Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 1497 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 1497 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 15/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22474/2019 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l ‘ AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE, rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME (CODICE_FISCALE e NOME COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. della LOMBARDIA-MILANO n. 278/2019 depositata il 18/01/2019. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26/09/2023 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
RAGIONE_SOCIALE , esercente l’attività di commercializzazione di utensili e macchinari nei settori del riscaldamento e della climatizzazione, era sottoposta a verifica fiscale relativamente agli acquisti intra ed extraunionali di prodotti energetici da parte dell’Agenzia delle Dogane dei Monopoli su segnalazione dell’Ufficio antifrode della Direzione Regionale della Lombardia, poiché era emerso che negli ultimi cinque anni essa aveva effettuato consistenti acquisti intracomunitari di prodotti sottoposti ad accisa pur non rientrando nel sistema informativo AIDA.
I verificatori dell’Ufficio delle Dogane di Milano 2 rilevavano che la contribuente si era rifornita in via continuativa da Paesi dell’Unione europea, e non, di oli minerali lubrificanti e gpl in assenza di titoli autorizzativi, con conseguente configurabilità del reato previsto dall’art. 40, comma 1, lett. a), TUA.
Veniva dunque emesso avviso di pagamento n. 07/OM/2013 prot. 2013/A/16131 del 12/06/2013, contestuale atto di irrogazione delle sanzioni e successivo atto di contestazione per sanzioni non collegate al tributo.
La contribuente insorgeva innanzi alla CTP di Milano, eccependo tra l’altro la prescrizione quinquennale dell’azione di accertamento per le imposte non versate nei periodi dal 2004 al 2007.
La CTP, con sentenza n. 7377/21/16 depositata il 28/09/2016, accoglieva i ricorsi riuniti, sostenendo che ‘in relazione alla pretesa tributaria opera la decadenza quinquennale prevista dall’art. 15 del testo unico in materia di accise, D.Lgs. 26 ottobre 1995, n. 504’.
L’Ufficio proponeva appello in via principale. Resisteva la contribuente, proponendo a sua volta appello incidentale condizionato (in riferimento alla classificazione dei prodotti Ronol e Ronowal).
La CTR della Lombardia, con la sentenza in epigrafe, respingeva entrambi gli appelli.
In particolare, quanto all’appello principale, osservava quanto segue in motivazione:
Secondo le disposizioni dell’articolo , salvo che per i tabacchi il termine prescrizionale è di cinque – 5 anni.
Chiarita la questione della lunghezza del termine prescrizionale, resta da valutare se nel caso di specie il termine, che decorre ‘dal momento della scoperta del fatto illecito’ consenta di far valere il diritto ‘retroattivamente’
per un periodo superiore ai cinque anni. Orbene appare del tutto ovvio che così non può essere. Il punto di partenza è il momento della scoperta e da quel momento non possono che calcolarsi i cinque anni previsti per la prescrizione del diritto a far valere le pretese impositive. La norma è chiara, tenuto conto anche della eccezione specifica per i tabacchi che fuga ogni possibile ulteriore dubbio (a che pro altrimenti il legislatore avrebbe posto due termini diversi?). Il momento della scoperta costituisce un termine limitativo del potere impositivo: è vero che è un diritto non conosciuto non può essere esercitato, ma è necessario che, comunque, vi siano sul punto dei termini precisi entro i quali lo stesso possa essere esercitato una volta conosciuto. La applicazione della prescrizione non è fatta retroattivamente, come suggerisce l’Agenzia, ma dal momento della scoperta del fatto partono i cinque anni per il futuro e si aprono i cinque anni del passato per poter procedere alla pretesa impositiva derivante dall’omissione. Se la pretesa non può essere esercitata oltre i cinque anni non si vede come l’Agenzia possa pretendere di esercitarla illimitatamente a ritroso posto che dal fatto omissivo non possono calcolarsi che i cinque anni, né la Agenzia può invocare il termine prescrizionale decennale poiché lo stesso è escluso dalla norma .
Propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate con tre motivi; resiste la contribuente con controricorso.
Considerato che:
Con il primo motivo si denuncia: violazione e falsa applicazione dell’art. 15 TUA in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.
Il caso di specie è sottoposto al secondo periodo del primo comma dell’art. 15 TUA ‘ratione temporis’ vigente. Vertendosi in materia di mancato adempimento degli obblighi fiscali da parte della contribuente, la prescrizione opera dal momento della verifica delle violazioni compiute, avendo perciò come termine ‘a quo’ il 29/05/2012.
Con il secondo motivo si denuncia: nullità della sentenza per contraddittorietà della motivazione in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ.
La CTR, quando afferma che il termine ‘a quo’ decorre dal momento della scoperta del fatto omissivo, aderisce alla tesi dell’A.F., ragion per cui non si comprende perché confermi la pronuncia di primo grado, che invece afferma senza dubbio l’inesistenza di comportamenti omissivi, laddove testualmente scrive che non si può ‘invocare, nel caso di specie, alcun comportamento omissivo da parte della ricorrente’.
Con il terzo motivo si denuncia: nullità della sentenza per vizio di omessa pronuncia in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ.
La CTR conferma la sentenza della CTP ‘in toto’, non dedicando alcuna menzione agli atti sanzionatori. Facendo ciò, essa è incorsa nel vizio denunciato. L’omissione della CTR ‘lascia perplessi, considerato poi che se uno dei due atti sanzionatori è collegato al tributo , l’altro attiene a violazioni non collegate al tributo (quali la mancanza di apposita licenza come acquirente comunitario , nonché la mancata presentazione di dichiarazioni di immissione in consumo), colpendo condotte che appaiono essersi verificate indubitabilmente ed indipendentemente da questo . La pronuncia sulla prescrizione della pretesa erariale non è idonea a costituire rigetto implicito in relazione alla legittimità dell’atto di erogazione delle sanzioni, indipendente dalla pretesa stessa’.
Preliminarmente deve rilevarsi come i motivi si sottraggano all’eccezione di inammissibilità formulata in controricorso, poiché contengono puntuali riferimenti agli atti del procedimento ed agli atti di causa, con specifica individuazione, in definitiva, degli atti su cui fondano, richiamati, in assolvimento degli oneri di precisione ed autosufficienza, nei contenuti essenziali alla luce delle ragioni di doglianza, a loro volta impingenti su questioni esclusivamente giuridiche, senza affatto richiedere alcuna riedizione del giudizio di merito, tanto più in quanto la ‘ratio decidendi’ della sentenza
impugnata si concentra essenzialmente in diritto sui limiti del termine prescrizionale.
Tanto premesso, infondato è il secondo motivo, che assume priorità logica.
La sentenza impugnata esibisce una motivazione effettiva e alla stregua del punto di vista assunto dalla CTR, a prescindere dalla (non) condivisibilità in diritto (come si dirà a proposito degli altri due motivi) delle tesi esposte – lineare e coerente. In effetti, il pensiero della CTR emerge in maniera nient’affatto contraddittoria laddove la medesima esplicita la ‘regula iuris’ cui si è attenuta nella decisione, sostenendo che ‘dal momento della scoperta del fatto partono i cinque anni per il futuro e si aprono i cinque anni del passato’: talché – secondo la CTR – il momento della scoperta del fatto individua il ‘dies a quo’ per un duplice calcolo, non solo ‘verso il futuro’, ma anche ‘verso il passato’. Siffatta duplice operatività della prescrizione e le conseguenze che in concreto la CTR ne fa derivare, con esiti di conferma della sentenza di primo grado, di per se stesse riguardate, non solo illogiche, né inficiano di incomprensibilità i passaggi argomentativi ed in progressione le conclusioni su cui la CTR fonda la decisione.
Il primo ed il terzo motivo sono fondati.
La versione dell’art. 15, commi 1 e 3, TUA applicabile ‘ratione temporis’, vertendosi di provvedimenti emessi tra il 2012 ed il 2013 relativamente ad anni precedenti, è la seguente:
Il credito dell’amministrazione finanziaria per l’accisa si prescrive in cinque anni . In caso di comportamenti omissivi la prescrizione opera dal momento della scoperta del fatto illecito.
.
La prescrizione del credito d’imposta è interrotta quando viene esercitata l’azione penale: in questo caso il termine di prescrizione decorre dal passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio penale.
Nella vicenda oggetto di giudizio, in cui alla contribuente è contestato aver effettuato operazioni di acquisto di oli minerali lubrificanti e gpl in assenza di titoli autorizzativi, si versa nella fattispecie dei ‘comportamenti omissivi’ di cui alla seconda parte del comma 1 dell’art. 15 cit. Invero – come rilevato da Sez. 5, Ordinanza n. 29204 del 12/11/2019 (Rv. 655736 – 01) in un caso in cui la S.C. ha escluso che il pagamento di minore accisa in conseguenza di una dichiarazione esponente quantitativi di olii minerali minori rispetto a quelli stoccati integrasse un “comportamento omissivo” -i “comportamenti omissivi”, ai quali, ai sensi dell’art. 15 del d.lgs. n. 504 del 1995 (nel testo anteriore all’art. 4-ter, comma 1, lett. c, del d.l. n. 193 del 2016, conv. in l. n. 225 del 2016), è parametrata la decorrenza della prescrizione al momento della scoperta del fatto illecito, non consistono nel mancato versamento dell’imposta dovuta, bensì nel mancato
compimento di una specifica attività, prevista per legge, tale da non consentire alla P.A. di procedere ai conseguenti controlli, solo in tal caso legittimandosi lo spostamento del “dies a quo” del termine prescrizionale.
La totale assenza di autorizzazioni in capo alla contribuente, al pari della sua assenza nel sistema informativo AIDA, dimostra come essa, che nulla allega in contrario, abbia omesso di ottemperare a tutti gli obblighi di registrazione e, ‘a fortiori’, di dichiarazione, contemplati, ad evidenti fini di controllo da parte della Autorità, dalle norme in materia di accise, segnatamente sui prodotti energetici (cfr., in part., artt. 5, 7-bis, 8, 8-bis, 9, 9-bis, 21, 25, 61 e 62 TUA, nonché artt. 2 e 4 d.m. 17 settembre 1996, n. 557).
In caso di ‘comportamenti omissivi’, stante il chiaro tenore letterale della disposizione innanzi riprodotta, ‘la prescrizione opera dal momento della scoperta del fatto illecito’. Nella formula legislativa, il verbo ‘opera’, riferito alla ‘prescrizione’, significa che la prescrizione decorre – ‘recte’, inizia a decorrere -‘dalla scoperta del fatto illecito’, nel senso che siffatta ‘scoperta’ segna il ‘dies a quo’ del computo di un termine, fissato in cinque anni, che matura in avanti nel tempo, correlativamente allo scorrere di questo, e non già (anche) indietro, contro il verso della progressione temporale. Ne consegue che la sentenza impugnata è errata a misura che dal dì della ‘scoperta’ fa decorrere
simultaneamente due termini – uno, ordinario, di cinque anni, in avanti e però anche uno, eccezionale, di eguale durata, a ritroso finendo sia per sovvertire la definizione stessa di prescrizione, quale modo estintivo di un diritto per il fluire, e non per il regredire, del tempo, sia per raddoppiare un termine che la legge indica in cinque, e non in dieci, anni.
Fermo quanto precede, tuttavia, non v’è dubbio che la CTR, pur errando nel ragionamento e nelle conclusioni, abbia effettivamente colto un problema che affligge la previsione normativa in parola, sotto il profilo dell’indeterminatezza del ‘dies a quo’.
Al riguardo, nondimeno, vengono in linea di conto le considerazioni recentemente espresse dalla Corte costituzionale a proposito della sovrapponibile formulazione dell’art. 57, comma 3, secondo periodo, TUA, in tema di prescrizione dell’imposta sul consumo di energia elettrica. Invero, Corte cost., 26 ottobre 2021, n. 200, ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 57, comma 3, secondo periodo, TUA, censurato per violazione degli artt. 3 e 24 Cost., nella parte in cui non prevede una data certa di inizio della decorrenza del termine di prescrizione delle obbligazioni tributarie e delle sanzioni correlate al loro inadempimento nel caso di comportamenti omissivi del contribuente, rilevando in motivazione quanto segue:
3.1.- Occorre rammentare come questa Corte abbia già avuto modo di chiarire (sentenza n. 280 del 2005) e
successivamente ribadire (sentenza n. 11 del 2008 e ordinanza n. 178 del 2008) che l’art. 24 Cost. impedisce di lasciare il contribuente assoggettato all’azione del fisco per un tempo indeterminato.
Sebbene tale principio sia stato originariamente formulato con riferimento alla decadenza e all’azione esecutiva, la sua più ampia portata, estesa oltre i limiti dell’iniziale affermazione, trova conferma, sia in dottrina, sia nella giurisprudenza costituzionale.
Da essa si può infatti evincere come il diritto di difesa impedisca anche un’indeterminata o irragionevolmente ampia soggezione del contribuente all’azione accertativa del fisco (sentenze n. 247 del 2011 e n. 356 del 2008), ancorché condizionata dal mancato compimento di una specifica attività posta dalla legge a carico del contribuente medesimo.
Inoltre, questa Corte, a soddisfacimento dell’esigenza di certezza nei rapporti giuridici, ha avuto modo di avallare come costituzionalmente orientata l’interpretazione volta a porre un termine prescrizionale determinato all’esercizio dell’azione di recupero dei tributi doganali (sentenza n. 247 del 2011) e di considerare essenziale la previsione di un preciso limite temporale per l’esercizio del potere sanzionatorio dell’amministrazione, in chiave di tutela
dell’interesse soggettivo alla definizione della propria situazione giuridica (sentenza n. 151 del 2021).
Tanto considerato, la norma censurata, identificando nella scoperta dell’illecito il termine di decorrenza della prescrizione del credito tributario – e della decadenza dalla pretesa sanzionatoria, per effetto del rinvio operato dall’art. 20, comma 1, del d.lgs. n. 472 del 1997 – non individua in maniera certa il dies a quo di inizio del computo, così esponendo a tempo indeterminato il contribuente alle pretese del fisco, potenzialmente avanzabili anche a distanza di decenni dall’insorgenza dell’obbligo rimasto inadempiuto, in violazione dell’art. 24 Cost. Ad aggravare il pregiudizio del diritto di difesa, quantomeno con riferimento al credito dell’imposta, concorrono l’esclusiva previsione di un termine di prescrizione -suscettibile, a differenza di quello di decadenza, di interruzione e, quindi, eventuale fonte di ulteriore indeterminatezza -nonché la circostanza che l’obbligo di conservazione documentale, funzionale a contraddire le pretese del fisco, sia previsto per un tempo molto più breve (artt. 2220 del codice civile e 8, comma 5, della legge 27 luglio 2000, n. 212, recante «Disposizioni in materia di statuto del contribuente», nonché, attualmente, art. 15, comma 6, t.u. accise).
Ritenuta la necessità che il contribuente non sia assoggettato al potere del fisco per un tempo indeterminato principio a cui rispondono i tertia comparationis evocati dalla Corte rimettente, ossia l’art. 57, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 (Istituzione e disciplina dell’imposta sul valore aggiunto), l’art. 43, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), l’art. 76, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131 (Approvazione del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro), nonché l’art. 15 (Recupero dell’accisa e prescrizione del diritto all’imposta) t.u. accise, come da ultimo sostituito dall’art. 4-ter, comma 1, lettera c), del decreto-legge 22 ottobre 2016, n. 193 (Disposizioni urgenti in materia fiscale e per il finanziamento di esigenze indifferibili), convertito, con modificazioni, nella legge 1° dicembre 2016, n. 225 – la disciplina recata dalla disposizione censurata produce, sotto il profilo difensivo, un irragionevole effetto discriminatorio per il contribuente tenuto all’imposta di consumo (ora accisa) sull’energia elettrica.
3.2.- Se è dunque palese l’inadeguatezza del regime tuttora dettato dall’art. 57, comma 3, secondo periodo, t.u. accise, segnatamente rispetto alle esigenze poste dall’art. 24
Cost., quali in precedenza evidenziate, deve, tuttavia, rilevarsi come a essa non possa porre rimedio questa Corte. È, infatti, rimesso alla valutazione discrezionale del legislatore, anche in forza del principio della polisistematicità dell’ordinamento tributario, il ragionevole adattamento ai vari tributi di istituti comuni, quali la prescrizione e la decadenza della pretesa fiscale (n. 375 del 2002; nello stesso senso, sentenza n. 201 del 2020), combinandole e modulandole in relazione agli specifici interessi di volta in volta coinvolti.
4.Nel dichiarare l’inammissibilità delle questioni in esame – «in ragione del doveroso rispetto della prioritaria valutazione del legislatore in ordine alla individuazione dei mezzi più idonei al conseguimento di un fine costituzionalmente necessario» (ex plurimis, sentenza n. 151 del 2021) – questa Corte non può, tuttavia, esimersi dal sottolineare che quanto evidenziato in ordine al diritto di difesa rende ineludibile un tempestivo intervento legislativo volto a porvi rimedio.
Le ragioni dell’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 57, comma 3, secondo periodo, TUA – che sosterrebbero una declaratoria di inammissibilità di analoga questione sollevata in riferimento all’art. 15, comma 1, secondo periodo, TUA, nella versione ‘ratione temporis’ vigente, rendono conto della fondatezza del primo motivo di ricorso: in assenza, ad
oggi, di interventi correttivi del legislatore, nonostante il monito lanciato dalla Corte costituzionale, è il dì della ‘scoperta del fatto illecito’ a segnare l’inizio della decorrenza del termine quinquennale di prescrizione, che, a sua volta (giusta il comma 3), soggiace ad interruzione in caso di esercizio dell’azione penale.
Fondato, infine, come anticipavasi, è il terzo motivo di ricorso: le pretese rassegnate nel secondo atto di irrogazione delle sanzioni (quello non contestuale all’avviso) giammai avrebbero potuto essere dalla CTR annullate, non essendo le relative sanzioni – alla stregua di un’allegazione contenuta in ricorso che non ha sortito contestazioni in controricorso -collegate ai tributi, con la conseguenza che l’annullamento (pur illegittimo) di questi non avrebbe potuto riverberare effetti sulle medesime.
In definitiva, in accoglimento del primo e del terzo motivo, la sentenza impugnata va annullata e cassata con rinvio, affinché il nuovo giudice, attenendosi ai principi sopra illustrati, individui il momento della scoperta del fatto illecito e da esso calcoli il termine quinquennale di prescrizione mediante scorrimento in avanti nel tempo, per l’effetto determinando le pretese impositive e le sanzioni strettamente connesse (siccome volte a punire l’omesso versamento in sé dei tributi) eventualmente estinte.
All’esito detto giudice avrà altresì a definitivamente regolare tra le parti le spese di lite, comprese quelle del presente grado di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il primo ed il terzo motivo di ricorso, rigettato il secondo.
In relazione ai motivi accolti, annulla e cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia per nuovo esame e per le spese.
Così deciso a Roma, lì 26 settembre 2023.