Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 13345 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 13345 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 19868/2022 proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME rappresentato e difeso da ll’Avv. NOME COGNOME in forza di procura speciale allegata al ricorso per cassazione .
PEC: EMAIL
– ricorrente –
contro
L’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli , in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici domicili in Roma, INDIRIZZO
PEC:
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della LIGURIA n. 68/03/2022, pubblicata in data 26/01/2022; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23 aprile 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE
La Commissione tributaria regionale ha accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto il ricorso avente ad oggetto un invito al pagamento (euro 30.854,57), emesso nei confronti di COGNOME NOMECOGNOME nella qualità di coobbligato in solido con la società RAGIONE_SOCIALE quale reale importatrice di una partita di sedili per autobus da parte della società RAGIONE_SOCIALE con sede nel Regno Unito, attraverso la dogana della Spezia, effettuata nel 2010, con un valore della merce dichiarato inferiore al valore reale.
I giudici di secondo grado, in particolare, hanno ritenuto che:
-) l’indicazione del nominativo di COGNOME NOME sulla relata di notifica dell’atto gravato era frutto di mero errore materiale che poteva essere agevolmente percepito dall’effettivo destinatario COGNOME NOME posto che l’atto medesimo era correttamente intestato a quest’ultimo ;
-) in ogni caso, in virtù del principio del raggiungimento dello scopo, la tempestiva presentazione del ricorso tributario da parte del reale destinatario dell’atto comporta va la sanatoria di qualsivoglia vizio della notifica;
-) era infondata la doglianza relativa all’insussistenza di elementi atti a configurare la legittimazione passiva tributaria di COGNOME NOME, siccome mai fatto destinatario di notizie di reato «né ritenuto amministratore della società RAGIONE_SOCIALE in quanto nel giudizio penale si era acclarato il suo ruolo di amministratore di fatto nella RAGIONE_SOCIALE (sentenza del tribunale della Spezia n. 136 del 2017);
-) inoltre, non si poteva opporre il principio di inutilizzabilità delle dichiarazioni autoindizianti, poiché la testimonianza che aveva consentito al giudice penale di individuare l’amministratore di fatto della società non era stata resa dal destinatario del contestato atto impositivo, ma da un terzo, ovvero dal figlio NOME;
-) era priva di pregio l ‘eccezione inerente all’intervenuta prescrizione del credito tributario poiché non teneva conto dell’effetto interruttivo determinato dalla notizia di reato non rilevando l’alterità dei soggetti fatti destinatari della notitia criminis e dell’invito al pagamento, in quanto era sufficiente l’astratta ipotizzabilità di una fattispecie penale da cui discendeva l’obbligo di pagamento dei dazi per determinare l’effetto interruttivo del termine prescrizionale;
-) andava disattesa anche la doglianza concernente la pretesa duplicazione impositiva, poiché l’odierno appellato non poteva ritenersi legittimato a sollevare la questione inerente alla mancata rimozione o modifica in autotutela degli originari atti impositivi di cui non risultava destinatario;
-) era infondata la censura relativa alla violazione del principio del contraddittorio, atteso che il contribuente non aveva presentato memorie e documenti nel termine che gli era stato assegnato con il processo verbale di revisione; pertanto, lo stesso contribuente non aveva titolo per dolersi di alcuna compromissione delle sue prerogative partecipative;
COGNOME NOME ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato a tre motivi, cui resiste con controricorso l ‘Agenzia delle Dogane e dei Monopoli.
CONSIDERATO CHE
Il primo motivo deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 221 Codice doganale comunitario (istituito con regolamento Cee n.
2913/92 del Consiglio del 12 ottobre 1992) e dell’art. 84 TULD (d.P.R. n. 43 del 973). Era pacifico che l’obbligazione tributaria era sorta con la presentazione delle dichiarazioni doganali di importazione del 18 gennaio 2010, del 7 luglio 2010, del 18 marzo 2010 e del 16 aprile 2010 e che il termine di tre anni di cui all’art. 221 CDC decorreva dal 2013 e, tuttavia, la CTR aveva erroneamente ritenuto che configurasse un atto interruttivo la notizia di reato presentata in data 5 luglio 2011 (quindi prima dello spirare del termine di tre anni dal momento in cui era sorta l’obbligazione doganale) dall’Ufficio delle dogane della Spezia nei confronti della sig.ra NOME COGNOME La predetta notizia criminis era assolutamente inidonea a prorogare il termine di prescrizione, occorrendo che il mancato pagamento avesse causa da un reato che avesse impedito all’amministrazione delle Dogane di accertare l’importo esatto dei dazi .
1.1 Il motivo è infondato.
1.2 In tema di dazi doganali, secondo giurisprudenza consolidata di questa Corte, l’azione di recupero a posteriori dei dazi all’importazione o all’esportazione può essere avviata dopo la scadenza del termine di tre anni dalla data di genesi dell’obbligazione tributaria quando la sua mancata determinazione sia avvenuta a causa di un fatto-reato (a prescindere dall’esito, di condanna o assolutorio, del relativo giudizio), come previsto dall’art. 221 par. 4 del CDC, purché la notitia criminis , costituente il primo atto esterno prefigurante il nodo di commistione tra fatto reato e presupposto di imposta, destinato ad essere sciolto all’esito del giudizio penale, sia trasmessa nel corso del termine di prescrizione e non dopo la sua scadenza (Cass., 21 febbraio 2020, n. 4639; Cass., 3 dicembre 2015, n. 24674; Cass., 3 agosto 2012, n. 14016). Soltanto in questo caso il termine di prescrizione comincerà a decorrere dalla data in cui il decreto o la sentenza pronunziati in sede penale sono divenuti irrevocabili (Cass., 4 ottobre 2006, n. 21377).
1.3 Questa soluzione non è in contrasto con il diritto unionale, che non disciplina la materia delle cause di interruzione o sospensione del termine di prescrizione qui esaminato (cfr. Cass., 20 novembre 2013, n. 26018 e Corte di Giustizia UE, 17 giugno 2010, C-75/09, Agra), ed è confermata dalla Corte costituzionale (Corte Cost., sentenza 25 luglio 2011, n. 247), secondo cui la necessità che la notitia criminis intervenga nel triennio vale a rendere il precetto nazionale compatibile con il quadro dei principi costituzionali della certezza dei rapporti giuridici e della ragionevolezza, correlati alla necessità di impedire l’indeterminabile ed indefinita possibilità che l’amministrazione possa realizzare la pretesa impositiva ritardando a sua discrezione il momento dal quale fare decorrere la sospensione del termine di prescrizione in presenza di condotte penalmente perseguibili.
1.4 La CTR, conformemente ai principi suesposti, ha affermato che la notizia di reato era stata presentata in data 5 luglio 2011 e, dunque, prima dello spirare del termine di tre anni dal momento in cui era sorta l’obbligazione doganale (2010) e dall’altro che non rilevava l’alterità dei soggetti destinatari della notitia criminis e dell’invito al pagamento per la determinazione dell’effetto interruttivo della prescrizione, in quanto era sufficiente te l’astratta ipotizza bilità di una fattispecie penale da cui discendeva l’obbligo di pagamento dei dazi .
1.5 Ciò anche in conformità alla giurisprudenza di questa Corte secondo cui « In tema di tributi doganali, il decorso del termine triennale di prescrizione dell’azione di recupero dei dazi all’importazione, il cui mancato pagamento totale o parziale abbia causa da un reato, è prorogato sino ai tre anni successivi alla data d’irrevocabilità della decisione penale (a prescindere dall’esito di condanna o assoluzione), in base all’art. 84, comma 3, del d.P.R. n. 43 del 1973, come modificato dall’art. 29, comma 1, della legge n. 428 del 1990, a condizione che, nel triennio decorrente dall’insorgenza
dell’obbligazione doganale, l’Amministrazione emetta un atto nel quale venga formulata una “notitia criminis” tale da individuare un fatto illecito, penalmente rilevante, ed idoneo ad incidere sul presupposto d’imposta » (Cass., 3 dicembre 2015, n. 24674). Inoltre, «I n tema di tributi doganali, il termine triennale di prescrizione dell’azione di recupero “a posteriori” dei dazi all’importazione, nel caso in cui la mancata determinazione del dazio sia stata causata da un atto perseguibile penalmente, inizia a decorrere dalla data in cui il provvedimento che ha concluso il procedimento penale sia divenuto irrevocabile o definitivo, anche se ad esso non abbiano partecipato tutti i debitori delle imposte conseguenti alle operazioni commerciali, purché, però, la notizia di reato intervenga entro il medesimo termine triennale dal verificarsi dei fatti» (Cass., 23 aprile 2010, n. 9773).
2. Il secondo motivo deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 63 e 64 c.p.p. La CTR aveva ritenuto che le circostanze emerse nel giudizio penale nei confronti della signora NOME COGNOME e, in particolare, la sentenza del Tribunale della Spezia n. 136 del 2017, che aveva assolto NOME COGNOME, consentivano di acclarare il ruolo di amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE svolto dal signor COGNOME NOME. In particolare, rilevava la deposizione del teste COGNOME NOME (figlio di COGNOME NOMECOGNOME che, per salvare la moglie, sentito in qualità di testimone inizialmente aveva affermato che il vero proprietario della società non era la Sig.ra NOME COGNOME ma che in realtà fosse lui. Si trattava di dichiarazioni, che per quanto poi disconosciute da COGNOME NOME, non potevano essere considerate quali valida prova per attribuire allo stesso alcunché, in quanto inutilizzabili. Ed invero, dal momento in cui COGNOME NOME aveva dichiarato che l’amministratore di fatto era lui la deposizione testimoniale avrebbe dovuto essere interrotta perché a quel punto diveniva lui stesso imputato; ciò però non era avvenuto; lo stesso, che a quel punto avrebbe dovuto essere
sentito come imputato, aveva dichiarato che la gestione societaria era riferibile, oltre che a lui, anche al di lui padre COGNOME NOME, ma tale ultima dichiarazione era inutilizzabile sia ai sensi del comma 2 dell’art. 63 c.p.p., sia e comunque ai sensi del secondo capoverso del comma 3 bis dell’art. 64 c.p.p.. Conseguentemente la sentenza impugnata andava cassata nel punto in cui aveva ritenuto che era stata accertata la qualità di amministratore di fatto, e dunque la legittimazione passiva, di COGNOME NOME perché basata su una prova assolutamente inutilizzabile.
2.1 Il motivo è, innanzi tutto, inammissibile, in quanto si tratta di doglianza diretta, con evidenza, a censurare una erronea ricognizione della fattispecie concreta, di necessità mediata dalla contestata valutazione delle risultanze probatorie di causa (le dichiarazioni rese in sede penale da COGNOME Matteo), dovendosi richiamare il principio statuito da questa Corte secondo cui è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass., 7 dicembre 2017, n. 29404; Cass., 4 agosto 2017, n. 19547; Cass., 4 aprile 2017, n. 8758).
2.2 Il motivo è, comunque, pure infondato, dovendosi richiamare la giurisprudenza di questa Corte secondo cui l’efficacia probatoria delle dichiarazioni rese da terzi non possono ritenersi tamquam non esset e inutilizzabili in sede tributaria, rilevando quali fonti di conoscenza in termini di fatti o indizi che spetta al giudice di merito valutare insieme agli altri elementi presuntivi, al fine di completare il quadro probatorio a sostegno della pretesa tributaria (Cass., 28 ottobre 2022, n. 32024). Se tali dic hiarazioni sono utilizzabili dall’Ufficio ai fini della prova dei fatti costitutivi della pretesa tributaria, ugualmente le stesse sono utilizzabili dal contribuente per assolvere il proprio onere della prova contraria in assoluto rispetto dell’art. 6 CEDU e del principio di parità
delle armi di cui all’art. 47 CDFUE (Cass, 22 marzo 2023, n. 8221) (Cass., 21 maggio 2024, n. 14102). Inoltre, nel processo tributario, le dichiarazioni rese da un terzo, inserite, anche per riassunto, nel processo verbale di constatazione e recepite nell’avviso di accertamento, hanno valore indiziario e possono assurgere a fonte di prova presuntiva, concorrendo a formare il convincimento del giudice anche se non rese in contraddittorio con il contribuente e senza necessità di ulteriori indagini da parte dell’Ufficio (Cass., 7 ottobre 2022, n. 29241).
2.3 Va anche precisato che « Le dichiarazioni, a sé sfavorevoli, rese dalla persona offesa alla P.G. ed al P.M. nella fase delle indagini preliminari possono essere ricondotte nel novero della confessione stragiudiziale ed utilizzate ai fini della decisione in sede civile, poiché l’assenza, nell’ordinamento processuale vigente, di una norma di chiusura sulla tassatività dei mezzi di prova consente al giudice di porre, alla base del proprio convincimento, anche prove cd. atipiche, quali, per l’appunto, le risultanze derivanti dagli atti delle indagini preliminari » (Cass., 12 febbraio 2021, n, 3689) e che « Le dichiarazioni rese da persona raggiunta da indizi di colpevolezza nel corso dell’assunzione di sommarie informazioni testimoniali e non ancora posta in condizione di esercitare i diritti della difesa non possono essere utilizzate a suo carico, ma soltanto nei confronti dei terzi » (Cass., 25 giugno 2019, n. 16916).
2.4 Dunque, senza prescindere dall’ulteriore circostanza, pure affermata dalla CTR, che le dichiarazioni autoindizianti ex artt. 63 e 64 c.p.p. non erano stato rese dal destinatario dell’atto impositivo (COGNOME NOME), ma dal figlio (COGNOME NOME), che non è stata oggetto di specifica censura da parte del ricorrente, i giudici di secondo grado correttamente hanno ritenuto utilizzabili le dichiarazioni rese da COGNOME Matteo, sulla base delle quali, peraltro, il Tribunale della Spezia aveva
assolto l’imputata (COGNOME, ritenendo acclarato il ruolo di amministratore di fatto della società RAGIONE_SOCIALE svolto da COGNOME NOME (cfr. pag. 4 della sentenza impugnata).
3. Il terzo motivo deduce la violazione del principio del giudicato e del divieto di doppia imposizione di cui all’art. 67 del d.P.R. n. 600 del 1973. Come giustamente affermato dalla Commissione Tributaria provinciale della Spezia con la sentenza di primo grado, l’Ufficio delle Dogane aveva aperto una questione resasi definitiva per mancata opposizione alla sentenza della CTP della Spezia emessa nei confronti degli stessi avvisi di rettifica dalla Dogana per importi inferiori a quelli indicati nell’invito al pagamento impugnato Con la sentenza n. 150 del 16 giugno 2011, passata in giudicato, la CTP della Spezia aveva respinto il ricorso proposto avverso gli avvisi di rettifica dell’accertamento prot. n n. 32442, NUMERO_CARTA, NUMERO_CARTA, NUMERO_CARTA e 32447, emessi dall’Ufficio della Spezia dell’Agenzia delle Dogane nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, della RAGIONE_SOCIALE e della sig.ra NOME COGNOME in proprio e quale legale rappresentante e titolare della RAGIONE_SOCIALE Nella fattispecie l’avviso impugnato dal COGNOME NOME riguardava la tassazione del medesimo presupposto e cioè delle stesse merci importate nel 2010. Conseguentemente la sentenza impugnata andava cassata nel punto in cui non aveva ritenuto che sulla questione dell’imponibile e dei dazi da pagare sulla merce importata nel 2010 era sceso il giudicato e che, per il principio del ne bis in idem e del divieto di doppia imposizione di cui all’art. 67 del d.P.R. n. 600 del 1973, non era possibile emettere nuovi dazi.
3.1 Il motivo è infondato.
3.2 Ed invero come risulta da lla sentenza impugnata (pag. 3), l’Ufficio delle Dogane, non essendo intervenuto alcun pagamento da parte degli originari obbligati, aveva redatto un processo verbale di revisione a posteriori a carico dei signori NOME COGNOME e NOME COGNOME nella qualità
di coobbligati in solido con la RAGIONE_SOCIALE ed emetteva successivamente un invito al pagamento nei confronti del signor NOME COGNOME per il recupero dei maggiori diritti di confine non corrisposti (euro 30.854,57). Si legge poi, a pag. 5 della sentenza impugnata che « Va disattesa anche la doglianza concernente la pretesa duplicazione impositiva, poiché l’odierno appellato non può ritenersi legittimato a sollevare la questione inerente alla mancata rimozione o modifica in autotutela degli originari atti impositivi di cui non risultava destinatario ». Ancora, a pag. 3 del ricorso per cassazione, rileva che « La notifica del provvedimento nei suoi confronti deriverebbe dal suo coinvolgimento nell’attività contestata di importatore effettivo emersa a seguito delle indagini della Procura della Repubblica di Perugia e del processo verbale prot. N. 22543 RU del 17/06/2017 elevato nei confronti del sig. NOME COGNOME.
3.3 Ciò posto, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’operatività del divieto di doppia imposizione, previsto dall’art. 67 del d.P.R. n. 600 del 1973, postula la reiterata applicazione della medesima imposta in dipendenza dello stesso presupposto (Cass., 23 settembre 2020, n. 19931) e tale condizione non si verifica in caso di duplicità meramente economica di prelievo sullo stesso reddito (Cass., 25 maggio 2016, n. 10793; Cass. 29 maggio 2018, n. 13503; Cass. 27 settembre 2011, n. 19687), come quella che si realizza, nel caso di specie, in cui al ricorrente è stato notificato un invito al pagamento nella qualità di coobbligato della società RAGIONE_SOCIALE con la conseguente che l’obbligazione tributari a che è scaturita dall’accertamento è unica . Non è, dunque, condivisibile la prospettazione del ricorrente laddove afferma la sussistenza di una duplicazione in ragione del riconoscimento del ricorrente quale presunto importatore ed unico soggetto obbligato, circostanza che renderebbe invalidi i precedenti avvisi di accertamento che definivano
la RAGIONE_SOCIALE quale importatrice dei medesimi beni; ed invero, non sussiste alcuna duplicazione di accertamento sia nei confronti del ricorrente, che nei confronti ella società RAGIONE_SOCIALE, ma soltanto un invito al pagamento di un debito divenuto definitivo e che il ricorrente è tenuto a pagare quale responsabile solidale con la società RAGIONE_SOCIALE Peraltro, anche con riguardo alla prospettazione che fondava gli iniziali avvisi di rettifica emessi nei confronti della RAGIONE_SOCIALE quale soggetto importatore e della società RAGIONE_SOCIALE quale rappresentante fiscale, impugnati dinanzi alla CTP di La Spezia (giudizio conclusosi con la sentenza n. 150 del 7 maggio 2012, passata in giudicato) sovviene la giurisprudenza di questa Corte secondo cui « In tema di diritti di confine e in caso di dichiarazione della merce regolarmente presentata presso gli uffici doganali ai sensi dell’art. 201 CDC, lo spedizioniere che opera come rappresentante diretto dell’importatore, non è obbligato, in solido con quest’ultimo, al pagamento dei dazi doganali dovuti a seguito della rettifica dell’accertamento, laddove si sia limitato a depositare la dichiarazione predisposta dall’importatore, allegando i documenti da quest’ultimo consegnatigli. Si configura, tuttavia, la responsabilità solidale anche del rappresentante diretto, per violazione degli obblighi professionali su di lui gravanti, qualora l’Amministrazione doganale dimostri che egli stesso abbia fornito dati dei quali conosceva o avrebbe dovuto conoscere l’irregolarità, l’incompletezza e la non veridicità ovvero abbia allegato documenti dei quali conosceva o avrebbe dovuto conoscere l’inidoneità o l’invalidità, dati e documenti necessari alla redazione della dichiarazione poi rettificata (Cass., 16 marzo 2020, n. 7258; Cass., 18 luglio 2023, n. 21053).
Per le ragioni di cui sopra, il ricorso va rigettato e il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali, sostenute dalla Agenzia controricorrente, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della Agenzia controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.300,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis , dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, in data 23 aprile 2025.