Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 6211 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5   Num. 6211  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 09/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso n.r.g. 15576/2022, proposto da:
COGNOME NOME , rappresentata e difesa, per procura in calce al ricorso, dall’ AVV_NOTAIO e dall’AVV_NOTAIO, ed elettivamente domiciliata presso il loro studio in ROMA, INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE – RISCOSSIONE
-intimata – avverso  la  sentenza  n.  5767/2021  della  Commissione  tributaria regionale del Lazio, depositata il 14 dicembre 2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19 febbraio 2025 dal AVV_NOTAIO.
Rilevato che:
NOME COGNOME impugnò vittoriosamente, innanzi alla Commissione tributaria  provinciale  di  Roma, l’intimazione  di  pagamento riferita  a precedente  cartella  esattoriale,  emessa  dal  Concessionario  per  la riscossione  in  relazione  ad  un  mancato  pagamento  Irpef per  l’anno d’imposta 1993 .
Il  successivo  appello  erariale  venne  accolto  con  la  sentenza indicata in epigrafe.
 I  giudici  regionali,  disattese  le  eccezioni  preliminari  della contribuente,  riformarono  la  sentenza  di  primo  grado  in  punto  al decisivo tema  della prescrizione, osservando  che  la  cartella di pagamento  era  stata  notificata  alla  COGNOME  il  22  gennaio  2007,  il successivo avviso d i pagamento il 7 giugno 2013 e l’ultimo avviso di pagamento -impugnato  insieme  agli  atti  presupposti -il  31  luglio 2018; in nessun caso, pertanto, era decorso il termine ordinario di prescrizione.
Ai fini dell’individuazione del primo dies a quo , peraltro, la C.T.R. ritenne  sufficiente  la  produzione  in  copia  dell’atto  di  intimazione  in copia fotostatica.
La sentenza d’appello è stata impugnata dalla contribuente con ricorso per cassazione affidato a due motivi, illustrati da successiva memoria.
Agenzia delle entrate -Riscossione è rimasta intimata.
Considerato che:
Il primo motivo di ricorso denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 2946 cod. civ. e 116 cod. proc. civ.
La ricorrente assume che la sentenza impugnata sarebbe errata laddove ha ritenuto di applicare il termine ordinario di prescrizione; sostiene, al contrario, che in relazione ai debiti Irpef dovrebbe invece operare il termine quinquennale stabilito dall’art. 2948, comma primo, num. 4) per «gli interessi e tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi».
Osserva,  in  ogni  caso,  che  anche  a  voler  applicare  il  termine ordinario decennale la pretesa creditoria sarebbe prescritta, essendo riferita ad anno d’imposta (1993) ben anteriore a detto termine con riferimento alla notifica della cartella di pagamento (22 gennaio 2007).
Il secondo motivo denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 cod. civ. e 116 cod. proc. civ. , anche in relazione all’art. 360, comma primo, num. 5), cod. proc. civ.
La ricorrente censura la sentenza d’appello nella parte in cui ha ritenuto  dimostrata  la  notifica  della  prima  cartella  per  il  fatto  della produzione di copia fotostatica; osserva, al riguardo, di non aver mai contestato la conformità di tale copia all’originale, ma di aver rilevato , in senso ben differente, che la relazione di notificazione prodotta dal concessionario non era riconducibile all’intimazione di pagamento alla quale asseritamente era riferita.
Il primo motivo è fondato nei limiti di seguito precisati.
3.1. Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, «il diritto alla riscossione dei tributi erariali (Irpef, Ires, Irap ed Iva), in mancanza di un’espressa disposizione di legge, si prescrive nel termine ordinario di dieci anni , decorrente dall’accertamento dell’imposta, e non nel più breve termine quinquennale, non costituendo detti crediti erariali prestazioni periodiche, ma dovendo la sussistenza dei relativi presupposti valutarsi in relazione a ciascun anno d’imposta» (Cass. n. 33213/2023; Cass. n. 12740/2020; Cass. n. 32308/2019).
Pertanto, quanto al debito d’imposta portato dalle cartelle impugnate,  la  tesi  della  ricorrente  si  pone  in  contrasto  con  detto principio, al quale invece si è confo rmata la sentenza d’appello .
3.2. Va rilevato, tuttavia, che l’intimazione di pagamento concerne un credito anche per interessi e sanzioni, in relazione ai quali opera il termine quinquennale stabilito, rispettivamente, d all’art. 2948, n um. 4, cod. civ., e dall’ art. 20 del d. lgs. n. 472/1997.
Gli interessi, infatti, costituiscono un ‘obbligazione relativa che riveste natura autonoma rispetto al debito principale e soggiace al termine codicistico stabilito in via generale per tale tipo di debito pecuniario (Cass. n. 5220/2024; Cass. n. 13258/2022; Cass. n. 1980/2022; Cass. n. 31283/2021); per le sanzioni, invece, la previsione di cui al l’art. 20 d. lgs. n. 472/1997 reca una disciplina unitaria della decadenza e della prescrizione dei crediti ad esse relativi, affidata a una specifica norma di legge e perciò autonoma e indipendente rispetto alla prescrizione ‘generale’ dei crediti nascenti dal rapporto tributario (cfr. Cass. n. 2095/2023).
Il motivo è dunque fondato con riferimento a tale sola componente del credito oggetto di intimazione.
Il secondo motivo è inammissibile per violazione dell’art. 366, comma primo, num. 6), cod. proc. civ., poiché la ricorrente non ha né riportato,  né  indicato  la  parte  del  proprio  atto  di  appello  nel  quale avrebbe  formulato  la  deduzione  che  ha  sostenuto  essere  stata erroneamente  interpretata  dalla  C.T.R.,  così  da  non  consentire  al Collegio un valido sindacato sulla censura.
6. Il ricorso va dunque accolto nei limiti precisati.
Poiché dall’esame dell’atto impugnato non è possibile individuare le componenti del credito tributario per le quali opera la prescrizione quinquennale, la sentenza impugnata va cassata con rinvio al giudice
a  quo , affinché provveda  al riesame uniformandosi all’indicato principio.
Il giudice del rinvio liquiderà anche le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso nei termini di cui in motivazione,  dichiarato  inammissibile  il  secondo,  cassa  la  sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado del Lazio.
Così deciso in Roma, il 19 febbraio 2025.