Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 24194 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 24194 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 09/09/2024
ordinanza
sul ricorso iscritto al n. 23477/2022 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, presso il cui studio in Roma, INDIRIZZO, è elettivamente domiciliata, come da procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, INDIRIZZO.
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Friuli -Venezia Giulia n. 34/02/2022, depositata il 21.02.2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12 giugno 2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
La CTR del Friuli – Venezia Giulia rigettava l’appello proposto dall a RAGIONE_SOCIALE contro la sentenza della CTP di Trieste che aveva
Oggetto:
Dazi
parzialmente accolto il ricorso (limitatamente al riconoscendo del diritto di detrazione della maggiore IVA versata a seguito della revisione dell’accertamento) proposto dalla predetta contribuente avverso l’avviso di accertamento suppletivo e di rettifica n. 490 -U, notificato in data 16.01.2020, con il quale l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE accertava, per diverse bollette di importazione, la mancata liquidazione del dazio agricolo paesi terzi e dell’IVA ;
dalla sentenza impugnata si evince, per quanto ancora qui rileva, che:
-la RAGIONE_SOCIALE si era aggiudicata l’appalto relativo al bando di gara indetto dall’RAGIONE_SOCIALE per la fornitura e il trasporto di latte alimentare da distribuire alle persone indigenti, a cura di enti caritativi siti nel territorio nazionale;
-l’avviso impugnato era stato emesso a conclusione di un giudizio civile che aveva riguardato il diritto o meno della RAGIONE_SOCIALE ad avvalersi della franchigia, prevista per i beni di prima necessità, importati da enti caritativi, dall’art. 65, comma 1, lett. a) del Reg. CEE n. 919/1983, in relazione alle importazioni di latte a lunga conservazione prodotto e confezionato in Ungheria (allora paese extracomunitario);
-tale giudizio si era concluso con la sentenza della Corte di Cassazione n. 17243 del 2019, che aveva definitivamente accertato l’obbligo della RAGIONE_SOCIALE di pagare i dazi relativi alle suindicate importazioni, atteso che il latte importato non era di proprietà degli enti caritatevoli, ma della stessa società importatrice;
il primo giudice aveva stabilito che sia il PVC che l’ avviso di accertamento erano s tati notificati ‘ Al termine del lungo iter processuale, che ha prodotto, ai sensi del combinato disposto degli artt. 221 e ss. cdc e degli artt. 2943 e 2945 c.c., un’interruzione del
termine di prescrizione relativo alla contestazione della pretesa impositiva di cui oggi è causa ‘ ;
-l’annullamento del riconoscimento di esenzione daziaria, originariamente concesso dall’Autorità doganale in data 17.08.2001, era stato disposto in data 30.08.2001, a seguito di istruttoria, ai sensi dell’art. 8 del CDC, prima della presentazione RAGIONE_SOCIALE prime merci in dogana, avvenuta in data 1.09.2001;
-a seguito del provvedimento d’urgenza, emesso in data 6.09.2001 dal Tribunale di Trieste, detto provvedimento di annullamento era stato disapplicato, consentendo alla RAGIONE_SOCIALE di presentare le relative dichiarazioni doganali e di redigere le bollette di importazione, in esenzione daziaria;
-l’esistenza del debito doganale era rimasta sub iudice fino alla conclusione del suindicato giudizio, avvenuta con la pubblicazione della sentenza della Corte di Cassazione n. 17243 del 2019;
-l’RAGIONE_SOCIALE, infatti, si era rivolta all’autorità giudiziaria per fare valere le proprie ragioni avverso il provvedimento di annullamento della franchigia, alla stessa originariamente accordata, e l’RAGIONE_SOCIALE si era tempestivamente opposta in giudizio, insistendo per la debenza dei dazi all’importazione; con la propria domanda, contenuta nella prima costituzione in giudizio in data 9.01.2001 e reiterata nel giudizio di merito innanzi il Tribunale di Trieste, l’RAGIONE_SOCIALE ha inciso sul decorso del termine della prescrizione (triennale) del proprio diritto (relativo al rapporto dedotto in giudizio) ex art. 221, comma 3, del CDC, sicchè detto termine doveva ritenersi sospeso per tutta la durata del giudizio, conformemente a quanto previsto anche dagli artt. 2943 e 2945 cod. civ.;
-l’art. 103, comma 3, lettera a), del Regolamento UE 9 ottobre 2013, n. 952 (CDU), attualmente in vigore, ha confermato la sospensione del termine di prescrizione in presenza di ricorso;
il termine triennale di prescrizione era iniziato a decorrere dal 27.06.2019 (data di deposito della sentenza della Corte di Cassazione n. 17243 del 2019), per cui l’avviso impugnato, notificato in data 16.01.2020, era stato tempestivamente comunicato;
anche il diritto alla riscossione degli interessi non era prescritto, trattandosi di obbligazione accessoria a quella principale; in ogni caso si trattava di un’eccezione nuova, non proposta nel ricorso originario;
-la RAGIONE_SOCIALE impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, illustrati con memoria;
l ‘RAGIONE_SOCIALE resisteva con controricorso.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di ricorso, la contribuente deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 4, cod. proc. civ., la nullità del procedimento e della sentenza per violazione de ll’art. 221, comma 3, del Reg. 2913/92, per avere la CTR errato nel ritenere applicabile la sospensione prevista dall’art. 221 CDC, atteso che il giudizio civile non riguardava l’obbligazione doganale in senso proprio, ovvero l’impugnazione di un atto emesso dall’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE , ma solo una questione di diritto circa l’applicazione della franchigia, non avendo l’Ufficio mai comunicato la propria pretesa, prima della notifica del PVC nel 2019, tanto che la controparte principale nel giudizio era l’RAGIONE_SOCIALE ;
con il secondo motivo, deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 4, cod. proc. civ., la nullità del procedimento e della sentenza per violazione dell’art. 11 del d.lgs. n. 374 del 1990, per avere la CTR errato nel ritenere applicabile la sospensione del termine di prescrizione, visto che il giudizio non riguardava un contenzioso doganale , essendo l’obbligazione doganale sorta negli anni 2001 2002, allorchè la merce era stata presentata in dogana ed erano state formate e accettate le relative bollette doganali; da tale momento
decorreva il termine di tre anni per l’eventuale revisione dell’accertamento;
con il terzo motivo, deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 4, cod. proc. civ., la nullità del procedimento e della sentenza per violazione dell’art. 221, comma 2, del Reg. 2913/92, per non avere la CTR considerato che il termine triennale previsto per la revisione dell’accertamento era iniziato a decorrere, in ogni caso, nel 2007, quando era stata depositata la sentenza della Corte di appello di Trieste che escludeva la spettanza dell’esenzione;
-i predetti motivi, che vanno esaminati congiuntamente per connessione, sono infondati;
preliminarmente occorre indicare il quadro normativo generale in materia di interruzione della prescrizione;
-l’art. 2943, comma 1, cod. civ. prevede che ‘La prescrizione è interrotta dalla notificazione dell’atto con il quale si inizia un giudizio, sia questo di cognizione ovvero conservativo o esecutivo ‘;
-l’art. 2945, comma 2 cod. civ., poi, dispone che ‘Se l’interruzione è avvenuta mediante uno degli atti indicati dai primi due commi dell’articolo 2943, la prescrizione non corre fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio’ ;
la norma mira ad impedire il decorso del termine di prescrizione del diritto nelle more di un procedimento giurisdizionale, fino al giudicato, secondo il principio del cd. effetto interruttivo permanente, che rimane applicabile anche nell’ipotesi in cui la sentenza non decida nel merito, ma definisca eventuali questioni processuali di carattere pregiudiziale, come nel caso di inammissibilità della domanda (Cass. n. 23017 del 14/12/2012);
-l’unica deroga all’effetto interruttivo permanente della prescrizione è prevista dall’art. 2945, comma 3, cod. civ., per il caso di estinzione del processo e trova applicazione, per identità di “ratio”, anche nel
caso di rinuncia alla domanda cui segua una sentenza di cessazione della materia del contendere, trattandosi di pronunzia inidonea ad acquisire efficacia di giudicato sostanziale sulla pretesa fatta valere (Cass. n. 23867 del 23/11/2015);
la previsione codicistica generale non contrasta con la specifica disciplina prevista, in materia doganale, dall’art. 221 par. 3 CDC, ma la completa; la predetta disposizione, infatti, si limita a statuire che ‘La comunicazione al debitore non può più essere effettuata tre anni dopo la data in cui è sorta l’obbligazione doganale. Detto termine è sospeso a partire dal momento sin cui è presentato un ricorso a norma dell’articolo 243 e per la durata del relativo procedimento’ ;
ciò posto, nella specie è indubbio che il giudizio instaurato dalla RAGIONE_SOCIALE innanzi al Tribunale di Trieste riguardasse anche la pretesa relativa al pagamento dei dazi doganali, essendo ininfluente la circostanza che non era stato impugnato alcun atto impositivo, posto che era comunque in contestazione la spettanza dell’esenzione dal pagamento dei diritti doganali;
-la società ricorrente, infatti, aveva chiesto all’autorità giudiziaria la disapplicazione del provvedimento doganale con il quale era stata annullata l’autorizzazione ad importare la merce, in franchigia dai dazi doganali;
il giudizio instaurato dalla società innanzi al Tribunale di Trieste, nel quale si era costituita anche l’RAGIONE_SOCIALE, ha riguardato, quindi, anche l’obbligazione doganale, essendo in discussione, appunto, gli stessi presupposti che determinano la sua insorgenza;
va peraltro evidenziato che, secondo la consolidata e condivisibile giurisprudenza di questa Corte (Cass. 4/08/2016, n. 16293), «in forza degli artt. 2943 e 2945 cod. civ., la domanda giudiziale ha efficacia interruttiva (e sospensiva, in base, e per gli effetti di cui, al secondo comma del citato art. 2945) della prescrizione con riguardo a
tutti i diritti che si ricolleghino con stretto nesso di causalità al rapporto cui essa inerisce (tra le altre, Cass., 11 novembre 1977, n. 4884; Cass., 22 maggio 1982, n. 3141; Cass., I ottobre 1997, n. 9589; Cass., 21 luglio 2004, n. 13583; Cass., 4 settembre 2007, n. 18570; Cass., 18 gennaio 2011, n. 1084; Cass., 15 luglio 2011, n. 15669; Cass., 27 ottobre 2015, n. 21812) . Tale effetto interruttivo è da ricondursi, in modo necessario e sufficiente, alla manifestazione di volontà (espressa o tacita) che con la domanda giudiziale il titolare del diritto opera al fine di far cessare lo stato di inerzia nel suo esercizio; dunque, l’atto introduttivo del giudizio è dalla legge inteso come manifestazione di esercizio del diritto, “che incide quindi sulla prescrizione del diritto e sulle sue conseguenze necessarie” (Cass. n. 18570 del 2007, cit.). »;
la CTR ha, dunque, correttamente applicato i suindicati principi, avendo ritenuto che l’instaurazione del giudizio civile aveva determinato la sospensione del termine previsto per l’accertamento della pretesa;
con il quarto motivo, deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza per violazione dell’art. 2948 n. 4 cod. civ., per non avere la CTR ritenuto prescritta l’azione di riscossione con riguardo agli interessi, in relazione ai quali è applicabile il termine di prescrizione quinquennale;
il motivo è inammissibile;
-come ha rilevato la Commissione regionale, l’eccezione di prescrizione riguardante la debenza degli interessi era stata proposta per la prima volta in appello;
il motivo sarebbe in ogni caso infondato;
sul punto occorre premettere che “(…) il termine triennale previsto dalla disposizione comunitaria non è applicabile nell’ipotesi in cui si controverta non della mancata corresponsione di dazi
all’importazione, bensì degli interessi dovuti per il ritardo nella loro esazione, i quali integrano un’obbligazione autonoma rispetto al debito principale e suscettibile di autonome vicende, sì che il credito relativo a tali accessori rimane sottoposto al proprio termine di prescrizione quinquennale fissato dall’art. 2948, n. 4, cod. civ.” (Cass. n. 14049 del 16/06/2006);
come ha precisato questa Corte, infatti, ‘ Gli interessi relativi alle obbligazioni tributarie si pongono in rapporto di accessorietà rispetto a queste ultime unicamente nel momento genetico, atteso che, una volta sorta, l’obbligazione di interessi acquista una propria autonomia in virtù della sua progressiva maturazione, uniformandosi, pertanto, quanto alla prescrizione, al termine quinquennale previsto, in via generale, dall’art. 2948, n. 4, c.c., che prescinde sia dalla tipologia degli interessi sia dalla natura dell’obbligazione principale’ (Cass. n. 2095 del 24/01/2023);
la decorrenza del termine di prescrizione relativo agli interessi, tuttavia, coincide con la data in cui il credito principale è divenuto esigibile; nel caso di contabilizzazione a posteriori dell’obbligazione doganale, la data in cui il credito è divenuto esigibile, quale momento di decorrenza, ex art. 86 TULD, degli interessi moratori, coincide con la scadenza del termine di pagamento dell’importo relativo ai maggiori dazi da versare (Cass. n. 19214 del 17.07.2019);
questa Corte ha altresì precisato che, nel caso di recupero a posteriori, la data in cui il credito è divenuto esigibile, qualora la mancata determinazione del dazio sia avvenuta a causa di un atto perseguibile penalmente, coincide con la data di irrevocabilità della decisione penale (Cass. n. 30901 del 2019);
applicando detti principi al caso di specie, la data di decorrenza del termine di prescrizione degli interessi va individuata nella data in cui si è concluso definitivamente il giudizio civile con la pubblicazione
della sentenza della Corte di Cassazione n. 17243 del 2019, perché è da tale data che i dazi erano divenuti esigibili;
-considerato che l’avviso impugnato è stato notificato in data 16.01.2020, anche la pretesa relativa agli interessi non risultava prescritta;
con il quinto motivo, deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la nullità della sentenza per avere disposto la condanna della contribuente alle spese di lite, senza considerare che l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE entrate non era rappresentata da un difensore;
il motivo è infondato;
sul punto occorre evidenziare che l’art. 15, comma 2sexies del d.lgs. n. 546/1992, vigente ratione temporis , dispone che, nel caso in cui l’ente impositore, risultato vittorioso, sia stata assistito da un proprio funzionario, si applicano per la liquidazione il «compenso spettante agli avvocati, con la riduzione del venti per cento dell’importo complessivo, ivi previsto» , prevedendo espressamente, pertanto, la liquidazione dei compensi per l’attività difensiva svolta in giudizio ( ex multis , Cass. n. 23055/2019);
come è stato più volte ribadito da questa Corte, la normativa tributaria si fonda, infatti, su una diversa e più specifica disciplina, in quanto l’art. 15 d.lgs. 546/92, ha, sempre, normativamente previsto la ripetibilità di dette spese, nell’ipotesi in cui l’attività difensiva sia stata svolta da funzionari dell’amministrazione finanziaria o da dipendenti di enti locali, sicchè il contribuente può essere condannato al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali in favore dell’Amministrazione finanziaria, anche se essa si è costituita con un funzionario delegato, senza il ministero del difensore (Cass. n. 4473 del 2021);
in conclusione, il ricorso va rigettato e la ricorrente va condannata al pagamento, in favore della controricorrente, RAGIONE_SOCIALE spese di lite del presente giudizio, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la RAGIONE_SOCIALE al pagamento, in favore dell’RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi € 18.000,00, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 12 giugno 2024