Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 112 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 112 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 04/01/2025
Din. Rim. IRES 1985 -1985 -88 – 89 -90 -91 -92 -93 –
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ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24999/2015 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , con sede in Roma, INDIRIZZO C/D, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato.
-ricorrente –
Contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , con sede in Milano, INDIRIZZO rappresentata e difesa dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME, elettivamente domiciliata presso lo studio di questi ultimi in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente –
Avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. LAZIO n. 5038/06/2014, depositata in data 31 luglio 2014.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12 dicembre 2024 dal Consigliere dott.ssa NOME COGNOME
Rilevato che:
La società RAGIONE_SOCIALE , incorporata dall’odierna ricorrente RAGIONE_SOCIALE, in data 8 novembre 2007, presentava istanza di rimborso all’Agenzia delle Entrate (Roma I, Roma II, Roma IV e Roma VI), per ottenere il rimborso dell’importo complessivo di € 509.934,49, dovuto ad operazioni straordinarie societarie per le quali la società vantava crediti erariali e per cui erano stati tempestivamente interrotti i termini di prescrizione; la società contribuente, difatti, agiva a sua volta in qualità di incorporante della società RAGIONE_SOCIALE che aveva incorporato la RAGIONE_SOCIALE L’Amministrazione non forniva alcuna risposta, cosicché si formava un silenzio-rifiuto.
Avverso tale silenzio-rifiuto, la contribuente proponeva ricorso dinanzi la C.t.p. di Roma e l’Agenzia delle Entrate resisteva con controdeduzioni.
La C.t.p. di Roma, con sentenza n. 430/07/2011, rigettava il ricorso della contribuente, sul presupposto della genericità della documentazione prodotta, inidonea all’individuazione del credito sottostante.
Contro tale sentenza proponeva appello la società RAGIONE_SOCIALE dinanzi la RAGIONE_SOCIALE Lazio e l’Ufficio si costituiva con controdeduzioni. 5. Con sentenza n. 5038/06/2014, depositata in data 31 luglio 2014,
la C.t.r. adita accoglieva il gravame, riformando le statuizioni del giudice di prime cure.
Avverso la sentenza della C.t.r. del Lazio, l’Ufficio ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi e la società contribuente ha resistito con controricorso.
Con ordinanza interlocutoria n. 23302/2023, questa Corte rilevava che, in relazione al primo motivo di ricorso, a mezzo del quale si denunciava l’error in iudicando dei giudici di seconde cure per aver escluso la intervenuta prescrizione del credito inserito in dichiarazione, la Corte si era pronunciata con l’ordinanza n. 8475 del 2023, che, dopo aver richiamato l’orientamento delle SS.UU. n. 2728 del 2007 e la pronuncia della Corte costituzionale n. 112 del 2013 in
materia, aveva deciso nei seguenti termini «Ritiene il Collegio che, alla luce delle argomentazioni poste a base dell’ordinanza n. 112/2013 della Corte costituzionale, successiva alla sentenza della Sezioni Unite, alla quale si ricollega l’orientamento giu risprudenziale di legittimità sopra richiamato, sia opportuno, per la rilevanza della questione, idonea a riproporsi in futuri giudizi, un nuovo intervento nomofilattico chiarificatore sulla specifica questione della valenza precettiva o meno dell’art. 2, comma 58, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, onde va disposta la trasmissione degli atti alla Prima Presidente della Corte di cassazione per l’eventuale rimessione alle Sezioni Unite, ai sensi dell’art. 374, terzo comma, cod. proc. civ.». Pertanto, ritenendo di aderire alla prospettazione contenuta nell’ordinanza n. 8475 del 2023, secondo cui occorreva un intervento in chiave nomofilattica delle Sezioni Unite di questa Corte, il Collegio rinviava la causa a nuovo ruolo, nell’attesa della de cisione in merito alla controversia avente R.G.N. 17935 del 2016.
La causa è stata trattata nella camera di consiglio del 12 dicembre 2024.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione e falsa applicazione degli artt. 2934 e 2697 cod. civ., art. 2, comma 58, L. 24 dicembre 2003, n. 350 (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.)» la ricorrente lamenta l’error in ludicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha escluso l’intervenuta prescrizione del credito vantato nell’istanza di rimborso, sul presupposto che l’esposizione in dichiarazione di un credito d’imposta esoneri il contribuente da altri adempime nti verso l’Erario. 1.2. Con il secondo motivo di ricorso, così rubricato: «Omesso esame di fatto contestato e decisivo (art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.)» la ricorrente lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha ritenuto fondata la pretesa di rimborso di cui all’istanza
presentata dalla società RAGIONE_SOCIALE senza tuttavia aver condotto un accertamento in fatto, essendosi la Commissione esclusivamente fatta carico di ricostruire le vicende di incorporazione intercorse tra le società indicate dalla stessa contribuente, senza chiarire il fondamento attuale della pretesa.
1.3. Con il terzo motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione e falsa applicazione degli artt. 38 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, 2697 cod. civ., 81 e 115 cod. proc. civ. (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.)» la ricorrente lamenta l’error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha affermato la spettanza di rimborsi rispetto al cui oggetto la contribuente non ha assolto all’onere della prova su di essa gravante in ossequio a principi pacifici in giurisprudenza.
Con il primo motivo di ricorso, l’Ufficio censura la decisione della C.t.r. nella parte in cui non ha rilevato l’intervenuta prescrizione del credito, sul presupposto che l’esposizione in dichiarazione di un credito d’imposta esoneri il contribuente da altri adempimenti verso l’Erario.
2.1. E’ noto che la pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte n. 12284 del 7 maggio 2024 ha chiarito, superando l’orientamento ‘tralaticio’ formatosi in materia, che: «Quale primo elemento di revisione dell’orientamento in tal modo instauratosi, soccor re quanto da queste Sezioni Unite (sent. n. 23051/22) recentemente rimarcato in ordine al fatto che l’interpretazione delle norme tributarie non si sottrae al primato del criterio letterale che, per il suo carattere di oggettività e per il suo naturale obiettivo di ricerca del senso normativo maggiormente riconoscibile e palese, rappresenta il criterio-cardine nella interpretazione della legge e concorre alla definizione in termini di certezza, determinatezza e tassatività della fattispecie impositiva, fattispecie che l’art. 2 della l. n. 212 del 2000 vuole dichiaratamente sorretta da disposizioni chiare e trasparenti. Nel caso in esame, l’espressione utilizzata dal legislatore del 2003:
· muove da un verbo declinato al modo indicativo e tempo presente (‘provvede’), dunque nel senso della puntualità, attualità ed immanenza, non della mera possibilità, del compiersi dell’azione; · circostanzia quest’ultima sia per un fare (erogazione delle eccedenze Irpef ed Irpeg sulle dichiarazioni presentate fino al 30 giugno 1997), sia per un nonfare ad esso funzionalmente correlato (‘senza far valere’ la eventuale prescrizione); · richiama nell’incipit (‘nel quadro delle iniziative volte a definire le pendenze con i contribuenti e di rimborso delle imposte’) la nozione di ‘pendenza’ di un rapporto di debito-credito, alla quale va attribuito il significato tecnico-giuridico evincibile dalla più volte citata sentenza delle Sezioni Unite del 2007, nel senso cioè che la sola esposizione in dichiarazione del credito (vertendosi appunto qui di un credito non da indebito, ma da dichiarazione) è condizione necessaria e sufficiente a stabilire la ‘pendenza’ dell’istanza di rimborso. Un secondo convergente elemento è dato dalla finalità pratica della disposizione, dichiaratamente mirata a ‘chiudere’ le pratiche di rimborso Irpef -Irpeg emergenti dalle dichiarazioni fino al giugno 1997, in correlazione sia con la procedura di condono ‘tombale’ in essere in forza della legge 289/2002 (in modo tale da quantomeno attutire la discriminazione intercorrente tra i contribuenti a debito, ammessi al beneficio condonistico, e quelli a credito, ammessi al rimborso sulle imposte reddituali pur dopo l’eventuale prescrizione), sia con il fatto che proprio a decorrere dal 1997 diveniva operativo il nuovo regime dei rimborsi mediante compensazione diretta entro la data di presentazione della dichiarazione successiva, ex art. 17 d.lgs. 241 del 9.7.1997. Dunque non solo la lettera, ma neppure la ratio legis consente di individuare in capo all’Amministrazione Finanziaria un potere discrezionale di non-eccezione della prescrizione, tanto più che: · la norma manca della predeterminazione di qualsivoglia presupposto, criterio o indice ai qua li l’opzione del Fisco – di fare o non far valere la prescrizione – dovrebbe conformarsi, così da
affidare le sorti del credito al rimborso ad una discrezionalità dell’Amministrazione imprevedibile, diseguale, del tutto priva di argini obiettivi e, per questo solo, a tal punto lata da risultare alla fine irragionevole ed arbitraria; · nell’ottica della semplice opzione, il ricorso in sé alla fonte di legge appare finanche esorbitante, potendo altrimenti essere sufficiente una direttiva comportamentale e di indirizzo portata da circolari, risoluzioni e norme interne; là dove, nell’ottica dell’obbligatori età, il ricorso alla legge era invece necessitato dal fatto che, diversamente da qualsiasi altro debitore che può liberamente rinunciare alla prescrizione ex art. 2937 cod.civ., l’Amministrazione Finanziaria non potrebbe evidentemente esimersi, a tutela delle pubbliche entrate e delle risorse erariali, dall’eccepirla se non, appunto, in tal senso comandata dal legislatore; · evidente è la rilevanza anche costituzionale di tutto questo, entrando in gioco principicardine dell’agire amministrativo e, in particolare, della disciplina tributaria, quanto ad uguaglianza, ragionevolezza, legalità, indisponibilità, imparzialità, buon andamento ed efficienza della PA; aspetti tutti che non riguardano soltanto il momento del prelievo, ma che devono presiedere allo svolgimento del rapporto tributario nella sua interezza, compresa l’attuazione del diritto soggettivo al rimborso dell’eccedenza versata e, con essa, il ripristino nel caso concreto della regola di giusta imposizione».
In questo senso, le Sezioni Unite hanno poi proseguito ricordando che: «la Corte Costituzionale ha quindi escluso il paventato contrasto con gli artt. 3, 97 e 113, secondo comma, Cost., sulla base di un ragionamento così riassumibile: · ‘la norma non ha ca rattere retroattivo, in quanto conforma l’agire processuale dell’amministrazione dalla sua entrata in vigore’, ed è espressione delle scelte discrezionali che competono al legislatore nella disciplina degli istituti processuali, con il solo limite della loro non manifesta irragionevolezza (con richiamo alla sentenza n. 10 del 2013); ·
‘come emerge dal dibattito svoltosi nel corso dell’approvazione della legge finanziaria per il 2004 alla Camera dei Deputati nella seduta del 15 dicembre 2003, con la disposizione impugnata si è inteso dare effettività ai crediti vantati per eccedenza di imposta poiché appariva iniquo che, a fronte del condono fiscale, non si restituissero a molti contribuenti gli importi pagati oltre il dovuto’; si tratta dunque di una non irragionevole scelta legislativa, ‘in quanto costituisce una disciplina eccezionale adottata per riequilibrare situazioni di disparità, in ragione di una complessiva situazione di ritardo nell’effettuare le restituzioni’; · non costituisce fonte di discriminazione costituzionalmente rilevante il fatto che il legislatore abbia delimitato l’ambito di applicazione della norma in base alla tipologia di tributi (Irpef-Irpeg) ed al tempo (dichiarazioni fino al giugno 1997) in quanto ‘non è fonte di illegittimità costituzionale il limite alla estensione di norme che, come quella ora in esame, cos tituiscono deroghe a principi generali’ (con richiamo ad ordinanza n. 49 del 2013, e sentenza n. 131 del 2009), anche considerato che il naturale fluire del tempo costituisce di per sé idoneo elemento di differenziazione di pur identiche situazioni soggettive (con richiamo a sentenza n. 273 del 2011, ordinanze n. 31 del 2011, n. 61 del 2010, n. 170 del 2009 e n. 212 del 2008); · quanto, infine, alla possibilità di frode ai danni dell’Erario (art. 97 Cost.), potendo mancare dati cartacei o su supporto informatico delle dichiarazioni ultradecennali, ‘la censura non può trovare accoglimento, poiché gli inconvenienti di fatto denunciati, non direttamente riconducibili all’applicazione della disposizione censurata, sono irrilevanti ai fini del giudizio di legittimità costituzionale (cfr., ex multis, ordinanza n. 270 del 2012)’. Si evince da queste affermazioni del giudice delle leggi, in definitiva, che la norma supera il vaglio di legittimità costituzionale in quanto la si ritenga espressiva di un trattamento di favore necessariamente ed invariabilmente applicato a tutti i contribuenti che si trovino nelle stesse condizioni da essa dettate
(eccedenza Irpef o Irpeg in dichiarazioni presentate entro il 30 giugno 1997)».
Da ultimo, si è inteso sottolineare che: «Stabilito che l’art. 2 co. 58^ legge 350/2003 integra un obbligo per l’Amministrazione di non eccepire la prescrizione (o, se si preferisce, un divieto di eccepirla), consegue che la violazione di questo obbligo, siccome basato su norma imperativa e rivolta al perseguimento di un interesse pubblico, può (deve) essere rilevata anche d’ufficio dal giudice, al quale essa pure si rivolge. Ciò detto, non può tuttavia al tempo stesso sostenersi che questo obbligo permanga in perpetuo. Per quanto, come osservato dal Procuratore Generale, non si verta propriamente di norma sulla prescrizione, bensì di norma sul regime della sua opponibilità (in sede amministrativa) ovvero eccepibilità (nel processo), l’aspetto procedurale cede all’evidenza il passo all’effetto sostanziale che naturalmente ne consegue, dato appunto dal fatto che il diritto di credito può dal contribuente essere esercitato, senza tema di eccezione estintiva, pur dopo l’inutile decorso del termine di prescrizione decennale. In modo tale che attraverso la preclusione all’eccezione e la rinuncia forzosa ad avvantaggiarsi della causa estintiva, si raggiunge il medesimo risultato pratico della imprescrittibilità del credito. E come ricordato dalla Corte Costituzionale, questo peculiare effetto non ha natura retroattiva, derivando da un contegno processuale di astensione che l’Amministrazione è tenuta ad osservare in epoca successiva all’entrata in vigore della legge, via via che se ne presenti l’occasione.
Resta però che la presenza nell’Ordinamento di posizioni soggettive insensibili al decorso del tempo – pur certamente riscontrabile con riguardo a particolari categorie di diritti soggettivi (come quelli indisponibili) e di azione dichiaratamente imprescrittibili -non è invece ravvisabile in relazione ai diritti di credito pecuniari. Materia, questa, nella quale il mancato esercizio del credito per il tempo
prescritto dalla legge ne determina senz’altro l’estinzione, e ciò anche se si tratti di crediti scaturenti da diritti primari e di rilevanza costituzionale, come quelli al risarcimento di danni alla persona, anche da reato, o alimentari. E’ pur vero che l’art. 2934 cod.civ. (co. 2^) fa salva la possibilità per il legislatore di indicare come non soggetti a prescrizione determinati diritti, e tuttavia non vi sono elementi per ritenere che in tal senso abbia voluto operare la legge del 2003, posto che: · non vi è dubbio che quello al rimborso di tributi versati in eccesso costituisca un tipico diritto disponibile, che il contribuente può discrezionalmente decidere di esporre in dichiarazione e di far poi valere nei confronti del Fisco, oggi anche a mezzo di c ompensazione; · nell’ambito dell’Ordinamento tributario, un credito di rimborso imprescrittibile costituirebbe in effetti un unicum confliggente con una disciplina generale del rapporto tributario tutt’altro che indifferente al decorso del tempo, visto il rigido regime prescrizionale e decadenziale -a carico sia dell’Amministrazione sia del contribuente – che lo scandisce in tutto il suo svolgimento; · a maggior ragione la imprescrittibilità sine die del credito al rimborso urterebbe con una ratio legislativa chiaramente ispirata ad una situazione che, per quanto non propriamente emergenziale, appariva comunque fin dall’inizio del tutto contingente e circoscritta, in cui si imponeva – anche in storica e sistematica connessione con il condono, il nuovo sistema dei rimborsi per compensazione e la soppressione dell’Irpeg nel 2004 -l’interesse (allora) primario di definire le procedure arretrate di rimborso sulle imposte reddituali fino al 1997 (così i menzionati lavori preparatori). Sebbene questo particolare aspetto non sia stato devoluto alla Corte Costituzionale, l’affermazione di una assoluta ed illimitata imprescrittibilità del diritto al rimborso (si è detto come a ciò in pratica porterebbe l’estensione a tempo indeterminato del regime procedurale di inopponibilità) non andrebbe a sua volta indenne da dubbi di legittimità costituzionale ex artt. 3 e 97 Cost.,
sul piano sia della ragionevolezza sia dell’efficienza e del buon andamento dell’Amministrazione, le cui entrate ed esigenze di bilancio troverebbero in questa imprescrittibilità -in eterno – un oggettivo fattore di incertezza. Da qui l’esigenza di appres tare, secondo un discrimine temporale certo, un’interpretazione conforme della disposizione in esame che preveda la caducazione del divieto e la riespansione della regola generale di normale eccepibilità, ex artt. 2934 segg. cod.civ., una volta decorso un decennio dalla sua entrata in vigore, arco temporale corrispondente all’intero decorso di un nuovo termine prescrizionale. Tutti gli elementi interpretativi finora indicati depongono infatti nel senso che il legislatore del 2003 abbia avuto a mente -stante la indicata finalità della disposizione -l’ineccepibilità tanto della prescrizione già maturatasi alla data di entrata in vigore della legge, quanto di quella in questo momento in fase di decorrenza (avendo la legge esteso il regime di favore anche a di chiarazioni, fino al giugno ’97, in ordine alle quali a tale data il termine decennale non poteva essersi ancora compiuto); ma non anche di quella -del tutto avulsa dalla contingenza e dalla eccezionalità di cui si è detto, e quindi oggettivamente eccedente la ratio legis – maturatasi ex novo e per intero dopo questo momento. Va in definitiva affermato che: ‘l’art. 2 co. 58^ legge 350/2003 pone a carico dell’Amministrazione Finanziaria un vero e proprio obbligo di non far valere la prescrizione del diritto del contribuente al rimborso delle eccedenze Irpef ed Irpeg sulle dichiarazioni presentate fino al 30 giugno 1997; questo obbligo, la cui violazione è rilevabile anche d’ufficio dal giudice, viene a cessare dopo un decennio, pari al decorso di un nuovo termine prescrizionale, dall’entrata in vigore (1^ gennaio 2004) della legge stessa’».
2.2. Come emerge dalla richiamata pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte (Cass., S.U., n. 12284/2024, pag. 15 s.), e come dedotto dalla ricorrente, rientrano nel campo di applicazione dell’art.
2, comma 58, L. n. 350/2003, i soli crediti per Irpef ed Irpeg (ora Ires).
Nella fattispecie in esame, nell’elenco dei crediti allegato dalla contribuente al ricorso introduttivo, e riprodotto nel ricorso per Cassazione erariale, figurano tuttavia anche crediti Iva. Anche nella sentenza della C.t.p. (riprodotta nel controricorso) si citano crediti Iva. Inoltre, in tutti gli atti, ed in particolar modo nella sentenza qui impugnata, sembra emergere una certa genericità nell’individuazione della natura dei crediti formatisi.
In questi limitati termini, pertanto, il motivo va accolto, dovendo rimettersi all’accertamento in fatto del giudice del rinvio la verifica di quali dei crediti di cui si controverte rientri, sotto il profilo sia della natura del credito che cronologico, n ell’ambito applicativo della non opponibilità della prescrizione delineato dall’art. 2, comma 58, L. n. 350/2003, interpretato ed applicato in conformità al principio espresso dalla ridetta Cass., S.U., n. 12284/2024.
3. Il secondo e il terzo motivo, da trattarsi congiuntamente in quanto tesi a sollevare la medesima questione, devono ritenersi fondati; con essi, in particolare, parte ricorrente si duole del mancato accertamento in fatto dell’effettività del credito da p arte della C.t.r., la stessa poi non avendo riconosciuto in capo alla società contribuente l’onere della prova ad essa spettante.
3.1. Costituisce principio giurisprudenziale pacifico (Sez. U, Sentenza n. 5069 del 15/03/2016) quello secondo cui in tema di rimborso d’imposte, l’Amministrazione finanziaria può contestare il credito esposto dal contribuente nella dichiarazione dei redditi anche qualora siano scaduti i termini per l’esercizio del suo potere di accertamento, senza che abbia adottato alcun provvedimento, atteso che tali termini decadenziali operano limitatamente al riscontro dei suoi crediti e non dei suoi debiti, in applicazione del principio “quae temporalia ad agendum, perpetua ad excepiendum” (ex plurimis conformi Cass. 17/06/2016, n. 12557; Cass. 01/01/2018, n. 2392;
Cass. 12/10/2018, n. 25464; Cass. 13/03/2019, n. 7132; Cass. 01/08/2024, n. 21656). Ancora (Sez. U 29/07/2021, n. 21766), in tema di rimborso dell’eccedenza detraibile dell’IVA, l’Amministrazione finanziaria può contestare il credito esposto dal contribuente nella dichiarazione, che non derivi dalla sottostima dell’imposta dovuta, anche qualora siano scaduti i termini per l’esercizio del suo potere di accertamento o per la rettifica dell’imponibile e dell’imposta dovuta, senza che abbia adottato alcun provvedimento. Infine, incombe sul contribuente, il quale invochi il riconoscimento di un credito d’imposta, l’onere di provare i fatti costitutivi dell’esistenza del credito, e, a tal fine, non è sufficiente l’esposizione della pretesa nella dichiarazione, poiché il credito fiscale non nasce da questa, ma dal meccanismo fisiologico di applicazione del tributo (Cass. 30/10/2018, n. 27580; Cass. 05/11/2019, n. 28333).
3.2. Nella fattispecie in esame, la C.t.r. ha quindi fatto malgoverno di tali principi, quando si è limitata a ritenere accertati i crediti in questione sulla base della mera circostanza che l’Amministrazione non avesse esercitato nei termini il potere di rettifica e, pertanto, avesse implicitamente riconosciuto di dovere rimborsare le eccedenze esposte nelle dichiarazioni. Va quindi cassata anche in parte qua la sentenza impugnata e la causa va rimessa al giudice a quo, per la verifica dell’assolvimento, d a parte della contribuente, dell’onere di provare l’esistenza dei diritti di credito azionati, sia sul piano oggettivo che su quello soggettivo.
In conclusione, il ricorso va accolto, la sentenza impugnata va cassata ed il giudizio va rinviato innanzi al giudice a quo affinché, in diversa composizione, proceda a nuovo e motivato esame nonché provveda alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata con rinvio del giudizio innanzi alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado
del Lazio affinché, in diversa composizione, proceda a nuovo e motivato esame, nonché provveda alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 12 dicembre 2024.