Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 34661 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 34661 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4926/2022 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (NUMERO_DOCUMENTO) che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RABBIONE NOME
-intimata- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. TORINO n. 582/2021 depositata il 20/07/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16/10/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE
In data 08/06/2018 l’ADR Agenzia delle Entrate – Riscossione notificava alla contribuente la cartella esattoriale n. 110 2018 00167571 64 000, relativa alla riscossione degli interessi di sospensione ex art. 39 D.P.R. 602/1973 maturati sugli importi non versati dalla Sig.ra COGNOME NOME nel corso di un giudizio precedentemente instaurato avanti la Commissione Tributaria Provinciale di Torino.
In altro giudizio era infatti accaduto che la C.T.P. di Torino avesse sospeso il giudizio, ai sensi dell’art. 39 D.lgs. 546/1992, attesa la pendenza di procedimento penale connesso alla causa tributaria e, successivamente, in data 19/07/2011, preso atto della mancata riassunzione del giudizio, la medesima C.T.P. dichiarava l’estinzione del giudizio ai sensi dell’art. 45 D.lgs. 546/1992.
La contribuente impugnava l’anzidetta cartella esattoriale, deducendo l’intervenuta prescrizione quinquennale degli interessi fatti oggetto del medesimo atto. Detta impugnazione era accolta dalla CTP di Torino con la sentenza n. 1350/04/2019, depositata il 14.11.2019, ritenendo applicabile, al caso in esame, il termine di prescrizione quinquennale di cui all’art. 20 del d.lgs. 472/1997.
Il successivo appello promosso dall’amministrazione finanziaria è stato respinto dalla CTR del Piemonte -Torino, con la sentenza oggetto del presente ricorso.
Ha proposto ricorso l’Agenzia delle Entrate affidandosi ad un unico mezzo.
L’Agenzia delle Entrate è rimasta intimata.
E’ stata fissata udienza in camera di consiglio per il successivo 16 ottobre 2024. Il contribuente ha depositato una memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c.
CONSIDERATO CHE
L’unico motivo di ricorso può di seguito compendiarsi come segue:
Violazione e falsa applicazione degli artt. degli artt. 30 e 39 comma 2 del D.P.R. n. 602/73, dell’art. 20, comma terzo, d.lgs. n. 472/1997, nonché degli artt. 2946, 2948 n. 4 e 2953 c.c., in relazione all’art. 360 comma 1 nr. 3) c.p.c.; secondo la ricorrente andrebbe apprezzata la diversità fra gli interessi di sospensione e quelli di mora, inoltre la previsione di cui all’art. 2948, n. 4 c.c. troverebbe applicazione esclusivamente alle obbligazioni periodiche o di durata, caratterizzate dalla pluralità e dalla periodicità delle prestazioni, aventi un titolo unico ma ripetute nel tempo; essa non risulterebbe, invece, applicabile alle obbligazioni nelle quali la periodicità si riferisce esclusivamente alla presentazione di rendiconti, ma non al pagamento dei debiti accertati e liquidati nei rendiconti medesimi, né alle prestazioni derivanti da un unico debito rateizzato in più versamenti periodici, per le quali opera la ordinaria prescrizione decennale.
Il motivo di ricorso non può trovare accoglimento.
La CTR del Piemonte ricorda come in sede di appello l’ufficio sostenesse che la prescrizione degli interessi da sospensione sia decennale ed inizi a decorrere dal 19/07/2011, data di adozione del decreto di estinzione del giudizio da parte della CTP. La stessa sentenza impugnata ha disatteso tale assunto motivando sul rilievo dell’art. 20 del d.lgs. n. 472/1997.
Pur non essendo particolarmente centrato il riferimento a tale norma -che riguarda piuttosto la prescrizione del diritto alla riscossione delle sanzioni -la decisione impugnata merita conferma, sia pure integrandone le relative motivazioni ex art. 384 ult. comma c.p.c.
Appare pacifico che il presente giudizio sia stato preceduto da altro procedimento, avente ad oggetto un avviso di mora con il quale si
procedeva alla liquidazione di maggiori imposte per l’anno 1992. Tale giudizio fu sospeso, in primo grado, per pregiudizialità penale ex art. 39 d.lgs. n. 546/1992 e a fronte dell’inerzia delle parti, dichiarato in seguito estinto.
In tale situazione non si è verificato alcun passaggio in giudicato di una decisione di merito -che infatti non era stata ancora emessa -ma unicamente la definitività dell’atto accertativo impugnato.
Non può quindi applicarsi il termine decennale di prescrizione di cui all’art. 2953 c.c., né è invocabile il seguente principio, espresso da Cass. civ., sez. trib., 03/09/2024, n. 23572, secondo cui il diritto alla riscossione degli interessi sulle sanzioni amministrative pecuniarie – sorto a seguito del ritardo nel pagamento dell’imposta principale individuata in una cartella di pagamento emessa dopo il passaggio in giudicato della sentenza di conferma dell’avviso di liquidazione – si prescrive nel termine di dieci anni, in applicazione dell’art. 2953 c.c., che disciplina, in via generale, l’actio iudicati.
In assenza di giudicato, vale invece il seguente principio di diritto, cui il collegio intende dare continuità, secondo cui in caso di notifica di cartella esattoriale non fondata su una sentenza passata in giudicato, il termine di prescrizione entro il quale deve essere fatta valere l’obbligazione tributaria relativa alle sanzioni ed agli interessi è quello quinquennale, così come previsto, rispettivamente, per le sanzioni, dall’art. 20, comma 3, del d.lgs. n. 472 del 1997 e, per gli interessi, dall’art. 2948, comma 1, n. 4, c.c. (Sez. 6 – 5, ord. n. 7486 del 08/03/2022 – Rv. 664137 – 01).
Più recentemente anche Sez. 5, sent. n. 2095 del 24/01/2023 – Rv. 666756 -02, ha affermato che gli interessi relativi alle obbligazioni tributarie si pongono in rapporto di accessorietà rispetto a queste ultime unicamente nel momento genetico, atteso che, una volta sorta, l’obbligazione di interessi acquista una propria autonomia in virtù della sua progressiva maturazione, uniformandosi, pertanto, quanto alla prescrizione, al termine quinquennale previsto, in via
generale, dall’art. 2948, n. 4, c.c., che prescinde sia dalla tipologia degli interessi sia dalla natura dell’obbligazione principale.
Tale scelta, del resto, appare fondata anche sul piano storicosistematico. Se, infatti, a prima vista le due prestazioni (capitale da un lato e interessi dall’altro) si mostrano omogenee (entrambe sono obbligazioni pecuniarie) e se, ancora, la prestazione degli interessi trae origine dall’obbligazione pecuniaria, in realtà l’obbligazione di interessi si aggiunge alla originaria prestazione in sorte capitale ed aggrava la posizione del debitore. Il legislatore ha -in linea generale e di principio – voluto liberare il debitore dalle prestazioni scadute, non richieste tempestivamente dal creditore, sancendo tale effetto per la prestazione accessoria per interessi in termini più rapidi rispetto all’obbligazione principale. Tale risultato è stato perseguito differenziando il periodo di esigibilità dell’obbligazione accessoria rispetto a quella principale attraverso l’introduzione di una disciplina prescrizionale più breve di quella ordinaria, prevista per la sorte capitale. Tale diversa ‘velocità’ di estinzione dell’obbligazione per interessi rispetto a quella principale si rinviene, ad esempio, in materia di regole legali di imputazione del pagamento (art. 1194 c.c., che prevede la preventiva imputazione del pagamento a estinzione del debito prima agli interessi e poi al capitale), ma trova soprattutto nel già citato art. 2948 n. 4 ) c.c. la propria fonte, senza che tale ultima disposizione operi alcuna distinzione circa la natura degli interessi (convenzionali, compensativi o moratori che siano).
In definitiva, l’affermazione secondo cui gli interessi configurano un ‘ obbligazione autonoma e rimangono indipendenti dall’obbligazione principale dalla quale pure sono sorti, per cui possono essere suscettibili “di autonome vicende rispetto all’obbligazione tributaria configurata a carico del contribuente”, rappresenta un risultato interpretativo ormai acquisito dalla giurisprudenza del tutto consolidata (in termini, Cass., Sez. U., 14
luglio 2022, n. 22281; conf. Cass., Sez. VI, 18 marzo 2022, n. 8892; Cass., Sez. V, 30 settembre 2019, n. 24295, Cass., Sez. VI, n. 17020/2014, cit.; Cass., Sez. I, 22 marzo 2012, n. 4554; Cass., Sez. V, 15 giugno 2011, n. 13080; Cass., Sez. V, 14 marzo 2007, n. 5954; Cass., Sez. V, 18 agosto 2004, n. 16123).
Pertanto, il motivo di ricorso proposto deve essere respinto.
Non occorre tuttavia provvedere sulle spese, poiché parte contribuente non ha svolto attività difensiva.
Inoltre, poiché risulta soccombente la parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13, comma 1 – quater del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Quinta Sezione