente -che, sulla base della propria rinunzia all’eredità, operata con dichiarazione contestuale al verbale di pubblicazione del testamento olografo di NOME COGNOME allegata al controricorso, ha chiesto che sia dichiarato il suo difetto di legittimazione passiva -rileva il Collegio che non sussistono elementi sufficienti a ritenerne la fondatezza.
Dallo stesso atto prodotto, infatti, risulta che la controricorrente fu comunque destinataria di legato da parte del de cuius , consistito nella quota di un immobile; dal che non può escludersi l’eventuale responsabilità della predetta ex art. 756 cod. civ. anche per la pretesa erariale, nella possibile sussistenza dei presupposti.
Si può dunque procedere a ll’esame del ricorso nel merito, scrutinando il primo motivo.
Lo stesso non è fondato.
La tesi della ricorrente si pone, infatti, in contrasto con l’orientamento consolidato di questa Corte, e cristallizzatosi a partire dalla sentenza n. 15295/2014 resa a Sezioni Unite, espresso dal seguente principio di diritto: «La morte o la perdita di capacità della parte costituita a mezzo di procuratore, dallo stesso non dichiarate in udienza o notificate alle altre parti, comportano, giusta la regola dell’ultrattività del mandato alla lite, che: a) la notificazione della sentenza fatta a detto procuratore, ex art. 285 cod. proc. civ., è idonea a far decorrere il termine per l’impugnazione nei confronti della parte deceduta o del rappresentante legale di quella divenuta incapace; b) il medesimo procuratore, qualora originariamente munito di procura alla lite valida per gli ulteriori gradi del processo, è legittimato a proporre impugnazione – ad eccezione del ricorso per
cassazione, per cui è richiesta la procura speciale – in rappresentanza della parte che, deceduta o divenuta incapace, va considerata, nell’ambito del processo, tuttora in vita e capace; c) è ammissibile la notificazione dell’impugnazione presso di lui, ai sensi dell’art. 330, primo comma, cod. proc. civ., senza che rilevi la conoscenza aliunde di uno degli eventi previsti dall’art. 299 cod. proc. civ. da parte del notificante».
A tale principio, per converso, è conforme la decisione impugnata, che, pertanto, sul punto va esente da censura.
Anche il secondo motivo è infondato per come formulato.
I principii richiamati sul punto dalla ricorrente si riferiscono all’ipotesi in cui la cartella esattoriale si fonda su una sentenza passata in giudicato relativa a un atto impositivo; in questi casi, ha affermato la giurisprudenza di questa Corte, il titolo della pretesa tributaria cessa di essere l’atto e diventa la sentenza che, pronunciando sul rapporto, ne ha confermato la legittimità, diventando così inapplicabili eventuali termini più brevi (cfr. Cass. n. 9431/2024; Cass. n. 9076/2017; Cass. n. 16730/2016).
L’Agenzia delle entrate, tuttavia, non ha né allegato né provato che tale sia la circostanza ricorrente nella specie.
Va quindi data continuità ai principii costantemente affermati da questa Corte, che, per gli interessi e le sanzioni correlati ai crediti erariali, ha ritenuto applicabile la prescrizione quinquennale, giusta quanto disposto, rispettivamente, d all’art. 2948, n um. 4, cod. civ. e d all’art. 20 del d.lgs. n. 472/1997 (cfr. in tal senso, e fra le numerose altre, Cass. n. 27055/2022).
Gli interessi, infatti, «sono regolati da una norma di diritto comune secondo cui l’obbligazione relativa riveste natura autonoma rispetto al debito principale e soggiace al generalizzato termine di prescrizione quinquennale fissato dalla suddetta
disposizione» (Cass. n. 5220/2024), mentre per le sanzioni si applica l’espressa previsione di legge, che ha carattere di specialità (Cass. n. 2095/2023).
Anche sotto tale profilo, pertanto, nella sentenza d’appello non sussistono i vizi denunziati.
In conclusione, il ricorso è meritevole di rigetto.
Consegue la condanna dell’Amministrazione al pagamento delle spese sostenute dalla controricorrente, liquidate in dispositivo.
Poiché la parte soccombente è un’amministrazione dello Stato patrocinata dall’Avvocatura generale, non si dà luogo alla condanna della stessa al pagamento di un importo pari al contributo unificato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna l’Agenzia delle entrate al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in € 4.100 ,00, oltre € 200,00 per esborsi, 15% rimborso forfetario e oneri di legge, con distrazione a favore del procuratore antistatario.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte