Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 33825 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 33825 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 20560/2022 proposto da:
Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, nella persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO
–
ricorrente –
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo Studio dell ‘A vv. NOME COGNOME (PEC: EMAIL) che lo rappresenta e difende in virtù di procura in calce al controricorso.
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del LAZIO, n. 2959/11/2022, depositata in data 22 giugno 2022 e notificata in data 22 giugno 2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21 novembre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE
La Commissione tributaria regionale ha rigettato l’appello proposto dall’Agenzia delle Dogane nei confronti della sentenza di primo grado che aveva accolto il ricorso presentato da COGNOME NOME, avente ad oggetto l’avviso di pagamento n. 290/2019 , dell’importo di euro 75.236,70, conseguente al verbale di contestazione del 15 maggio 2019 relativo alla sottrazione di prodotto energetico al pagamento dell’accisa mediante forniture fittizie e trasporti irregolari di gasolio agevolato.
I giudici di secondo grado hanno ritenuto che il termine di prescrizione quinquennale non fosse stato interrotto in data 23 aprile 2013 dalla presentazione all’Autorità giudiziaria della notizia di reato, in quanto l’art. 15 del decreto legislativo n. 504 del 1995, applicabile ratione temporis , disponeva che la prescrizione del credito era interrotta quando veniva esercitata l’azione penale e che, in tal caso, il termine di prescrizione decorreva dal passaggio in giudicato della sentenza che definiva il giudizio penale.
L ‘Agenzia delle Dogane ha p roposto ricorso per cassazione con atto affidato a due motivi.
COGNOME NOME resiste con controricorso e memoria.
CONSIDERATO CHE
Il primo mezzo deduce , in relazione all’ art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 4 ter , comma 1, lett. c), del decreto legge n. 193 del 2016, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 225 del 2016, che ha sostituito, a fare tempo dal 3 dicembre
2016, l’art. 15 del T.U.A.. Diversamente da quanto sostenuto dai giudici di secondo grado, il termine di prescrizione era decennale là dove la violazione commessa comportava l’obbligo di denuncia all’Autorità Giudiziaria in applicazione della norma richiamata , dei principi generali dettati in materia di successione delle leggi nel tempo e in assenza di norme transitorie. Ed invero, alla data di entrata in vigore del novellato art. 15 TUA (3 dicembre 2016) i fatti accaduti nel 2012 non erano ancora prescritti, dunque l’Ufficio aveva agito nei termini consentiti documentando in giudizio la presentazione della notizia di reato prot. n. 17956 del 23 aprile 2013 ed integrazione della stessa.
Il secondo motivo deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 50, 330, 331 e ss. cod. proc. pen. e dell’art. 15 TUA, in quanto ai fini dell’aumento a dieci anni del termine prescrizionale per il recupero di accise non versate quando tale condotta costituiva ipotesi di reato era sufficiente l’invio della notizia di reato all’autorità giudiziaria e non anche l’effettivo esercizio dell’azione penale. Il procedimento penale era stato avviato attraverso la presentazione della notitia criminis e il legislatore aveva voluto introdurre una causa idonea a differire, in presenta di un fatto che astrattamente integrava una fattispecie di reato, l’inizio della decorrenza di un nuovo termine prescrizionale.
2.1 I motivi, che devono essere trattati unitariamente in quanto connessi, sono infondati.
2.2 Come si legge alle pagine 2 e 3 del ricorso per cassazione, l’Ufficio delle Dogane di Roma aveva posto in essere un’attività di accertamento nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE titolare di un impianto di commercializzazione all’ingrosso di vari prodotti petroliferi, gestito in regime di deposito fis cale, all’esito della quale erano emerse delle sottrazioni al pagamento delle imposte dovute di prodotto petrolifero agevolato, sia ai fini Iva, che ai fini accise, oltre che alcune irregolarità
nell’immissione in consumo del prodotto energetico in parziale evasione d’imposta. In particolare, l’Ufficio, con accesso eseguito presso la sede della società, aveva preso in esame 14 operazioni sospette di trasporto e di consegna del prodotto energetico, agevolato e non agevolato , effettuate con l’emissione da parte della società RAGIONE_SOCIALE dei documenti di scorta e delle relative fatture; la merce era stata trasportata, in regime di accisa assolta, con documento DAS (documento di accompagnamento semplificato previsto per la circolazione intracomunitaria dei prodotti energetici già immessi in consumo), dal deposito della società verso i diversi destinatari ; l’Ufficio aveva accertato la sussistenza di gravi indizi sulla regolarità dei trasporti e delle vendite di prodotti energetici agevolati, che godevano di aliquota di accisa e/o iva ridotta e, in particolare, che i documenti di trasporto risultavano incongruenti con le registrazioni dei cronotachigrafi dei mezzi utilizzati, con gli orari di partenza e di arrivo e con le registrazioni dei passaggi dei varchi autostradali Telepass, con la conseguenza che la destinazione del prodotto energetico agevolato era stato finalizzata, attraverso la predisposizione fittizia dei documenti attestanti lo svolgimento di trasporti di prodotto energetico, ad impieghi diversi da quelli ammessi ad agevolazione. Inoltre, dopo i fatti in contestazione, avvenuti nel 2012, era stato avviato un procedimento penale con assunzione della notizia di reato prot. n. 17956 del 23 aprile 2013 (così anche i giudici di secondo grado che richiamano a pag. 2 della sentenza impugnata la produzione in giudizio di copia della notizia di reato datata 23 aprile 2013) e successiva integrazione prot. n. 670 del 9 ottobre 2015 (cfr. pag. 3 del ricorso per cassazione). Infine, il suddetto procedimento penale si era concluso con la richiesta di archiviazione proposta dal P.M. e accolta dal GIP (che era stata prodotta nel giudizio di secondo grado).
2.3 Tanto premesso, la questione giuridica che viene in rilievo nel caso in esame è se il credito d’imposta oggetto dell’avviso di pagamento n.
290, notificato in data 27 novembre 2019, fosse o meno prescritto, dovendosi affermare che la fattispecie in esame, poiché i fatti sono accaduti nel 2012, è regolata dall’art. 15 del decreto legislativo n. 504 del 1995, nel testo precedente alla modifica di cui all’art. 4 ter , comma 1, lett. c), del decreto legge n. 193 del 2016, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 225 del 2016, entrato in vigore in data 3 dicembre 2016, che, nella nuova formulazione, dispone al primo comma che « Il credito dell’Amministrazione finanziaria per l’accisa si prescrive in cinque anni e, limitatamente ai tabacchi, in dieci anni » e al terzo comma che: « La prescrizione del credito d’imposta è interrotta quando viene esercitata l’azione penale; in questo caso il termine di prescrizione decorre dal passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio penale ».
2.4 Al riguardo è appena il caso di precisare che le modifiche apportate al citato art. 15 TUA dall’art. 4 ter , comma 1, lett. c, del decreto legge n. 193 del 2016, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 225 del 2016, non hanno inciso in merito alla formulazione di detta norma riguardante l’interruzione del termine di prescrizione che è rimasta inalterata (Cass., 18 dicembre 2023, n. 35406, in motivazione; Cass. 12 novembre 2020, n. 25611).
2.5 Ciò posto, il diritto dell’Amministrazione ad ottenere la corresponsione delle accise sorge nel momento il credito sia maturato (ovvero quando è scaduto il termine entro il quale l’imposta deve essere versata) e il relativo pagamento sia stato omesso dal debitore, mentre, in caso di comportamenti omissivi, la prescrizione inizia a decorrere dal momento della scoperta dell’illecito (art. 15, comma primo, del decreto legislativo n. 504 del 1995, ratione temporis vigente , che recita: « 1. Il credito dell’amministrazione finanziaria per l’accisa si prescrive in cinque anni. In caso di comportamenti omissivi la prescrizione opera dal momento della scoperta del fatto illecito. 2. Per le deficienze eccedenti i cali consentiti
il quinquennio decorre dalla data del verbale di accertamento delle deficienze medesime ).
2.6 Come questa Corte ha già precisato « Per comportamento omissivo deve, piuttosto, intendersi una condotta illecita volta a celare la debenza dell’imposta – attraverso alterazioni documentali o contabili (ad. es. omesse o infedeli dichiarazioni, omesse fatturazioni) o altrodi non immediata e facile percezione da parte dell’Amministrazione finanziaria, tanto da dover essere “scoperta” (evidentemente all’esito di apposita indagine o, quantomeno, a seguito di successiva autodenuncia del contribuente) » (Cass., 16 ottobre 2020, n. 22597; Cass., 20 ottobre 2020, n. 22707) ed inoltre « La struttura della norma postula che i “comportamenti omissivi” non possano essere identificati con il fatto contestato. Questi, infatti, rilevano perché impeditivi della “scoperta del fatto illecito”, ossia, con riguardo alla fattispecie in giudizio, l’omesso versamento. In altri termini, l’omesso versamento integra la condotta sanzionata e, dunque, in quanto tale non può anche coincidere con il fatto che ha impedito di scoprire la condotta stessa » (Cass., 22 novembre 2021, n. 35903).
2.7 Ancora è stato evidenziato che « In tema di sanzioni sulle accise, i “comportamenti omissivi” – cui, ai sensi dell’art. 15 del d.lgs. n. 504 del 1995 (nel testo anteriore all’art. 4-ter , comma 1, lett. c, del d.l. n. 193 del 2016, conv. in l. n. 225 del 2016), è parametrata la decorrenza della prescrizione al momento della scoperta del fatto illecito – non consistono nel mancato versamento dell’imposta dovuta, bensì nel mancato compimento di una specifica attività, prevista per legge, tale da non consentire alla P.A. di procedere ai conseguenti controlli, solo in tal caso legittimandosi lo spostamento del “dies a quo” del termine prescrizionale » (Cass., 12 novembre 2019, n. 29204) e che per integrare la condotta omissiva prevista dall’art. 15, comma 1, del decreto legislativo n. 504 del 1995 per il differimento del dies a quo di decorrenza del termine prescrizionale alla data della scoperta
dell’illecito « deve farsi riferimento a violazioni di obblighi di condotta posti da uno specifico parametro normativo, quale quello del principio di collaborazione e buona fede che deve improntare i rapporti tra contribuente e fisco di cui all’art. 10, comma 1, della legge 27 luglio 2000, n. 212 » (Cass., 11 dicembre 2013, n. 27670). Anche di recente questa Corte ha affermato che in caso di comportamenti omissivi, stante il chiaro tenore letterale della disposizione normativa, « la prescrizione opera dal momento della scoperta del fatto illecito e che il verbo ‘opera’, riferito alla ‘prescrizione’, significa che la prescrizione decorre -‘recte’, inizia a decorrere ‘dalla scoperta del fatto illecito’, nel senso che siffatta ‘scoperta’ segna il ‘dies a quo’ del computo di un termine, fissato in cinque anni, che matura in avanti nel tempo » e che « è il dì della ‘scoperta del fatto illecito’ a segnare l’inizio della decorrenza del termine quinquennale di prescrizione, che, a sua volta (giusta il comma 3), soggiace ad interruzione in caso di esercizio dell’azione penale » (Cass., 15 gennaio 2024, n. 1497, in motivazione).
2.8 In applicazione dei principi richiamati deve ritenersi che, nella specie, il termine di prescrizione di cinque anni decorre dalla data della scoperta del fatto illecito, ovvero dalla data di avvio del procedimento penale avvenuto con assunzione della notizia di reato prot. n. 17956 del 23 aprile 2013 (cfr. pag. 3 del ricorso per cassazione), sicché rispetto alla data di notifica dell’avviso di pagamento oggetto di impugnazione del 27 novembre 2019, il diritto dell’Agenzia, insorto nel 2012, si è estinto per prescrizione, non rilevando, per quanto sopra precisato, che il procedimento penale, istaurato a seguito della proposizione della denuncia, fosse stato azionato solo ed esclusivamente nei confronti di COGNOME NOME nella qualità di legale rappresentante pro tempore della RAGIONE_SOCIALE.aRAGIONE_SOCIALE e datore di lavoro di COGNOME NOME (cfr. Cass., 12 novembre 2020, n. 25611 che ha statuito il principio di diritto secondo cui « In tema di recupero dell’accisa e prescrizione del relativo diritto all’imposta, realizzatosi
l’evento interruttivo di cui all’art. 15 TUA, ratione temporis applicabile, la decorrenza del termine di prescrizione è ricollegata, dallo stesso citato articolo ed in forza della ratio ad esso sottesa, alla circostanza, oggettiva, del passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio penale, a prescindere dal relativo esito, indipendentemente quindi dal soggetto al quale sia stato imputato il reato e dalla partecipazione al giudizio penale di tutti i debitori e coobbligati »), né l’Ente imposi tore ha dedotto l’esistenza di specifici atti interruttivi del predetto termine di prescrizione quinquennale.
3. Per le ragioni di cui sopra, il ricorso va rigettato e l’Agenzia ricorrente va condannata al pagamento delle spese processuali, sostenute dal controricorrente e liquidate come in dispositivo, nonché al pagamento dell’ulteriore importo, previsto per legge e pure indicato in dispositivo. 3.1 Non vi è luogo a pronuncia sul raddoppio del contributo unificato, perché il provvedimento con cui il giudice dell’impugnazione, nel respingere integralmente la stessa (ovvero nel dichiararla inammissibile o improcedibile), disponga, a carico della parte che l’abbia proposta, l’obbligo di versare, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto ai sensi del comma 1 bis del medesimo art. 13, non può aver luogo nei confronti delle Amministrazioni dello Stato, istituzionalmente esonerate, per valutazione normativa della loro qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo stesso, mediante il meccanismo della prenotazione a debito (Cass., Sez. U., 25 novembre 2013, n. 26280; Cass., 14 marzo 2014, n. 5955).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna l’Agenzia ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di
legittimità, che liquida in euro 7.600,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, in data 21 novembre 2024.