Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 14415 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 14415 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 29/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso 26920/2020 proposto da:
NOME COGNOME nato a Salerno il 10 agosto 1970 ed ivi residente alla INDIRIZZO (C.F.: CODICE_FISCALE, in virtù di procura speciale in calce al ricorso, dagli Avv.ti NOME COGNOMEC.F.: CODICE_FISCALE; pec:
EMAIL) e NOME COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE; pec: EMAIL) ed elettivamente domiciliato presso il loro studio sito in Roma, alla INDIRIZZO (fax: NUMERO_TELEFONO);
-ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate (C.F.: NUMERO_DOCUMENTO), in persona del Direttore Generale pro tempore , e Agenzia delle Entrate Riscossione (C.F.: NUMERO_DOCUMENTO), in persona del Direttore Generale pro tempore ,
Avviso intimazione Prescrizione interessi sanzioni
–
rappresentate e difese dall’Avvocatura Generale dello Stato (C.F. : P_IVA e presso la stessa domiciliata in Roma alla INDIRIZZO
-controricorrenti -ricorrenti incidentali –
-avverso la sentenza n. 133/2020 emessa dalla CTR Campania in data 09/01/2020 e non notificata;
udita la relazione della causa svolta dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Fatti di causa
COGNOME NOME proponeva appello avverso la sentenza n. 4 783/04/2017, depositata il 25 ottobre 2017, con la quale la Commissione Tributaria Provinciale di Salerno aveva parzialmente accolto il ricorso da lui proposto contro un avviso di intimazione notificato dal concessionario, ritenendo solo parzialmente provata la notificazione delle cartelle presupposte alla già menzionata intimazione.
La CTR della Campania accoglieva parzialmente il gravame, affermando che, nel caso in cui la notifica della cartella di pagamento sia eseguita, ai sensi dell’art. 26, comma 1, seconda parte, del d.P.R. n. 602 del 1973, mediante invio diretto, da parte del concessionario, di raccomandata con avviso di ricevimento, trovano applicazione le norme concernenti il servizio postale ordinario, e non quelle della l. n. 890 del 1982, che in concreto il concessionario aveva prodotto copia delle notifiche effettuate, che, accertata la legittimità delle notifiche delle cartelle, ne conseguiva la definitività del credito in esse portato e, pertanto, l’inammissibilità delle connesse censure proposte dal ricorrente quanto al merito della pretesa, e, quanto all’eccepita pr escrizione, mancando una legge speciale disciplinante la materia, per i crediti IRPEF, IVA ed IRAP doveva applicarsi il termine ordinario di prescrizione, per i diritti camerali, trattandosi di somme che devono essere pagate con cadenza annuale o infrannuale, occorreva applicare la prescrizione quinquennale e per le tasse automobilistiche la prescrizione era triennale in ragione dell’esplicita previsione normativa,
laddove, quanto ai crediti vantati a titolo di interessi e sanzioni, la natura accessoria imponeva di seguire il termine di prescrizione del credito principale, sicché, considerato che l’intimazione era stata notificata il 26 gennaio 2017, dovevano ritenersi prescritti i crediti portati dalle cartelle con i numeri finali NUMERO_CARTA, NUMERO_CARTA e NUMERO_CARTA e la parte relativa ai diritti camerali contenuta nella cartella n. 902000, 183000.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione COGNOME Giovanni sulla base di tre motivi. L’Agenzia delle Entrate Riscossione e l’Agenzia delle Entrate hanno resistito con controricorso, proponendo, a loro volta, ricorso incidentale fondato su un unico motivo.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo il ricorrente principale deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 26 d.P.R. n. 602/1973, 8 l. n. 890/1992 e 140 c.p.c. in relazione all’art. 2697 c.c., con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3), c.p.c., per non aver la CTR considerato che egli aveva eccepito l’omessa o irregolare notifica delle cartelle sottese all’intimazione, e segnatamente della cartella n. 0020100033180462000 del 07.10.2010, per violazione dell’art. 140 cod. proc. civ.
Il ricorrente sostiene, in particolare, che la CTR ha accertato che la cartella era stata notificata mediante deposito presso la casa comunale e successivo invio della raccomandata AR senza, però, verificare se vi fosse la prova della ricezione della raccomandata informativa.
1.1. Il motivo è fondato.
La notificazione degli avvisi e degli atti tributari impositivi, nel sistema delineato dall’art. 60 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, va effettuata secondo il rito previsto dall’art. 140 c.p.c. quando siano conosciuti la residenza e l’indirizzo del destinatario, ma non si sia potuto eseguire la consegna perché questi (o ogni altro possibile consegnatario) non è stato rinvenuto in detto indirizzo, per essere ivi temporaneamente irreperibile, mentre va effettuata secondo la disciplina di cui all’art. 60 cit., comma 1,
lett. e), quando il messo notificatore non reperisca il contribuente perché risulta trasferito in luogo sconosciuto, accertamento, questo, cui il messo deve pervenire dopo aver effettuato ricerche nel Comune dov’è situato il domicilio fiscale del contribuente, per verificare che il suddetto trasferimento non si sia risolto in un mero mutamento di indirizzo nell’ambito dello stesso Comune. Rispetto a tali principi, nulla ha innovato la sentenza della Corte costituzionale del 22 novembre 2012, n. 258, la quale nel dichiarare in parte qua , con pronuncia di natura “sostitutiva”, l’illegittimità costituzionale del terzo comma (corrispondente all’attualmente vigente quarto comma) dell’art. 26 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, ovvero la disposizione concernente il procedimento di notifica delle cartelle di pagamento, ha soltanto uniformato le modalità di svolgimento di detto procedimento a quelle già previste per la notificazione degli atti di accertamento, eliminando una diversità di disciplina che non appariva assistita da alcuna valida ratio giustificativa e non risultava in linea con il fondamentale principio posto dall’art. 3 della Costituzione (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 16696 del 03/07/2013; conf. Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 27729 del 25/10/2024).
Pertanto, questa Corte, con la sentenza n. 25079 del 2014, ha affermato il principio (poi ripreso da Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 9782 del 19/04/2018 e da Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 27825 del 31/10/2018), condiviso dal Collegio, in base al quale «In tema di notifica della cartella di pagamento, nei casi di “irreperibilità cd. relativa” del destinatario, all’esito della sentenza della Corte costituzionale n. 258 del 22 novembre 2012 relativa all’art. 26, comma 3 (ora 4), del d.P.R. n. 602 del 1973, va applicato l’art. 140 c.p.c., in virtù del combinato disposto del citato art. 26, ultimo comma, e dell’art. 60, comma 1, alinea , del d.P.R. n. 600 del 1973, sicché è necessario, ai fini del suo perfezionamento, che siano effettuati tutti gli adempimenti ivi prescritti, incluso l’inoltro al destinatario e l’effettiva ricezione della raccomandata informativa del deposito dell’atto presso la casa comunale, non essendone sufficiente la sola spedizione», alla stregua di quanto risultante dalla sentenza della Corte costituzionale n. 3
del 2010, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 140 c.p.c., disposizione richiamata dall’art. 26 citato, nella parte in cui prevede che la notifica si perfeziona, per il destinatario, con la spedizione della raccomandata informativa, anziché con il ricevimento della stessa o, comunque, decorsi dieci giorni dalla relativa spedizione.
A seguito di tale sentenza, pertanto, la notificazione effettuata ai sensi di tale disposizione si perfeziona, per il destinatario, con il ricevimento della raccomandata informativa, se anteriore al maturarsi della compiuta giacenza, ovvero, in caso contrario, con il decorso del termine di dieci giorni dalla spedizione (Cass. 14316/2011).
Questa Corte ha altresì affermato che l’efficacia delle sentenze dichiarative della illegittimità costituzionale di una norma incontra il limite dei rapporti esauriti in modo definitivo ed irrevocabile per avvenuta formazione del giudicato o per essersi comunque verificato altro evento cui l’ordinamento ricollega il consolidamento del rapporto, mentre si estende a tutti gli altri rapporti.
La notifica non è un rapporto giuridico a sé, rispetto al quale deve valutarsi l’avvenuto consolidamento, ma un atto strumentale all’instaurazione della controversia o al consolidamento dell’obbligo di pagamento in capo al contribuente per omessa impugnazione, circostanza ancora controversa. L’accoglimento della tesi delle Agenzie vanificherebbe, di fatto, l’effetto retroattivo delle sentenze di illegittimità costituzionale ed è, quindi, contrario al dettato della legge e della Costituzione (Cass. n. 6181/2018).
Ove la notifica (nella specie della cartella di pagamento) sia avvenuta nelle forme di cui all’art. 140 c.p.c., prima della sentenza della Corte Cost. n. 3 del 2010, ai fini della regolarità della stessa è comunque necessaria la produzione dell’avviso di ricevimento della raccomandata spedita a compimento delle formalità previste dalla indicata disposizione, stante l’efficacia retroattiva delle pronunce additive della Corte costituzionale (Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 10519 del 15/04/2019).
Nella specie, la CTR erroneamente ha affermato, una volta inquadrata la fattispecie nell’ambito dell’art. 26 del d.P.R. n. 602 del 29 settembre 1973,
che <>, in tal guisa dando atto che la notifica della cartella di pagamento era stata effettuata senza il rispetto di tutte le prescrizioni dettate dalla normativa operante nei casi di irreperibilità cd. relativa del destinatario dell’atto (e, in particolare, senza la spedizione della raccomandata informativa con avviso di ricevimento, con la quale avrebbe dovuto dare notizia dell’avvenuto deposito).
Né in senso contrario può valorizzarsi l’apodittica, e, peraltro, contrastante, come si è visto, con la sentenza impugnata, affermazione delle Agenzie (cfr. pag. 9 del controricorso) secondo cui <>.
Con il secondo motivo il ricorrente principale lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 25, comma 2, d.P.R. 602/1973 e 139 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), c.p.c., per aver la CTR ritenuto valide le notifiche delle cartelle nn. 1020130005904117-000 del 5.2.2013, 10020130033012203-000 del 4.4.2004, 10020140018584747-000 del 13.11.2014 e 10020140034052970-000 del 15.12.2014, nonostante fossero state notificate all’indirizzo di “INDIRIZZO, Salerno” diverso da quello di sua residenza.
2.1. Il motivo è inammissibile.
Invero, in violazione del principio di autosufficienza, il contribuente ha omesso di trascrivere le relate di notifica delle indicate cartelle, essendosi limitato a riportane i contenuti essenziali a pagina 13 del ricorso, e, soprattutto, di localizzare le dette relate, di cui non vi è traccia nel fascicolo prodotto.
Del resto, premesso che, ai fini dell’operatività della presunzione di
conoscenza degli atti negoziali ai sensi dell’art. 1335 c.c., l’indirizzo del destinatario, presso il quale deve giungere la dichiarazione recettizia, non necessariamente coincide con i luoghi di individuazione delle persone fisiche (domicilio, residenza, dimora) o degli enti collettivi (sede), potendo identificarsi in un diverso luogo preventivamente indicato, in ragione di un collegamento di altra natura, dal destinatario e, pertanto, rientrante nella propria sfera di dominio e di controllo (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 19524 del 19/07/2019), una eventuale convivenza del consegnatario rispetto al destinatario avrebbe determinato l’insorgenza di una presunzione, sia pure iuris tantum , in ordine alla circostanza che in quel luogo si trovino la residenza effettiva, la dimora o il domicilio del destinatario (cfr. Cass., Sez. 1, Sentenza n. 24852 del 22/11/2006; conf. Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 32575 del 14/12/2024). Così come una presunzione relativa di tal fatta deve ritenersi configurabile almeno nel caso in cui il piego venga consegnato ad un’addetta alla casa. In tali evenienze il d estinatario, qualora intenda contestare in giudizio tale circostanza al fine di ottenere la dichiarazione di nullità della notifica, ha l’onere di fornire idonea prova contraria. Tale prova, peraltro, non può essere fornita mediante la produzione di risultanze anagrafiche che indichino una residenza diversa dal luogo in cui è stata effettuata la notifica, in quanto siffatte risultanze, aventi valore meramente dichiarativo, offrono a loro volta una mera presunzione, superabile alla stregua di altri elementi idonei ad evidenziare, in concreto, una diversa ubicazione della residenza effettiva del destinatario, presso la quale, pertanto, la notificazione è validamente eseguita, ed il cui accertamento da parte del giudice di merito non è censurabile in sede di legittimità, se non per vizi della relativa motivazione.
Con il terzo motivo il ricorrente principale denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2953 c.c., 20 d.lgs. n. 472/1997 (prescrizione delle sanzioni amministrative pecuniarie, n. 3), c.p.c., per non aver la CTR considerato che sia le sanzioni tributarie, connesse al mancato pagamento dei tributi, che gli interessi erariali contenuti nelle cartelle esattoriali, si prescrivono in cinque anni, anche nel caso in cui l’obbligazione principale
soggiaccia al termine ordinario decennale, con la conseguenza che la prescrizione delle sanzioni e degli interessi era maturata con riferimento alle cartelle nn. 10020130033012203 000 del 4.4.2004, 10020060056088256 000 del 19.12.2006, 1002008 000 944406 000 del 23.2.2008, 10020050000693332 000 del 23.3.2010, 10020090069206861 000 del 6.3.2010, 10020100033180462 000 del 7.10.2010 e 10020110019501155 000 del 5.3.2011.
3.1. Il motivo è fondato.
Premesso che l’art. 20, comma 3, del d.lgs. n. 472 del 1997 stabilisce espressamente che «il diritto alla riscossione della sanzione irrogata si prescrive nel termine di cinque anni» e che, a sua volta, l’art. 2948, primo comma, n. 4, c.c. prevede, altrettanto espressamente, che «si prescrivono in cinque anni: gli interessi e, in generale, tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi», questa Corte ha più volte ribadito che «il diritto alla riscossione delle sanzioni amministrative pecuniarie previste per la violazione di norme tributarie, derivante da sentenza passata in giudicato, si prescrive entro il termine di dieci anni, per diretta applicazione dell’art. 2953 c.c., che disciplina specificamente ed in via generale la cosiddetta actio iudicati , mentre, se la definitività della sanzione non deriva da un provvedimento giurisdizionale irrevocabile», come nel caso di specie, «vale il termine di prescrizione di cinque anni, previsto dal d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 20, atteso che il termine di prescrizione entro il quale deve essere fatta valere l’obbligazione tributaria principale e quella accessoria relativa alle sanzioni non può che essere di tipo unitario», ma, ovviamente, nell’ipotesi di esistenza del giudicato (cfr. Cass., Sez. U., n. 25790 del 2009; conf. Cass. n. 5837 del 2011; Cass. n. 5577 del 2019, nonché Cass. n. 10549 del 2019).
In materia di interessi dovuti per il ritardo nell’esazione dei tributi è stato, altresì, precisato che il relativo credito, integrando un’obbligazione autonoma rispetto al debito principale e suscettibile di autonome vicende, rimane sottoposto al proprio termine di prescrizione quinquennale fissato dall’art. 2948, primo comma, n. 4, cod. civ. (Cass. n. 30901 del 2019; Cass.
n. 14049 del 2006; v. anche Cass. n. 12740 del 2020, con riferimento al termine quinquennale di prescrizione sia delle sanzioni che degli interessi). Non coglie, quindi, nel segno il riferimento fatto dalla ricorrente sia alla citata ordinanza di questa Corte n. 10549 del 2019, sia alla sentenza delle Sezioni unite n. 25790 del 2009, sia, infine, alla sentenza n. 8814 del 2018 emessa dalla Sezione lavoro di questa Corte in fattispecie del tutto diversa, ovvero di domanda di rateazione di contributi previdenziali e somme aggiuntive, presentata da una società «quando l’obbligo di pagamento delle somme aggiuntive era già sorto e si era cumulato al debito originario». In tale ultima pronuncia la Corte ha affermato che in tal caso la domanda di rateazione presentata dalla società «non poteva non estendere i suoi effetti anche alle sanzioni civili, ivi compreso il mantenimento del termine di prescrizione decennale previsto dalla L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 10» in quanto la stessa «spiega i suoi effetti in relazione a tutto il debito dell’obbligato (principale e accessorio) in quel momento sussistente».
Deve allora ribadirsi il principio secondo cui, in caso di notifica di cartella esattoriale non fondata su una sentenza passata in giudicato, il termine di prescrizione entro il quale deve essere fatta valere l’obbligazione tributaria relativa alle sanzioni ed agli interessi è quello quinquennale, così come previsto, rispettivamente, per le sanzioni, dall’art. 20, comma 3, del d.lgs. n. 472 del 1997 e, per gli interessi, dall’art. 2948, comma 1, n. 4, c.c. (Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 7486 del 08/03/2022).
Così come va ribadito che gli interessi relativi alle obbligazioni tributarie si pongono in rapporto di accessorietà rispetto a queste ultime unicamente nel momento genetico, atteso che, una volta sorta, l’obbligazione di interessi acquista una propria autonomia in virtù della sua progressiva maturazione, uniformandosi, pertanto, quanto alla prescrizione, al termine quinquennale previsto, in via generale, dall’art. 2948, n. 4, c.c., che prescinde sia dalla tipologia degli interessi sia dalla natura dell’obbligazione principale (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 2095 del 24/01/2023).
4. Con l’unico motivo del ricorso incidentale le Agenzie deducono la violazione e falsa applicazione degli artt. 18, comma 3, della l 580/1993 e
2946 e 2948 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), c.p.c., per aver la CTR affermato che il diritto della Camera di Commercio di riscuotere il diritto annuale di iscrizione in albi e registri dovuto ai sensi dell’art. 34 del d.l. 22 dicembre 1981, n. 786, come convertito dalla legge 26 febbraio 1982, n. 51, e successivamente regolato dall’art. 18 della legge 29 dicembre 1993, n. 580, si prescrive in cinque anni, anziché in dieci anni.
4.1. Il motivo è infondato.
L’applicazione del termine di prescrizione quinquennale al credito derivante dal diritto camerale ex art. 18 della l. n. 580 del 1993 trova conferma nella disposizione specifica contenuta nell’art. 10 del d.m. n. 54 del 2005, che al comma 2 prevede analogo termine in materia di sanzioni dovute per omesso versamento dei diritti camerali, venendo in rilievo il principio di unitarietà del termine entro il quale far valere tanto l’obbligazione principale tributaria quanto quella accessoria relativa alle sanzioni (Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 22897 del 21/07/2022).
Pertanto, il diritto camerale, disciplinato dall’art. 18 della l. n. 580 del 1993 e finalizzato al finanziamento ordinario delle Camere di Commercio, va versato con cadenza annuale ed è, quindi, assimilabile ai tributi aventi cadenza periodica, configurandosi alla stregua di un’obbligazione periodica o di durata, che soggiace conseguentemente all’applicazione dell’art. 2948 n. 4 c.c., e quindi alla prescrizione quinquennale (Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 22897 del 21/07/2022).
5. Alla stregua delle considerazioni che precedono, la sentenza impugnata va, in accoglimento del primo e del terzo motivo del ricorso principale, cassata, con conseguente rinvio della causa, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, affinché verifichi, tra l’altro, l’esistenza di eventuali atti interruttivi della prescrizione.
accoglie il primo ed il terzo motivo del ricorso principale, dichiara inammissibile il secondo, rigetta quello incidentale; cassa la sentenza impugnata con riferimento ai motivi accolti e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania in differente composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio tenutasi in data 16.5.2025.