Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 15864 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 15864 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14334/2023 R.G. proposto da :
SERIO NOME COGNOME elettivamente domiciliato in Roma INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (NUMERO_DOCUMENTO) che li rappresenta e difende
-controricorrenti-
nonché
CAMERA DI RAGIONE_SOCIALE ARTIGIANATO DI BASILICATA
-intimato-
Avverso la SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della BASILICATA n. 505/2022 depositata il 20/12/2022. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26/03/2025
dalla Consigliera NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Commissione tributaria regionale della Basilicata ( hinc: CTR), con sentenza n. 505/2022 depositata in data 20/12/2022, ha dichiarato cessata la materia del contendere in ordine ai diritti camerali portati dalle cartelle oggetto dell’atto d’intimazione impugnato, nonché alla cartella indicata come 63000, rigettando, per il resto, l’appello proposto dal sig. COGNOME COGNOME COGNOME contro la sentenza n. 59/2021 con la quale la Commissione tributaria provinciale di Matera, che aveva, a sua volta, rigettato il ricorso proposto dal contribuente.
La CTR ha ritenuto l’appello manifestamente infondato per i seguenti motivi:
insussistenza dei vizi di notifica delle cartelle denunciati dal contribuente: anche se alcune cartelle sono state notificate a mezzo del servizio postale, con consegna a mani della moglie, per il perfezionamento della notificazione è sufficiente una raccomandata semplice di informazione dell’avvenuta notifica. Le nullità o irregolarità denunciate dal contribuente sono comunque tardive e sanate dalle successive intimazioni, che hanno effetto interruttivo e sono state notificate nel 2013, 2015, 2017 e 2018. La CTR fa, poi,
un riferimento a un pignoramento presso terzi e a una comunicazione di iscrizione ipotecaria;
-inammissibilità della censura relativa all’irregolarità dell’intimazione notificata da un indirizzo pec non ufficiale, perché non dedotta con il ricorso introduttivo;
infondatezza della censura relativa alla prescrizione: la sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte (n. 23379 del 2016) è evocata non correttamente dal contribuente, sia perché riguarda i contributi INPS, sia perché conferma che la prescrizione breve si applica solo se prevista dalla legge. Diversamente, per i tributi erariali, una volta divenuto definitivo l’atto impositivo, la prescrizione è quella ordinaria decennale (Cass., n. 32308 del 2019).
2.1. La CTR ha poi rilevato che per i diritti camerali risultava avvenuto il pagamento, con la conseguente declaratoria della cessazione della materia del contendere e che, con riferimento alle spese di lite, il dispositivo della sentenza di primo grado doveva essere rettificato, dal momento che, disponendo la condanna in favore degli uffici resistenti per l’importo di Euro 2.700,00 cadauno, avrebbe potuto ingenerare degli equivoci, considerata la mancata costituzione della Camera di commercio. Inoltre, a fronte del pagamento dei diritti camerali da parte del contribuente, anche la condanna alle spese avrebbe dovuto essere ridimensionata e limitata ai debiti erariali. Diversamente, non è stata ritenuta corretta la tesi del contribuente che esclude la condanna alle spese nell’ipotesi in cui l’amministrazione sia rappresentata e difesa dai propri funzionari, poiché contrastante con l’art. 9 , comma 2 sexies, d.lgs. n. 156 del 2015.
2.2. Infine, con riferimento alla cartella n. 63000 la CTR ha ritenuto che dovesse essere dichiarata la cessazione della materia del
contendere, dal momento che il relativo credito è da ritenersi estinto ex art. 4 d.l. n. 41 del 2021.
Contro la sentenza della CTR il ricorrente ha proposto ricorso in cassazione con cinque motivi.
L’Agenzia delle Entrate e l’Agenzia delle Entrate -Riscossione hanno resistito con controricorso.
…
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo è stata denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 2948, n. 4 c.c. (art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c.) Errata valutazione degli atti interruttivi della prescrizione -Errata interpretazione della giurisprudenza di legittimità.
1.1. Il ricorrent e censura l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata secondo cui « …le denunciate nullità o irregolarità sono tardive e comunque sanate dalle successive intimazioni, che hanno anche effetto interruttivo; una del 2013 – altra ancora del 2015 e del 2017 e del 2018. Pignoramento presso terzi e comunicazione di iscrizione ipotecaria», evidenziando che l’iscrizione ipotecaria ex art. 77 d.P.R. n. 602 del 1973 -diversamente dal pignoramento – non costituisce atto idoneo a interrompere la prescrizione delle cartelle cui si riferisce, trattandosi non di atto espropriativo, ma bensì cautelare. Evidenzia, poi, a pag. 5 del ricorso in cassazione: « Nel caso di specie, prendendo ad esempio una delle cartelle oggetto di ricorso, ovvero la n. NUMERO_CARTA (tributo IRAP 2004), asseritamente notificata a mani di familiare convivente (secondo quanto dichiarato dall’agenzia delle entrate -riscossione) il 15.11.2007, sarebbe stata asseritamente rinotificata con l’intimazione di pagamento n. NUMERO_CARTA il 29.5.2013, ovvero SEI ANNI DOPO, per cui appare evidente la maturazione della prescrizione. »
1.2. Il ricorrente rileva, inoltre, che le cartelle sono comunque prescritte, essendo decorso il termine quinquennale, richiamando Cass., n. 14244 del 2021.
1.3. Inoltre, con riferimento alla pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte (Cass., Sez. U, n. 23397 del 2016), il ricorrente ha evidenziato di aver sostenuto, in entrambi i gradi di giudizio, che la cartella non opposta non converte il termine di prescrizione da quinquennale in decennale, ma bensì segue la prescrizione portata dal credito originario.
1.4. Il motivo -oltre a presentare una commistione con alcuni profili inerenti al termine di prescrizione (e non all’idoneità dell’atto interruttivo) trattati con il secondo motivo – è inammissibile, sotto plurimi profili, a partire dal tentativo di veicolare, attraverso la censura della violazione di legge, una rivalutazione, in fatto, sulla corretta esecuzione delle notificazioni, ritenuta dal giudice di merito. 1.5. Il motivo è, inoltre, carente, in punto di specificità, dal momento che, l’affermazione del ricorrente su ll’inidoneità dell’atto di iscrizione ipotecaria a interrompere la prescrizione è priva di riferimenti a singole cartelle e ai relativi crediti erariali. Peraltro, la controricorrente, a pag. 6 del controricorso, ha trascritto l’atto de quo , evidenziando che non si tratta di un atto di iscrizione di ipoteca, ma piuttosto di un preavviso di iscrizione ipotecaria ex art. 77, comma 2bis , d.P.R. n. 602 del 1973, atto idoneo a interrompere la prescrizione, considerato che si tratta di una comunicazione diretta non solo a consentire al debitore di presentare osservazioni per evitare l’adozione del provvedimento finale (l’iscrizione), ma avente (anche) una chiara finalità extraprocedimentale e compulsoria di spingerlo all’adempimento (Cass., 21/09/2021, n. 25600).
1.6. Parimenti, il riferimento alla cartella relativa al tributo IRAP notificata il 15/11/2007, seguita dalla notificazione dell’atto di intimazione del 29/05/2013, da ritenere tardiva, secondo il ricorrente contrasta non solo con quanto affermato da questa Corte in materia di IRAP (Cass., 26/06/2020, n. 12740; v. anche Cass., 17/12/2019, n. 33266; Cass., 12/11/2010, n. 22977; Cass., 09/02/2007, n. 2941), ma anche con quanto affermato dalla stessa parte ricorrente nell’illustrazione del secondo motivo di ri corso. Inoltre, la cartella n. NUMERO_CARTA trova corrispondenza con quella indicata al punto 7) della sentenza impugnata come …. 630000 e interessata dalla declaratoria della cessazione della materia del contendere.
Con il secondo motivo è stato denunciato l’ omesso esame circa un fatto decisivo della controversia Omessa applicazione dell’istituto della prescrizione alle sanzioni ed interessi (art. 360, co. 1, n. 5 c.p.c.).
2.1. Il ricorrente ha evidenziato che i giudici di seconde cure hanno omesso di pronunciarsi in ordine alla prescrizione degli interessi che matura nel termine di cinque anni.
Rileva, quindi, che: « Nel caso di specie, prendendo ad esempio una delle cartelle oggetto di ricorso, ovvero la n. NUMERO_CARTA (tributo IRAP 2004), asseritamente notificata a mani di familiare convivente (secondo quanto dichiarato dall’agenzia delle entrate -riscossione) il 15.11.2007, sarebbe stata asseritamente rinotificata con l’intimazione di pagamento n. NUMERO_CARTA il 29.5.2013, ovvero SEI ANNI DOPO, per cui appare evidente la maturazione della prescrizione del tributo, ma anche delle sanzioni e degli interessi.
I crediti di imposta sono pertanto, in via generale, soggetti alla prescrizione ordinaria decennale, ex art. 2946 cod. civ., a meno che
la legge disponga diversamente (come, ad esempio, l’art. 3, comma 9, legge n. 335 del 1995, per i contributi previdenziali) e, in particolare che i crediti IRPEF, IVA e IRAP, nonché imposta di registro sono soggetti alla prescrizione decennale, non producendosi alcuna riduzione dell’ord inario termine di prescrizione proprio del credito solo per il fatto della iscrizione a ruolo e emissione della cartella (Cass. 9906/2018; 19969/2019; Cass. 12740/2020). Sono invece soggette alla prescrizione quinquennale le sanzioni, ai sensi dell’art. 20 D.lgs. 472/1997 (Cass. 5577/2019) che, peraltro, non si applicano agli eredi secondo quanto dispone l’art. 8 del d.lgs. n. 472 del 1997 (Cass. 19988/2019). Per quanto attiene agli interessi, quest’ultima obbligazione è acces soria a quella per sorte capitale e suscettibile di autonome vicende, sicché il credito relativo a tali accessori rimane sottoposto al proprio termine di prescrizione quinquennale come fissato dall’art. 2948 c.c. n. 4 decorrente dalla data in cui il credito principale è divenuto esigibile (Cass. 30901/2019). »
2.3. Il motivo è, inammissibile, sia perché la censura ex art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. non evoca un fatto storico-naturalistico (Cass., 06/09/2019, n. 22397), sia per difetto di specificità, dal momento che il ricorrente non indica quali siano gli interessi portati dalle singole cartelle e quali siano le sanzioni.
Inoltre, se è vero che per le sanzioni e gli interessi non viene in rilievo la regola generale dell’art. 2946 c.c., ma le disposizioni speciali contenute negli artt. 20, comma 3, d.lgs. n. 472 del 1997 e 2948, n. 4, c.c., è altrettanto vero che la giurisprudenza di questa Corte distingue, a seconda che la cartella esattoriale riguardi crediti per sanzioni (o interessi) non fondata su una sentenza passata in giudicato (dove il termine di prescrizione entro il quale va fatta valere l’obbligazione tributaria per sanzioni è quello quinquennale, così
come previsto dall’art. 20, comma 3, del d.lgs. n. 472 del 1997, v. Cass., 08/03/2022, n. 7486; Cass., 22/07/ 2011, n. 16099) dall’ipotesi in cui i l diritto alla riscossione delle sanzioni amministrative pecuniarie e agli interessi sia sorto a seguito del ritardo nel pagamento dell’imposta principale derivante da una cartella di pagamento emessa dopo il passaggio in giudicato della sentenza di conferma dell’atto impositivo (dove il credito si prescrive entro il termine di dieci anni, trovando diretta applicazione l’art. 2953 c.c., che disciplina, in via generale, la cosiddetta actio iudicati , v. Cass. 09/04/2024, n. 9431).
Nel caso in esame il contribuente, nell’evocare il termine quinquennale di prescrizione per le sanzioni e gli interessi, oltre a non precisare se e in quali cartelle contenute nell’atto di intimazione siano state indicate tali voci, non precisa neppure se il titolo esecutivo sia l’esito o meno di un accertamento contenuto in una sentenza passata in giudicato.
Con il terzo motivo è stata denunciata la violazione o falsa applicazione di norme di diritto (art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c.) -Errata valutazione dei vizi della notifica e propri della cartella -mancato deposito cartolina di avvenuta notifica (CAN) .
3.1. Con tale motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata, nella parte in cui afferma che: « …anche se talune cartelle sono state notificate, mediante il servizio postale con consegna a mani della moglie, come ha stabilito cass. 20736 del 2021, per il perfezionamento della notificazione è sufficiente una raccomandata semplice di informazione della notifica… »
La CTR, nonostante la mancata produzione delle raccomandate informative (non depositate dall’agente della riscossione), ha ritenuto, tuttavia, corrette le notificazioni eseguite.
A pag. 8 del ricorso in cassazione il ricorrente afferma che: « Invero, dalle relate di notifica relative alle cartelle n. NUMERO_CARTA, n. NUMERO_CARTA, n. NUMERO_CARTA e n. NUMERO_CARTA si evince chiaramente come il processo notificatorio non si sia perfezionato correttamente, poiché l’agenzia delle entrate -riscossione non ha depositato la cartolina di avvenuta notifica (CAN) necessaria quando viene effettuata a mani di persona diversa dal destinatario.»
Il ricorrente ha, quindi, richiamato la giurisprudenza di questa Corte (Cass., 03/02/2017, n. 2868; Cass., 17235 del 2018 e Cass., n. 8700 del 2020), rilevando che il difetto di notifica non può essere superato.
3.2. Il motivo -da ritenere limitato, sotto il profilo della specificità alle cartelle richiamate espressamente a pag. 8 del ricorso e riportate supra, sub 3.1. – è inammissibile per carenza di interesse con riferimento alla cartella n. NUMERO_CARTA trattandosi della cartella interessata dalla dichiarazione di cessazione della materia del contendere indicata al punto 7) della sentenza impugnata. Il motivo è da ritenere inammissibile anche con riferimento alle altre tre cartelle menzionate: sia perché sottende una richiesta di rivalutazione in fatto, sia perché sottende un vizio di natura revocatoria. Sul punto le Sezioni Unite di questa Corte hanno, infatti, recentemente precisato che il travisamento del contenuto oggettivo della prova – che ricorre in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé e non di verifica logica della riconducibilità dell’informazione probatoria al fatto probatorio -trova il suo istituzionale rimedio nell’impugnazione per revocazione per errore di fatto, laddove ricorrano i presupposti richiesti dall’art. 395, n. 4, c.p.c., mentre – se il fatto probatorio ha costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare e, cioè, se il
travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti – il vizio va fatto valere ai sensi dell’art. 360, n. 4, o n. 5, c.p.c., a seconda che si tratti di fatto processuale o sostanziale (Cass., Sez. U, 05/03/2024, n. 5792).
Con il quarto motivo è stata denunciata la violazione o falsa applicazione di norme di diritto (art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c.) -Errata interpretazione della normativa relativa alla notifica a mezzo pec -nullità della notifica rilevabile d’ufficio .
4.1. Con tale motivo viene censurata l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui « infondata è anche la censura in ordine alla irregolare notifica dell’intimazione effettuata da un indirizzo pec non ufficiale. Motivo inammissibile perché non dedotto con il ricorso introduttivo. E comunque la circostanza che il contribuente si sia difesa sana qualsiasi irregolarità» .
4.2. Ad avviso del ricorrente tale nullità non è sanabile neppure con la costituzione in giudizio del contribuente ed è rilevabile d’ufficio. Nel caso in esame la notifica è stata fatta da un indirizzo pec non inserito nei pubblici registri. A tal fine richiama a pag. 12 del ricorso in cassazione le argomentazioni contenute nella sentenza della Commissione tributaria provinciale di Napoli n. 5911/2022, depositata in data 01/06/2022.
4.3. Il motivo è infondato, dovendo essere data continuità all’orientamento di questa Corte, secondo cui tema di notificazione a mezzo PEC della cartella esattoriale, da parte dell’agente della riscossione, l’estraneità dell’indirizzo del mittente dal registro INIPec non inficia “ex se” la presunzione di riferibilità della notifica al soggetto da cui essa risulta provenire, testualmente ricavabile dall’indirizzo del mittente, occorrendo invece che la parte contribuente evidenzi quali pregiudizi sostanziali al diritto di difesa siano dipesi dalla ricezione della notifica
della cartella di pagamento da un indirizzo diverso da quello telematico presente in tale registro (Cass., 03/07/2023, n. 18684).
Con il quinto motivo di ricorso è stata denunciata la violazione o falsa applicazione di norme di diritto sulla condanna alle spese del ricorrente soccombente, violazione dell’art. 111 della Costituzione (art. 360, co. 1 n. 3 c.p.c.) .
5.1. La ricorrente evidenzia che la CTR, pur rigettando parzialmente l’appello, abbia liquidato le spese di lite, rideterminando le spese relative al primo grado di giudizio in Euro 800,00 sia per l’Agenzia delle Entrate che per l’agente della riscossione e in Euro 1.000 le spese di secondo grado.
La ricorrente censura, a questo punto, la decisione del giudice di seconde cure per non aver disposto la compensazione delle spese di lite. Rileva, quindi, che l’appello è stato accolto, in parte qua, con la pronuncia della cessazione della materia del contendere con riferimento ai diritti camerali, già saldati dal contribuente e con la rideterminazione delle spese di lite liquidate in modo eccessivo da parte dei giudici di prime cure, anche a favore di parti non costituite, come la Camera di commercio.
5.2. Infine, la parte ricorrente censura la decisione di condanna al pagamento delle spese di lite, nonostante l’amministrazione si fosse costituita, in entrambi i gradi di giudizio con i suoi funzionari.
5.3. Il motivo di articola in una duplice contestazione incentrata, per un verso, sulla mancata compensazione delle spese di lite, nonostante l’accoglimento dell’appello per la parte inerente ai diritti camerali e la considerazione dell’ammontare eccessivo delle spese liquidate in primo grado e, per altro verso, nella questione relativa alla possibilità di liquidare le spese di lite in favore dell’amministrazione che si sia costituita in giudizio con i propri funzionari.
5.4. Partendo dalla prima parte della censura svolta dalla parte ricorrente con il quinto motivo, la CTR ha ritenuto, da un lato, di rettificare il dispositivo per evitare equivoci (in relazione alla mancata costituzione della Camera di commercio) e, dall’altro lato di ridimensionare e limitare la condanna delle spese di lite all’ammontare dei debiti erariali. Non solo: al punto 7) della sentenza impugnata -in corrispondenza della dichiarazione di cessazione della materia del contendere con riferimento alla cartella indicata come … 63000 la CTR fa riferimento all’estinzione del debito ex art. 4 d.l. n. 41 del 2021, facendo riferimento alla compensazione di cui è stato tenuto conto nella liquidazione delle spese di lite.
5.5. Ciò premesso in ordine alla prima parte della censura articolata con il quinto motivo di ricorso si possono fare due considerazioni.
La prima attiene a un evidente profilo di inammissibilità del ricorso per non essersi confrontato con la motivazione del giudice di seconde cure in ordine alla liquidazione delle spese di lite.
La seconda considerazione è che, se è vero che la fondatezza della censura del ricorrente sui diritti camerali ritenuta dalla CTR è astrattamente idonea a determinare una situazione configurabile in termini di soccombenza reciproca -che secondo le Sezioni Unite di questa Corte ricorre esclusivamente in presenza di una pluralità di domande contrapposte formulate nel medesimo processo tra le stesse parti o in caso di parziale accoglimento di un’unica domanda articolata in più capi (Cass., Sez. U, 31/10/2022, n. 32061) -è altrettanto vero che tale ipotesi (che nel caso di specie consegue a una rideterminazione del credito erariale in ragione della parziale estinzione della parte corrispondente ai diritti camerali) non determina, automaticamente, la compensazione integrale delle spese di lite ev ocata dalla parte ricorrente nell’articolazione del motivo di ricorso (v. quanto riportato a pag. 14 dove si legge che: «
A questo punto ci si chiede: se questa pronuncia trae origine dalle eccezioni mosse con l’atto di appello, per cui, se è parzialmente accolto, solo in seguito alle contestazioni dell’appellante, come mai i Giudici di secondo grado non hanno provveduto alla compensazione delle spese del grado di giudizio? »), non solo perché ne è possibile (anche) la compensazione parziale (affatto evocata dalla parte ricorrente), ma soprattutto perché l’art. 92, comma 2, c.p.c. riconosce al giudice, in caso di soccombenza reciproca, la facoltà (e non l’obbligo) di compensare, parzialmente o per intero, le spese di lite, sulla base di una valutazione sottratta al sindacato di legittimità. Difatti, secondo questa Corte la valutazione delle proporzioni della soccombenza reciproca e la determinazione delle quote in cui le spese processuali debbono ripartirsi o compensarsi tra le parti, ai sensi dell’art. 92, comma 2, c.p.c., rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, che resta sottratto al sindacato di legittimità, non essendo egli tenuto a rispettare un’esatta proporzionalità fra la domanda accolta e la misura delle spese poste a carico del soccombente (Cass., 20/12/2017, n. 30592).
5.5. Anche la seconda censura articolata con il quinto motivo di ricorso è infondata, dovendosi dare continuità all’orientamento di questa Corte, secondo il quale, nel processo tributario, all’amministrazione finanziaria che sia stata assistita in giudizio da propri funzionari o da propri dipendenti, in caso di vittoria della lite, spetta la liquidazione delle spese, la quale deve essere effettuata mediante applicazione della tariffa ovvero dei parametri vigenti per gli avvocati, con la riduzione del venti per cento dei compensi ad essi spettanti, atteso che l’espresso riferimento ai compensi per l’attività difensiva svolta, ora contenuto nell’art. 15, comma 2-bis, del d.lgs. n. 546 del 1992, ma comunque da sempre previsto da detto articolo,
conferma il diritto dell’ente alla rifusione dei costi sostenuti e dei compensi per l’assistenza tecnica fornita dai propri dipendenti che siano legittimati a svolgere attività difensiva nel processo (Cass., 10/01/2024, n. 1019).
Alla luce di quanto sin qui evidenziato il ricorso è infondato e deve essere rigettato, con la condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore della parte controricorrente.
…
P.Q.M.
rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.400,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo un ificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 26/03/2025.