Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 15568 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 15568 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso 34805-2019 proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dall’Avvocato NOME COGNOME giusta procura speciale allegata al ricorso
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO
-controricorrente – avverso la sentenza n. 2901/2019 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della CAMPANIA, depositata il 3/4/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 28/5/2025 dal Consigliere Relatore Dott.ssa NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Commissione tributaria regionale della Campania, con la sentenza indicata in epigrafe, respinge l’appello proposto da NOME COGNOME avverso la pronuncia n. 451/2016 della Commissione tributaria provinciale di Salerno con cui era stato parzialmente accolto il ricorso avverso comunicazione preventiva di iscrizione ipotecaria e sottese cartelle esattoriali.
Avverso la pronuncia della Commissione tributaria regionale NOME COGNOME propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.
Agenzia delle entrate riscossione resiste con controricorso.
CONSIDERATO CHE
1.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, in rubrica, «in ordine al diniego di giurisdizione ribadito dalla C.T.R. … in tema di contributi al RAGIONE_SOCIALE la violazione dell’art. 2 co.1 D. Lgs 31.12.1992 n. 546, come modificato dall’art.12 co. 2 L. 28/12/2001 n. 448 in relazione all’art. 360 -1° co. n.1 c.p.c.».
1.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, in rubrica, «v iolazione dell’art. 59, comma 1, lett. a) del D.Lgs. 546/1992, per non avere (…la Commissione tributaria regionale…) rimesso il giudizio alla Commissione Tributaria Provinciale (C.T.P.) di Salerno dopo aver riconosciuto la giurisdizione delle Commissioni Tributarie».
1.3. Le doglianze, da esaminare congiuntamente, in quanto strettamente connesse, vanno accolte.
1.4. Come emerge dalla stessa sentenza impugnata, la controversia ha ad oggetto la riscossione di contributi per il Servizio Sanitario Nazionale, la cui natura tributaria è pacificamente riconosciuta sin dalla sentenza n. 2 del 1995 della Corte Costituzionale, che ha in essi ravvisato la ricorrenza dei due elementi essenziali, costituiti, da un lato, dall’imposizione di un sacrificio economico attraverso un atto autoritativo
ablatorio e, dall’altro, dalla destinazione del relativo gettito alla copertura di spese pubbliche (da ultimo cfr. Sez. U, n. 10070 del 14/4/2023).
1.5. In termini più specifici, poi, le Sezioni Unite hanno ricondotto esplicitamente il contributo per il SSN, quale sovraimposta Irpef, alle imposte dirette (cfr. Sez. U, n. 11221/2019; Cass., n. 14997/2018; Sez. U, n. 1987/2012; Sez. U, n. 2871/2009; Sez. U, n. 123/2007; v. anche Sez. U, n. 32121/2022 in motivazione), dunque all’art. 2 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, come modificato dall’art. 12 legge 28 dicembre 2001, n. 448, applicabile ratione temporis , norma che, peraltro, esplicitamente prevede «appartengono alla giurisdizione tributaria tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie…. e il contributo per il Servizio sanitario nazionale».
1.6. Occorre inoltre evidenziare che ai sensi dell’art. 353, primo comma, c.p.c., nella versione applicabile alla fattispecie in esame, anteriore all’abrogazione disposta con il d.lgs. n. 149 del 2022, in quanto trattasi di impugnazione anteriore al 28 febbraio 2023 (art. 35, comma 4, del d.lgs. n. 149 del 2022), «i l giudice d’appello, se riforma la sentenza di primo grado dichiarando che il giudice ordinario ha sulla causa la giurisdizione negata dal primo giudice, pronuncia sentenza con la quale rimanda le parti davanti al primo giudice».
1.7. Ne consegue che la Corte d’appello, riformata la decisione del giudice di primo grado in ordine alla declinatoria della giurisdizione del giudice ordinario, con riferimento alla rideterminazione della retribuzione di posizione cd. variabile aziendale, non può procedere a valutare nel merito la relativa pretesa del contribuente, ma è tenuta a rimettere le parti davanti al primo giudice.
1.8. La sentenza impugnata va dunque cassata sul punto, con conseguente rinvio della causa, per quanto attiene alla predetta voce retributiva, alla Corte di giustizia tributaria di primo grado di Salerno; non incidendo la connessione sul riparto di giurisdizione.
2.1. Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3), c.p.c., violazione dell’art. 2948 n. 4)
c.c. per avere la Commissione tributaria regionale erroneamente ritenuto che il credito per imposta IRAP ed il credito per contributo camerale siano soggetti alla prescrizione decennale in luogo di quella quinquennale.
2.2. La doglianza è fondata nei seguenti limiti.
2.3. Con la sentenza n. 23397 del 2016 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si sono pronunciate sancendo che la mancata o tardiva impugnazione di una cartella esattoriale non determina da sola l’effetto della c.d. conversione del termine di prescrizione breve, eventualmente previsto, in quello lungo decennale, in quanto tale conversione opera solo in presenza di un titolo derivante da sentenza passata in giudicato.
2.4. In altri termini è stato ribadito come l’effetto della c.d. «conversione» del termine di prescrizione breve eventualmente previsto in quello ordinario decennale, ai sensi dell’art. 2953 c.c., trova applicazione solo nelle ipotesi in cui intervenga un titolo giudiziale definitivo; 1.6. tale principio, pertanto, si applica con riguardo a tutti gli atti – comunque denominati – di riscossione mediante ruolo o comunque di riscossione coattiva di crediti degli enti previdenziali ovvero di crediti relativi ad entrate dello Stato, tributarie ed extratributarie, nonché di crediti delle Regioni, delle Province, dei Comuni e degli altri Enti locali e delle sanzioni amministrative per la violazione di norme tributarie o amministrative e così via, con la conseguenza che, qualora per i relativi crediti sia prevista una prescrizione (sostanziale) più breve di quella ordinaria, la sola scadenza del termine concesso al debitore per proporre l’opposizione, non consente di fare applicazione dell’art. 2953 c.c., tranne che in presenza di un titolo giudiziale divenuto definitivo (cfr. in tal senso anche Cass. n. 11800/2018).
2 .5. Va, tuttavia, posto in rilievo che, secondo un’altrettanta consolidata interpretazione di questa Corte (cfr. Cass. nn. 16713/2016, 24322/2014, 22977/2010, 2941/2007), «il credito erariale per la riscossione dell’imposta (a seguito di accertamento divenuto definitivo) è soggetto non già al termine di prescrizione quinquennale previsto all’art. 2948, n. 4, c.c. ‘per tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno
o in termini più brevi’, bensì all’ordinario termine di prescrizione decennale di cui all’art. 2946 cod. civ., in quanto la prestazione tributaria, attesa l’autonomia dei singoli periodi d’imposta e delle relative obbligazioni, non può considerarsi una prestazione periodica, derivando il debito, anno per anno, da una nuova ed autonoma valutazione in ordine alla sussistenza dei presupposti impositivi».
2.6. Da queste pronunce di diritto si ricava la conclusione che i crediti di imposta sono soggetti alla prescrizione ordinaria decennale, ex art. 2946 cod. civ., a meno che la legge disponga diversamente (come, ad esempio, l’art. 3, comma 9, legge n. 335 del 1995, per i contributi previdenziali) e salvo l’ actio judicati .
2.7. La prescrizione del credito, ancorché oggetto di cartella di pagamento notificata, segue dunque la disciplina sostanziale prevista per quel credito, salvo che si sia in presenza di un titolo giudiziale divenuto definitivo (Cass., Sez. U., n. 23397/2016 cit.), disciplina che è in via generale quella della prescrizione ordinaria decennale di cui all’art. 2946 cod. civ. ove la legge non disponga diversamente (cfr. Cass. n. 10547/2019), come per i tributi erariali (Cass. n. 32308/2019), tra cui l’IRAP, a differenza dei canoni acqua (cfr. Cass. n. 3966/2018) e dei tributi locali, come l’ICI (cfr. Cass. n. 26013/2014 e n. 24679/2011) o la tassa sui rifiuti, per i quali vige il termine di prescrizione quinquennale.
2.8. Per quanto concerne inoltre i diritti camerali, come già affermato da questa Corte (cfr. ord. n. 14244/2021), in via preliminare va affermata la natura di tributo del diritto camerale ad opera dell’art. 13 della legge Finanziaria per il 2003 (legge n. 289 del 2002), posto che l’art. 13, comma 3, (Definizione dei tributi locali) stabilisce che «ai fini delle disposizioni del presente articolo, si intendono tributi propri delle regioni, delle province e dei comuni i tributi la cui titolarità giuridica ed il cui gettito siano integralmente attribuiti ai predetti enti, con esclusione delle compartecipazioni ed addizionali a tributi erariali, nonché delle mere attribuzioni ad enti territoriali del gettito, totale o parziale, di tributi erariali».
2.9. Con il successivo art. 5 quater , comma 1, d.l. n. 282 del 2002 (introdotto in sede di conversione dalla legge n. 27 del 2003), l’art. 13, della legge n. 289 del 2002 è stato esteso anche alle Camere di Commercio, con riferimento al diritto annuale, demandando ad un successivo decreto del Ministero delle Attività produttive le modalità di attuazione.
2.10. Così individuata la natura del diritto camerale, esso è disciplinato dall’art. 18 della l. n. 580 del 1993 (Riordinamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura) il quale prevede che esso, finalizzato al finanziamento ordinario delle camere di commercio sia versato con cadenza annuale.
2.11. Il diritto camerale è, dunque assimilabile a quei tributi aventi cadenza periodica, ogni anno o in termini più brevi configurandosi alla stregua di un’obbligazione periodica o di durata, per la quale trova applicazione l’art. 2948 n. 4 c.c., il quale prevede la prescrizione quinquennale.
2.12. Tali tributi non richiedono, quanto alla sussistenza dei relativi presupposti, una valutazione autonoma per ogni anno di imposta, assumendo all’uopo, oltre alla suindicata periodicità, il versamento annuale in un’unica soluzione e il fatto che il presupposto per il sorgere dell’obbligo di pagamento la mera iscrizione dell’impresa nel registro delle imprese.
2.13. Quest’ultima, infatti, non è oggetto di riesame periodico, essendo onere dell’impresa, per non pagare più il diritto camerale, quello di richiedere la cancellazione dall’albo presso la Camera di Commercio ed essendo prevista la cancellazione d’ufficio, ai sensi del d.p.r. n. 247 del 2004, solo in presenza di precisi presupposti e comunque sempre con efficacia decorrente dalla data di avvio del procedimento di cancellazione e tali conclusioni trovano fondamento nell’univoco indirizzo di questa Corte (cfr. Cass. n. 4283 del 2010, n. 26013 del 2014) più recentemente ribadito dalle Sezioni unite (Cass. n. 23397 del 2016) le quali hanno affermato che «il principio, di carattere generale, secondo cui la scadenza
del termine perentorio sancito per opporsi o impugnare un atto di riscossione mediante ruolo, o comunque di riscossione coattiva, produce soltanto l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito, ma non anche la cd. “conversione” del termine di prescrizione breve eventualmente previsto in quello ordinario decennale, ai sensi dell’art. 2953 c.c., si applica con riguardo a tutti gli atti -in ogni modo denominatidi riscossione mediante ruolo o comunque di riscossione coattiva di crediti degli enti previdenziali, ovvero di crediti relativi ad entrate dello Stato, tributarie ed extratributarie, nonché di crediti delle Regioni, delle Province, dei Comuni e degli altri Enti locali, nonché delle sanzioni amministrative per la violazione di norme tributarie o amministrative e così via».
2.14. L’applicabilità del termine di prescrizione quinquennale al credito derivante dal diritto camerale si fonda, infine, sulla previsione del corrispondente termine fissato, in via generale, per l’irrogazione delle sanzioni dall’art. 20, comma 3, del d.lgs. n. 472 del 1997 e, con specifico riferimento a quelle dovute per omesso versamento dei diritti camerali, dall’art. 10 del d.m. n. 54 del 2005, secondo cui «l’atto di irrogazione delle sanzioni deve essere notificato a pena di decadenza entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è avvenuta la violazione. 2. Il diritto alla riscossione della sanzione si prescrive nel termine di cinque anni a decorrere dalla data della notificazione dell’atto d’irrogazione. L’impugnazione del provvedimento di irrogazione interrompe la prescrizione».
2.15. Questa Corte, con l’ordinanza n. 1997 del 2018, riprendendo il principio di cui alla sentenza delle Sezioni Unite n. 23397 del 2016, ha, poi, precisato che la prescrizione quinquennale trova piena operatività con riguardo a tutti gli atti, in qualsiasi modo denominati, di riscossione mediante ruolo o comunque di riscossione coattiva, inclusi dunque anche i crediti relativi ad entrate tributarie dello Stato nonché le sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie.
2.16. La ratio di questa interpretazione si fonda sul principio, anche esso ribadito in precedenti interventi di questa Corte (in ultimo Cass. n. 20955/2020), secondo cui il termine entro il quale deve essere fatta valere l’obbligazione principale tributaria e quello relativo a quella accessoria, ovvero la sanzione nel caso di specie, deve essere unitario, in quanto sarebbe incongruo, nell’ambito della stessa materia dei diritti camerali, prevedere termini quinquennali per le sanzioni e termini decennali per i diritti camerali dalla cui violazione conseguono le sanzioni.
2.17. La sentenza impugnata, laddove ha ritenuto che anche il credito scaturente da mancato pagamento di diritti camerali sarebbe sottoposto alla prescrizione decennale, oltre quello relativo a debiti erariali (IRAP), non si è dunque attenuta ai suddetti principi.
3.1. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3), c.p.c., violazione del combinato disposto degli art. 167 e 170 c.c. in ordine alla ritenuta inopponibilità dell’iscrizione al fondo patrimoniale dei beni ipotecati.
3.2. Il ricorrente, infatti, sostiene che i beni ipotecati, facenti parte del fondo patrimoniale, non potevano essere oggetto di esecuzione forzata per debiti estranei ai bisogni familiari.
3.3. La Commissione tributaria regionale ha respinto l’appello sul punto affermando che «… la parte non …(aveva)… offerto alcun elemento di prova in ordine alla prospettata estraneità dei crediti tributari rispetto ai bisogni della famiglia …».
3.4. Va, preliminarmente, evidenziato che in tema di riscossione coattiva, l’iscrizione ipotecaria di cui all’art. 77 del d.P.R. n. 602 del 1973 è ammissibile anche sui beni facenti parte di un fondo patrimoniale alle condizioni indicate dall’art. 170 c.c., sicché è legittima solo se l’obbligazione tributaria sia strumentale ai bisogni della famiglia o se il titolare del credito non ne conosceva l’estraneità a tali bisogni, gravando in capo al debitore opponente l’onere della prova non solo della regolare costituzione del fondo patrimoniale, e della sua opponibilità al creditore procedente, ma anche della circostanza che il debito sia stato contratto
per scopi estranei alle necessità familiari, avuto riguardo al fatto generatore dell’obbligazione e a prescindere dalla natura della stessa (cfr. Cass. n. 20998/2018, nello stesso senso Cass. n. 26496/2024).
3.5. Per altro verso, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che «in tema di fondo patrimoniale, il criterio identificativo dei debiti per i quali può avere luogo l’esecuzione sui beni del fondo va ricercato non già nella natura dell’obbligazione ma nella relazione tra il fatto generatore di essa e i bisogni della famiglia, sicché anche un debito di natura tributaria sorto per l’esercizio dell’attività imprenditoriale può ritenersi contratto per soddisfare tale finalità, fermo restando che essa non può dirsi sussistente per il solo fatto che il debito derivi dall’attività professionale o d’impresa del coniuge, dovendosi accertare che l’obbligazione sia sorta per il soddisfacimento dei bisogni familiari (nel cui ambito vanno incluse le esigenze volte al pieno mantenimento ed all’univoco sviluppo della famiglia) ovvero per il potenziamento della di lui capacità lavorativa, e non per esigenze di natura voluttuaria o caratterizzate da interessi meramente speculativi (cfr. Cass. nn. 1318/2022, 20998/2018, 3738/2015).
3.6. Ai suddetti principi la Commissione tributaria regionale ha dato dunque attuazione gravando, come si è detto, in capo al debitore opponente l’onere della prova non solo della regolare costituzione del fondo patrimoniale, e della sua opponibilità al creditore procedente, ma anche della circostanza che il debito sia stato contratto per scopi estranei alle necessità familiari, avuto riguardo al fatto generatore dell’obbligazione e a prescindere dalla natura della stessa (cfr. Cass. n. 20998 del 2018).
3.7. Nel caso in esame, il ricorrente, però, non risulta aver assolto al proprio onere probatorio, non avendo peraltro neanche indicato quali sarebbero stati i fatti generatori delle obbligazioni tributarie, non riconducibili ai bisogni della famiglia, nella specie rilevanti.
Sulla scorta di quanto sin qui illustrato il ricorso va accolto quanto al primo, secondo e terzo motivo, nei limiti dianzi illustrati, respinto il
quarto motivo, con conseguente cassazione dell’impugnata sentenza e rinvio per esame delle domande aventi ad oggetto i contributi per il Servizio Sanitario Nazionale alla Corte di giustizia tributaria di primo grado di Salerno, e per nuovo esame delle rimanenti domande alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania in diversa composizione, alle quali resta demandata anche la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo, secondo e terzo motivo di ricorso nei limiti di cui in motivazione, respinto il quarto motivo; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di giustizia tributaria di primo grado di Salerno in diversa composizione per l’esame delle domande aventi ad oggetto contributi del Servizio Sanitario Nazionale, e per l’esame delle rimanenti domande alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, della Corte di