Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 16807 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 16807 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Data pubblicazione: 23/06/2025
Sanzioni Tributi
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17540/2021 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE (02062710583), in persona delle sue legali rappresentanti p.t. , con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME EMAIL, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOMECODICE_FISCALE; NOMEEMAIL;
-ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate-Riscossione (13756881002), in persona del suo Presidente p.t. , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato (80224030587), presso i cui uffici, in Roma, INDIRIZZO ope legis domicilia (EMAIL
-resistente –
sul ricorso iscritto al n. 18091/2021 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE (P_IVA), in persona delle sue legali rappresentanti p.t. , con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (EMAIL, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE; NOMEEMAIL;
-ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate-Riscossione (13756881002);
-resistente -avverso la sentenza n. 4091/2020, depositata il 17 dicembre 2020, della Commissione tributaria regionale del Lazio; udita la relazione della causa svolta, nella camera di consiglio del 16
maggio 2025, dal Consigliere dott. NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
-Con sentenza n. 4091/2020, depositata il 17 dicembre 2020, la Commissione tributaria regionale del Lazio ha accolto, per quanto di ragione, l’appello proposto dall’ Agenzia delle Entrate-Riscossione, e quello spiegato in via incidentale da RAGIONE_SOCIALE così pronunciando in parziale riforma della decisione di prime cure che aveva accolto l’impugnazione di un avviso di intimazione notificato alla contribuente in relazione a presupposte cartelle di pagamento.
1.1 -A fondamento del decisum -e premesso che l’appello principale era stato proposto con riferimento ad alcune delle cartelle di pagamento in avviso di intimazione esposte (cartelle nn. NUMERO_CARTA
NUMERO_CARTA) -il giudice del gravame ha considerato che:
alle quattro cartelle di pagamento in questione -la cui notifica era stata eseguita «con le modalità degli irreperibili ovvero a mezzo pec con l’attestazione della consegna» e che la contribuente aveva genericamente contestato – aveva fatto seguito la notifica di avvisi di intimazione che, al pari delle cartelle stesse, non avevano formato oggetto di impugnazione in giudizio;
-destituita di fondamento rimaneva la tesi esposta dalla contribuente -secondo la quale «indipendentemente dalla impugnazione o meno dell’atto, il trascorrere del lasso temporale determina di per sé solo la prescrizione del tributo» – in quanto doveva tenersi conto dell’omessa impugnazione degli atti;
-l’appello incidentale andava accolto quanto «alla cartella n. 0972008011711, per la quale è stato accolto l’appello ad opera della CTR di Catanzaro con sentenza n. 21010412012».
RAGIONE_SOCIALE ricorre per la cassazione della sentenza sulla base di tre motivi, ed ha depositato memoria; l’ Agenzia delle EntrateRiscossione si è costituita con memoria al fine di partecipare alla discussione del ricorso.
RAGIONE_SOCIALE ha, quindi, operato una seconda iscrizione a ruolo del medesimo ricorso, iscritto al n. 18091/2021 di R.G., ivi depositando anche memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-I due ricorsi vanno riuniti in quanto -così come può desumersi dal contenuto degli atti depositati (e, nello specifico, dal ricorso e dagli atti notificati a mezzo PEC) oltrechè da quanto precisato in memoria dalla stessa parte ricorrente -pianamente emerge una (mera) duplice iscrizione a ruolo, da parte della ricorrente, e con riferimento alla
impugnazione della medesima sentenza (v. Cass, 12 dicembre 2024, n. 32113).
2. -Tanto premesso, col primo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 58 e, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti.
Si assume, in sintesi, che -avendo la pronuncia (allora) impugnata rilevato che «l’Ufficio asserisce di produrre ma non produce la notifica delle intimazioni di pagamento … che sarebbero interruttive della prescrizione», con ciò affermando «la inesistenza ai fini di causa della documentazione suddetta» – il giudice del gravame aveva omesso di rilevare che detta statuizione (in quanto non impugnata) doveva ritenersi «passata in cosa giudicata», così che la produzione dei documenti in appello integrava, ex latere dell’appellante, un abuso e risultava illegittima per violazione dell’art. 58, cit.
2.1 -Il motivo è manifestamente destituito di fondamento.
In disparte che l’evocato rilievo del giudice di primo grado si risolve, sul (solo) piano processuale, nell’accertamento del difetto di prova dei fatti costitutivi della domanda ( actore non probante, reus absolvitur ) -e che il giudicato si forma sul rapporto sostanziale, così come delimitato dalla causa petendi e dall’oggetto della controversia, e, per dir meglio, su di una statuizione minima della sentenza, costituita dalla sequenza rappresentata da fatto, norma ed effetto, suscettibile di acquisire autonoma efficacia decisoria nell’ambito della controversia (Cass., 7 novembre 2022, n. 32683; Cass., 19 ottobre 2022, n. 30728; Cass., 8 ottobre 2018, n. 24783) v’è che, nella fattispecie, il giudice del gravame ha dato (ampia) indicazione della prova documentale posta a fondamento della decisione, così come rinveniente dalle produzioni dell’appellante.
2.2 – Né la produzione in appello degli atti di notifica poteva ritenersi preclusa.
La Corte, difatti, secondo un consolidato orientamento interpretativo – formulato anche con riferimento alla posizione della parte contumace nel primo grado del giudizio (v., ex plurimis , Cass., 16 novembre 2018, n. 29568) – ha ripetutamente statuito che:
alla luce del fondamentale principio di specialità, espresso dall’art. 1, comma 2 (in forza del quale, nel rapporto tra norma processuale civile ordinaria e norma processuale tributaria, prevale quest’ultima), deve farsi esclusiva applicazione del disposto del d.lgs. n. 546 del 1992, art. 58, comma 2, che ha espressamente previsto e consentito la produzione di nuovi documenti in appello (Cass., 16 settembre 2011, n. 18907);
le parti hanno, quindi, facoltà di produrre nuovi documenti in appello, ai sensi del d.lgs. n. 546 del 1992, art. 58, al di fuori delle condizioni poste dall’art. 345 cod. proc. civ., anche quando non sussista, pertanto, l’impossibilità di produrli in primo grado, ovvero si tratti di documenti già nella disponibilità delle parti (Cass., 30 giugno 2021, n. 18391; Cass., 28 giugno 2018, n. 17164; Cass., 11 aprile 2018, n. 8927; Cass., 22 novembre 2017, n. 27774; Cass., 6 novembre 2015, n. 22776);
la stessa irrituale produzione di un documento nel giudizio di primo grado non assume rilievo nella definizione della controversia, salvo eventualmente per quanto riguarda la regolamentazione delle spese processuali, in quanto, comunque, il documento può essere legittimamente valutato dal giudice di appello, in forza del disposto del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 58, comma 2 (Cass., 19 dicembre 2017, n. 30537);
i documenti tardivamente depositati nel giudizio di primo grado, vanno esaminati nel giudizio di appello, ove acquisiti al fascicolo
processuale, dovendosi ritenere comunque prodotti in grado di appello ed esaminabili da tale giudice in quanto prodotti entro il termine perentorio sancito dal d.lgs. n. 546 del 1992, art. 32, comma 1, applicabile anche al giudizio di appello (Cass., 7 marzo 2018, n. 5429; Cass., 24 febbraio 2015, n. 3661).
-Il secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., espone la denuncia di violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., deducendo la ricorrente che il giudice del gravame -così come da essa esponente eccepito senz’alcuna contestazione di controparte aveva omesso di rilevare che la prodotta documentazione («avvisi pec», «avvisi di notifica») era «radicalmente mancant di qualsivoglia elemento che ne consenta la riconduzione ai crediti portati dalle cartelle oggetto del presente giudizio.», così inidonea a dar conto della prova degli atti interruttivi della prescrizione in contestazione tra le parti.
3.1 -Questo motivo -che pur prospetta profili di inammissibilità -è destituito di fondamento.
Come la Corte ha in più occasioni statuito, la violazione dell’art. 2697 cod. civ. si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni (Cass., 25 marzo 2022, n. 9695; Cass., 23 ottobre 2018, n. 26769; Cass. Sez. U., 5 agosto 2016, n. 16598, in motivazione) mentre, nella fattispecie, il giudice del gravame, come si è anticipato, ha svolto uno specifico accertamento probatorio senza violare né il riparto degli oneri probatori rilevanti nella fattispecie né la regola di giudizio fondata sulle prove offerte dalle parti.
3.2 – Sotto il velo, poi, della censura di violazione di legge, la ricorrente prospetta, al fondo della questione sottoposta alla Corte, un
erroneo accertamento in fatto (in tesi) discendente dalla non riferibilità degli atti interruttivi della prescrizione ai crediti tributari esposti nell’avviso di intimazione (e così come rinvenienti dalle presupposte cartelle di pagamento), con ciò omettendo di esplicitare, con riferimento al loro carattere decisivo, gli specifici referenti fattuali di un vizio di motivazione (art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.) e, in buona sostanza, riproponendo meri argomenti probatori a fronte dei quali la stessa evocata non contestazione costituisce un vacuum argomentativo, del tutto sprovvisto di specifico fondamento.
Difatti, come in più occasioni si è rimarcato, – ed in disparte gli stessi limiti di agibilità del principio di non contestazione in fattispecie connotata dall’indisponibilità del diritto controverso ( v., ex plurimis, Cass., 26 luglio 2023, n. 22694; Cass., 18 maggio 2018, n. 12287; Cass., 6 febbraio 2015, n. 2196) nell’evocare il principio di non contestazione, la censura difetta di autosufficienza (v. Cass., 10 dicembre 2019, n. 32192; Cass., 10 agosto 2017, n. 19985; Cass., 9 agosto 2016, n. 16655) in quanto non indica il come (condotta processuale), ed il dove (sede processuale), della non contestazione, con particolare riferimento ai contenuti delle difese che (nel più ampio contesto delle deduzioni, e delle argomentazioni, svolte) si sarebbero risolte nel denunciato difetto di specifica contestazione.
-Col terzo motivo, anch’esso formulato ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2934, 2945 e 2953 cod. civ.
Premesso che la (non agevole) lettura della gravata sentenza indurrebbe alla conclusione che la stessa o ha inteso «negare gli effetti che a norma di legge il decorrere del tempo senza che siano esercitati produce in danno dei diritti» ovvero ha affermato che «la mancata impugnazione di un atto, nel nostro caso una cartella esattoriale, impedirebbe in genere la prescrizione del diritto con la stessa
azionato», assume la ricorrente che -secondo gli stessi dicta della giurisprudenza di legittimità -dal difetto di impugnazione della cartella di pagamento consegue (solo) il consolidamento (cd. irretrattabilità) del credito ivi esposto che, ciò non di meno, rimane soggetto al termine di prescrizione stabilito dalla disciplina sostanziale di ciascun tributo, dall’atto interruttivo decorrendo un nuovo periodo di prescrizione.
Nella fattispecie, pertanto, gli azionati crediti risulterebbero estinti, per prescrizione (decennale o quinquennale) tanto perché i successivi atti interruttivi sarebbero intervenuti a prescrizione già perfezionatasi quanto perché quegli stessi atti ex se inidonei a fini interruttivi secondo i rilievi nel secondo motivo di ricorso esposti; e, ad ogni modo, sarebbe maturata la prescrizione (quinquennale) per interessi e sanzioni.
4.1 -Nemmeno questo motivo -che anch’esso prospetta profili di inammissibilità -può trovare accoglimento.
4.2 – Occorre premettere al riguardo, per un verso, che la ricorrente continua a (indistintamente) argomentare su tutte le cartelle di pagamento che, quali atti presupposti, sono state impugnate unitamente al l’avviso di intimazione quando per come risulta inequivoco sulla base della gravata sentenza, ed in ragione del difetto di una qualche impugnazione da parte dell’ Agenzia delle EntrateRiscossione -il thema decidendum devoluto alla Corte involge le sole quattro cartelle che, come anticipato, hanno formato oggetto del gravame definito dalla sentenza impugnata; e, per il restante, che la ratio decidendi della gravata sente nza all’evidenza sfugge alla stessa alternativa interpretativa che il motivo di ricorso prospetta.
Quanto a questo secondo profilo, difatti, -ed al di là di improprietà linguistiche, e delle stesse sintesi concettuali operate, -rimane del tutto evidente che la gravata sentenza deve essere interpretata nei termini in esposizione dei fatti di causa riassunti e, dunque, con specifico riferimento alla considerazione degli atti interruttivi della
prescrizione che ne è stata operata sulla base delle deduzioni, e produzioni, della parte (allora) appellante.
4.2.1 – Dopo aver (partitamente) anteposto la rappresentazione dei titoli esecutivi delle quattro cartelle di pagamento in questione, e dei successivi atti di interruzione della prescrizione (richiamati quali «intimazioni di pagamento»; punto 4., fol. 1, dei motivi della decisione), il giudice del gravame ha, quindi, rilevato che non aveva fondamento la difesa della contribuente secondo la quale «indipendentemente dalla impugnazione o meno dell’atto, il trascorrere del lasso temporale determina di per sé solo la prescrizione del tributo», e ciò in quanto doveva tenersi conto , per l’appunto, dell’omessa impugnazione degli atti .
E detta tesi di parte -ben correttamente disattesa dal giudice del gravame -risulta, in effetti, riproposta (anche) col ricorso in esame quando si allude ad una prescrizione maturata prima della notifica dell’atto interruttivo (per decorso del termine prescrizionale dalla notifica della cartella di pagamento) senza considerare, per l’appunto, il rilievo secondo il quale quell’atto interruttivo non aveva formato oggetto di impugnazione.
4.3 -E’, allora, ben vero che l’omessa impugnazione della cartella di pagamento consolida il credito ivi esposto, determinandone la cd. irretrattabilità; con ciò senza alterare il règime della prescrizione che risulta replicato dalla sua disciplina sostanziale (cfr. Cass. S.U., 17 novembre 2016, n. 23397 cui adde , ex plurimis , Cass., 19 dicembre 2019, n. 33797; Cass., 18 maggio 2018, n. 12200; Cass., 15 maggio 2018, n. 11800; con riferimento all’ingiunzione di pagamento v. Cass., 25 maggio 2007, n. 12263).
Ed è ancora corretto l’assunto che, per effetto dell’atto interruttivo della prescrizione (ovvero della decadenza ove prescritta con riferimento alla notifica della cartella di pagamento), inizia il decorso di
un (nuovo) termine di prescrizione che postula, a fini impeditivi, l’ulteriore atto di interruzione ( Cass., 10 marzo 2021, n. 6605; Cass., 18 febbraio 2020, n. 3990; Cass., 29 novembre 2019, n. 31282).
Ciò non di meno, nella fattispecie, come ben rilevato dal giudice del gravame, la prescrizione non eccepita al momento della notificazione di un avviso di intimazione o di altro atto interruttivo non può essere fatta valere in difetto di impugnazione di qu ell’atto interruttivo stesso dal quale consegue il consolidamento delle pretesa riscossiva e (anche) il decorso di un nuovo periodo di prescrizione (dal momento della sua notifica).
Come, poi, rimarcato dalla Corte, l’idoneità a produrre gli effetti interruttivi della prescrizione, di cui all’art. 2943 cod. civ., va riconosciuta – non soltanto a quegli atti che, come l’avviso di liquidazione, contengono implicitamente anche la richiesta di pagamento ed assolvono, quindi, anche alla funzione di costituire in mora, ma senz’altro agli atti della sequenza procedimentale specificamente contenenti la intimazione ad adempiere, così come per l’avviso di mora di cui al d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 46, o per l’avviso di intimazione di cui all’art. 50, comma 2, dello stesso d.P.R. cit. (v. Cass., 11 marzo 2025, n. 6436; Cass., 30 gennaio 2018, n. 2227; Cass., 24 gennaio 2013, n. 1658; Cass., 17 aprile 2009, n. 9120; Cass., 18 aprile 1997, n. 3338).
4.4 -Il motivo di ricorso, pertanto, è infondato per il profilo che involge la cennata prospettazione di indifferenza della prescrizione (già maturata) all’omessa impugnazione dell’atto interruttivo (v. Cass., 11 marzo 2025, n. 6436, cit.) e rimane inammissibile, quanto in specie alla dedotta prescrizione quinquennale (per sanzioni ed interessi), in difetto di ogni censura (in fatto ed anche secondo la relativa disciplina sostanziale) dell’accertamento svolto dal giudice del gravame quanto al mancato perfezionamento della prescrizione a cagione degli atti
interruttivi notificati (successivamente alla notifica delle cartelle di pagamento).
5. – Le spese di questo giudizio di legittimità non vanno regolate, tra le parti, in difetto di attività difensiva dell’Agenzia delle Entrate -Riscossione, mentre nei confronti di parte ricorrente sussistono i presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per l’unica impugnazione proposta, se dovuto (d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, c. 1quater ).
P.Q.M.
La Corte, riunisce i ricorsi iscritti ai nn. di RG 17540/2021 e 18091/2021;
rigetta il ricorso proposto da RAGIONE_SOCIALE
ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per l’unico ricorso principale proposto, a norma del comma 1 -bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 16 maggio 2025.