Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 18385 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 18385 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 06/07/2025
Intimazione di pagamento Notificazione -Prescrizione.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20187/2020 R.G. proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME in forza di procura allegata al ricorso, elettivamente domiciliato in Roma alla INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore p.t., e RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore p.t., domiciliate in Roma alla INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato dalla quale sono difese;
– controricorrenti – per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio n. 6658/2019, depositata in data 29/11/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/03/2025 dal relatore consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Commissione tributaria regionale (CTR) del Lazio accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate contro la sentenza della Commissione tributaria provinciale (CTP) di Roma che aveva accolto il ricorso proposto da NOME COGNOME contro l’intimazione di pagamento n. 097 2017 9001719629 000 in tema di Irpef anni di imposta 2007 e 2008.
I giudici del gravame, premessa l’ammissibilità della produzione documentale dell’ufficio in appello, riteneva no non necessaria la produzione in giudizio della prodromica cartella al fine di dimostrarne la rituale notifica; che la relata di notifica faceva fede fino a querela di falso e che nel caso di specie essa attestava la consegna della cartella a mani della moglie del contribuente ai sensi dell’art. 139 c.p.c., con palese irrilevanza della questione di legittimità costituzionale del l’art. 26 d.P.R. n. 602 del 1973 che non aveva trovato applicazione nel caso di specie.
Contro tale sentenza NOME COGNOME propone ricorso per cassazione in base a cinque motivi, illustrati da successiva memoria.
Le Agenzie fiscali resistono con controricorso.
Il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 21 marzo 2025.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2719 c.c., 60 d.P.R. n. 600 del 1973 e 26, comma 4, d.P.R. n. 602 del 1973; lamenta che abbia errato la CTR nel non ritenere necessaria la produzione dell’originale della relata di notifica, alla luce dell’interve nuto disconoscimento della fotocopia.
1.1. Il motivo è inammissibile, mancando di confrontarsi con la ratio decidendi.
La CTR, infatti, in relazione alla relata di notifica della cartella prodromica alla intimazione opposta, ha evidenziato preliminarmente che «non avendo il COGNOME azionato la necessaria querela di falso, quanto attestato nella relata fa fede in maniera piena e incontrovertibile».
Tale statuizione è l’oggetto del primo motivo, espressamente individuata come tale all’inizio del medesimo; il motivo verte però esclusivamente sulla, diversa, questione delle conseguenze del disconoscimento delle copie fotostatiche rispetto all’originale, e sul conseguente mancato adempimento dell’onere dell’amministrazione di produrre gli originali in giudizio; trattasi quindi di un motivo che non si confronta con la statuizione censurata.
In secondo luogo, va comunque osservato che la contestazione della conformità all’originale di un documento prodotto in copia non può avvenire con clausole di stile e generiche o onnicomprensive, ma va operata -a pena di inefficacia -in modo chiaro e circostanziato, attraverso l’indicazione specifica sia del documento che si intende contestare, sia degli aspetti per i quali si assume differisca (Cass. 30/10/2018, n. 27633; Cass. 25/05/2021, n. 14279), laddove la contestazione espressa in appello, per come riprodotta a pagina 3 del ricorso, è del tutto generica.
Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 60 d.P.R. n. 600 del 1973 , censurando la decisione della CTR laddove ha ritenuto non necessaria la produzione della cartella al fine di provare la rituale notificazione della medesima.
Con il terzo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 26, comma 5, d.P.R. n. 602 del 1973 che prevede che l’agente della riscossione abbia l’ obbligo di conservazione della cartella e della prova della notifica per cinque anni, disposizione che però non incide sugli oneri probatori in giudizio.
2.1. I motivi, da esaminare congiuntamente, sono infondati.
Se è vero che l’art. 26, comma 5, d.P.R. n. 602/1973 non incide sugli oneri probatori (Cass. 8/04/2016, n. 6887), questo tema non è presente nella decisione della CTR né la parte indica se e dove abbia fatto valere questa doglianza.
In secondo luogo, e comunque, un consolidato orientamento di questa Corte afferma che in tema di notifica della cartella esattoriale ai sensi dell’art. 26 del d.P.R. n. 602 del 1973, ai fini della prova del perfezionamento del procedimento notificatorio non è necessaria la produzione in giudizio dell’originale o della copia autentica della cartella, essendo invece sufficiente la produzione della matrice o della copia della cartella con la relazione di notifica (Cass. 12/04/2022, n. 11826; Cass. 21/07/2021, n. 20769; Cass. 14/06/2019, n. 16121; Cass. 28/12/2018, n. 33563; Cass. 11/11/2016, n. 23039).
Tale obbligo, in particolare, non discende dal richiamato art. 26, comma 4, del d.P.R. n. 602 del 1973, che peraltro prevede, a fini amministrativi, la conservazione di copia della cartella in alternativa alla «matrice» (la quale – come chiarito da Cass. 13/05/2024, n. 10326 – è l’unico documento che resta nella disponibilità del concessionario per la riscossione nel caso in cui opti per la notificazione della cartella di pagamento nelle forme ordinarie o comunque con messo notificatore anziché con raccomandata con avviso di ricevimento).
Con il quarto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., il ricorrente deduce omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti e mancata pronuncia sulla invocata prescrizione delle pretese erariali.
3.1. Occorre premettere che, se in rubrica il ricorrente indica il paradigma dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., nel corpo del motivo deduce una nullità della sentenza per motivazione apparente, facendo riferimento anche alla giurisprudenza di questa Corte sul tema.
Qualificato il motivo quindi in tali termini (l ‘ indicazione della disposizione contenuta nella rubrica non è infatti vincolante: Cass. 30/03/2007, n.7981; Cass. 13/04/2012, n. 5848), esso è ammissibile, riportando e localizzando la proposizione dell’eccezione di prescrizione in primo grado e la sua riproposizione in appello.
Il motivo è fondato
Deve preliminarmente evidenziarsi che di recente questa Corte ha affermato il principio in forza del quale, in tema di contenzioso tributario, l’intimazione di pagamento di cui all’art. 50 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 del 1973, in quanto equiparabile a ll’avviso di mora di cui al precedente art. 46 d.P.R. cit., è impugnabile autonomamente ai sensi dell’art. 19, comma 1, lett. e), d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, sicché la sua impugnazione non è meramente facoltativa, ma necessaria, pena la cristallizzazio ne dell’obbligazione, con la conseguenza che l’eccezione di prescrizione maturata successivamente alla notifica della cartella deve essere fatta valere in tale sede (Cass. 11/03/2025, n. 6436).
Ciò premesso, la CTR, pur dando atto della questione di prescrizione in appello, non ha fornito alcuna motivazione all’accoglimento dell’appello erariale; occorre infatti osservare che l’eccezione era formulata, come riportato dall’odierno ricorrente, anche per l’ipotesi di valida notifica della cartella nel 2 005, a fronte della
notifica nel 2017 della intimazione, e la presenza degli atti interruttivi indicati dalla difesa erariale richiede accertamenti in fatto non eseguibili in questa sede.
Con il quinto motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2948 c.c. in tema di prescrizione del credito erariale portato in riscossione con la cartella impugnata.
4.1. Il motivo è infondato.
Cass., Sez. U., 17/11/2016, n. 23397 ha affermato un principio di ampia portata, chiarendo che il termine di prescrizione del credito di cui alla cartella di pagamento che non venga impugnata nei termini di legge e che, pertanto, è divenuta definitiva, non è sempre quello decennale, di cui all’art. 2953 c.c., ma resta quello proprio del tributo o della sanzione in essa pretesa, per cui, la prescrizione segue il suo normale corso che dipende dalla natura del credito e dalla espressa previsione legislativa. Ha altresì specificato che, in base all’art. 2946 c.c., la prescrizione ordinaria dei diritti è decennale a meno che non sia la legge a disporre diversamente (come nel caso specifico esaminato dalle Sezioni Unite dei contributi previdenziali che, ai sensi dell’art. 3, comma 9, della l. n. 335 del 1995, hanno una prescrizione quinquennale).
Ciò premesso, costituisce giurisprudenza del tutto consolidata di questa Corte che il diritto alla riscossione dei tributi erariali (IRPEF, IRES, IRAP ed IVA), in mancanza di un’espressa disposizione di legge, si prescrive nel termine ordinario di dieci anni e non nel più breve termine quinquennale, non costituendo detti crediti erariali prestazioni periodiche, ma dovendo la sussistenza dei relativi presupposti valutarsi in relazione a ciascun anno d’imposta (Cass. 7/10/2022, n. 29340; Cass. 21/10/2021, n. 29447; Cass. 19/07/2021, n. 20638; Cass. 03/11/2020 n . 24278; Cass. 15/10/2020, n. 22350; Cass. 26/06/2020
n. 12740; Cass. 17/12/2019, n. 33266; Cass. 11/12/2019 n. 32308; Cass. 5/11/2019, n. 28315; Cass. 2/10/2019, n. 24588; Cass. 3/05/2019, n. 11760; Cass. 16/07/2018, n. 18804; Cass. 10/12/2014, n. 26013; Cass. 14/11/2014, n. 24322; Cass. 23/02/2010, n. 4283; Cass. 9/02/2007, n. 2941).
Ancora recentemente si è affermato che il credito erariale per la riscossione di IRPEF, IRAP, IVA e canone RAI si prescrive nell’ordinario termine decennale, attesa la mancata previsione di un termine più breve, in deroga a quello di cui all’art. 2946 c.c., mentre non opera l’estinzione quinquennale ex art. 2948, primo comma, n. 4, c.c. in quanto l’obbligazione tributaria, pur consistendo in una prestazione annuale, ha carattere autonomo ed unitario, cosicché il singolo pagamento non è mai legato ai precedenti, ma risente di nuove ed autonome valutazioni circa la sussistenza dei presupposti impositivi (Cass. 29/11/2023, n . 33213).
Concludendo, va accolto il quarto motivo del ricorso, rigettati gli altri; la sentenza va cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, cui si demanda di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il quarto motivo del ricorso, rigettati gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia per nuovo esame alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, cui demanda di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 21 marzo 2025.