Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 16591 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 16591 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 20/06/2025
Oggetto: II.DD. – IVA – riscossione
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24640/2023 R.G. proposto da COGNOME NOME, rappresentato e difeso da sé stesso (PEC: EMAIL, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentate e difese dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliate in Roma, INDIRIZZO
-controricorrenti –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio n. 3205/2/2023, depositata il 30.5.2023 e non notificata.
Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale dell’8 dal consigliere NOME COGNOME.
aprile 2025
Rilevato che:
Con sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio n. 3205/2/2023, depositata il 30.5.2023 veniva rigettato l’appello proposto da NOME COGNOME avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Roma n. 3895/6/2021 avente ad oggetto l’intimazione di pagamento notificatagli dall’Agenzia delle Entrate-Riscossione e relativa al pagamento di IVA 2016 per euro 5.368,51 come da sottostante cartella di pagamento ex art.54 bis d.P.R. n.633/1972 asseritamente a lui mai notificata.
Già in primo grado si costituiva volontariamente nel processo anche l’ente impositore. All’esito, il giudice di prime cure rigettava il ricorso introduttivo ritenendo non maturata la prescrizione del credito erariale, e che la sottostante cartella fosse stata ritualmente notificata il 23.11.2019, entro il terzo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, peraltro preceduta dalla notifica del cd. avviso bonario. La decisione veniva confermata dal giudice d’appello.
Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per Cassazione il contribuente deducendo tre motivi, che illustra con memoria ex art.380-bis.1. cod. proc. civ., cui replicano l’Agenzia delle Entrate e l’agente della riscossione con un unico controricorso.
Considerato che:
Preliminarmente, si dà atto delle eccezioni di inammissibilità del ricorso sollevate dai controricorrenti ex art.366, comma 1, n.4 cod. proc. civ., per novità del primo motivo e difetto di specificità degli ulteriori motivi, oltre che per essere meramente riproduttivi delle difese di merito, eccezioni scrutinabili unitamente alle singole censure.
Con il primo motivo di ricorso il contribuente prospetta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 112 cod. proc. civ., poiché il giudice d’appello ha rigettato l’appello sulla base di questioni ed eccezioni rilevabili, nonché violazione delle regole del giusto processo con riferimento al ricorso da parte dell’agente della riscossione ad un avvocato del libero foro.
Secondo il ricorrente, in assenza di un provvedimento organizzativo generale unitamente ad una delibera specifica, recante i criteri legittimanti il ricorso ad avvocati privati, e di una specifica e motivata deliberazione dell’ente ad indicare le ragioni per cui non si sia fatto ricorso all’assistenza tecnica dell’Avvocatura dello Stato, il ricorso ad avvocato del libero foro sarebbeve invalido.
Il motivo è affetto da concorrenti profili di inammissibilità e di infondatezza.
3.1. Innanzitutto, la questione è inammissibile perché nuova. Il tema non emerge dalla lettura della sentenza impugnata, il motivo di ricorso non allega né dà evidenza della tempestiva introduzione in primo grado e riproposizione in appello della questione. Infine, a seguito di specifica eccezione sollevata dai controricorrenti, nella memoria illustrativa il ricorrente non prende posizione a riguardo.
3.2. La questione è anche infondata, poiché la Corte di cassazione, a partire dalla sentenza a Sez. U., n. 30008 del 19/11/2019, poi sempre confermata, ad es. da Cass. Sez. 6-1, ordinanza n. 16314 del 10/06/2021, afferma che ai fini della rappresentanza e difesa in giudizio, l’Agenzia delle Entrate -Riscossione, impregiudicata la generale facoltà di avvalersi anche di propri dipendenti delegati davanti al tribunale ed al giudice di pace, può ben avvalersi in primo luogo dell’Avvocatura dello Stato nei casi previsti come riservati ad essa dalla Convenzione intervenuta (fatte salve le ipotesi di conflitto e, ai sensi dell’art. 43, comma 4, r.d. n. 1611 del 1933, di apposita motivata delibera da adottare in casi speciali e da sottoporre all’organo
di vigilanza), oppure ove vengano in rilievo questioni di massima o aventi notevoli riflessi economici. In secondo luogo, può avvalersi di avvocati del libero foro, senza bisogno di formalità, né della delibera prevista dall’art. 43, comma 4, r.d. cit. – nel rispetto degli articoli 4 e 17 del d.lgs. n. 50 del 2016 e dei criteri di cui agli atti di carattere generale adottati ai sensi dell’art. 1, comma 5 del d.l. 193 del 2016, conv. in l. n. 225 del 2016 – in tutti gli altri casi ed in quelli in cui, pure riservati convenzionalmente all’Avvocatura erariale, questa non sia disponibile ad assumere il patrocinio. Quando la scelta tra il patrocinio dell’Avvocatura erariale e quello di un avvocato del libero foro discende dalla riconduzione della fattispecie alle ipotesi previste dalla Convenzione tra l’Agenzia e l’Avvocatura dello Stato o di indisponibilità di questa ad assumere il patrocinio, la costituzione dell’Agenzia a mezzo dell’una o dell’altro postula necessariamente ed implicitamente la sussistenza del relativo presupposto di legge, senza bisogno di allegazione e di prova al riguardo, nemmeno nel giudizio di legittimità.
Quest’ultimo è il caso occorso nella fattispecie, e la censura non coglie nel segno ipotizzando come necessari adempimenti che la legge non prevede per i gradi di merito.
Con il secondo motivo il ricorrente deduce, in rapporto all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 2934 e 2946 cod. civ., d.P.R. n.131/1986, d.P.R. n.602/1973, d.lgs. n.546/92 da parte della sentenza di appello con riferimento alla statuizione circa la prescrizione del credito portato dalla cartelle, erroneamente ritenuta decennale anziché quinquennale. Nel corpo del motivo si fa riferimento anche al termine decadenziale di cui all’art.1 comma 163 della l. n.296/2006 e alla notifica dell’avviso bonario.
Il motivo è affetto da plurimi concorrenti profili di inammissibilità e di infondatezza.
5.1. E’ innanzitutto inammissibile per difetto di specificità, come eccepito in controricorso, in quanto non individua neppure il capo della decisione di appello censurato e ripropone argomentazioni di merito già vagliate dal giudice.
5.2. E’ inoltre inammissibile anche per eterogeneità la questione della decadenza dal termine decadenziale di cui all’art.1 comma 163 della l. n.296/2006 (31 dicembre del terzo anno successivo a quello dell’accertamento definitivo) e quella relativa alla notifica dell’avviso bonario, da ritenersi inesistente secondo il ricorrente e che non avrebbe posto il contribuente a conoscenza della pretesa erariale e inficerebbe pertanto la motivazione dell’atto (v. p.9 del ricorso e p.8 della memoria illustrativa), profili che nulla afferiscono alla prescrizione oggetto della censura sin dalla rubrica, oltre che mera riproposizione di argomentazioni di merito già vagliate in termini conformi in primo e secondo grado.
5.3. In ogni caso, l’unico termine decadenziale operante nel caso è quello dell’art.25 d.P.R. n.602/73, coincidente con il 31 dicembre del terzo anno successivo alla presentazione della dichiarazione, e risulta rispettato.
La questione sulla prescrizione è, del pari, manifestamente infondata. Non v’è dubbio circa il principio, di carattere generale, secondo cui la scadenza del termine perentorio sancito per opporsi o impugnare un atto di riscossione mediante ruolo, o comunque di riscossione coattiva, produce soltanto l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito, ma non anche la cd. conversione del termine di prescrizione breve eventualmente previsto in quello ordinario decennale, ai sensi dell’art. 2953 cod. civ. (Cass. n.11800 del 2018). Tuttavia, la stessa sentenza delle Sezioni Unite, n. 23397/2016 invocata in ricorso, non afferma che a tutti i crediti oggetto di riscossione dev’essere applicato il termine di prescrizione quinquennale, bensì il termine di prescrizione eventualmente previsto dalle specifiche norme.
In mancanza di tale espressa previsione di un termine di prescrizione breve, trova applicazione il termine di prescrizione ordinario, che è decennale. La Corte (cfr. ad es., Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 12740 del 26/06/2020; Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 32308 del 11/12/2019), in termini del tutto condivisibili, ha affermato che in tema di IRPEF, IVA, IRAP ed imposta di registro, il credito erariale per la loro riscossione si prescrive nell’ordinario termine decennale assumendo rilievo, quanto all’imposta di registro, l’espresso disposto di cui all’art. 78 del d.P.R. n. 131 del 1986 e, quanto alle altre imposte dirette, l’assenza di un’espressa previsione, con conseguente applicabilità in via generale dell’art. 2946 cod. civ.. Ha escluso quindi che possa applicarsi l’estinzione per decorso del termine quinquennale prevista dall’art. 2948, comma 1, n. 4, cod. civ. “per tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi”, in quanto l’obbligazione tributaria, pur consistendo in una prestazione a cadenza annuale, ha carattere autonomo ed unitario ed il pagamento non è mai legato ai precedenti, bensì risente di nuove ed autonome valutazione in ordine alla sussistenza dei presupposti impositivi.
Infine, a differenza di quanto prospetta il ricorrente, l’attività di liquidazione della dichiarazione di cui alla cartella di pagamento ex art.54 bis d.P.R. n.633/1972 non richiede affatto la previa notifica di un avviso bonario, né di un avviso di accertamento, non involgendo alcuna attività interpretativa.
La terza censura, ai fini dell’ art.360, comma 1, n.3, cod. proc. civ., relativa al regolamento delle spese di lite, censura la decisione di appello perché nel liquidarle avrebbe indicato somme da pagare in favore dell’Agenzia e dell’agente della riscossione superiori al valore del credito fiscale oggetto della controversia, in violazione del D.M. n.55/2014.
Il motivo è infondato, in quanto il giudice ha esercitato un potere discrezionale di quantificazione dei compensi entro la forbice minima
e massima della tariffa vigente (v. Cass. n.3267/1999 poi sempre confermata) per lo scaglione da 5.200 a 26.000 euro, com’era sua facoltà fare.
8. In conclusione, il ricorso dev’essere rigettato e le spese di lite, liquidate come da dispositivo tenuto conto che l’Agenzia delle Entrate e l’agente della riscossione si sono costituiti con un unico atto, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di lite, liquidate in favore dei controricorrenti in solido in euro 1.400 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Si dà atto del fatto che, ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio dell’8.4.2025