Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 4626 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 4626 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: CORTESI NOME
Data pubblicazione: 21/02/2025
IRPEF ACCERTAMENTO
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 14485/2018 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentata e difesa, per procura speciale allegata alla comparsa di costituzione di nuovo procuratore, dall’Avv. COGNOME elettivamente domiciliata presso il suo indirizzo di posta elettronica certificata
-ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE e ADERAGENZIA DELLE ENTRATE-RISCOSSIONE , in persona del direttore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avv ocatura Generale dello
Stato presso la quale è domiciliata in ROMA, INDIRIZZO
-controricorrenti – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 290/08/2018, depositata il 24 gennaio 2018; udita la relazione svolta dal consigliere dott. NOME COGNOME nella pubblica udienza del 5 febbraio 2025; sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott. NOME COGNOME il quale ha chiesto il rigetto del ricorso; NOME COGNOME per i ricorrenti e l’Avvocato
sentiti l’Avv ocato dello Stato NOME COGNOME per la controricorrente.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione avverso la pronunzia in epigrafe, con la quale, per quanto in questa sede ancora di interesse, è stata confermata la decisione resa dalla Commissione tributaria provinciale di Milano in contenzioso radicato dalla stessa ricorrente avverso la comunicazione di presa in carico n. NUMERO_CARTA
Detta comunicazione aveva ad oggetto le somme iscritte a ruolo dall’Agenzia delle Entrate in dipendenza di un avviso di accertamento; con tale ultimo era stato ripreso a tassazione un maggior imponibile della contribuente per imputazione di maggiori redditi d’impresa accertati in via induttiva a carico dell ‘estint a società RAGIONE_SOCIALE, della quale la predetta era socia.
I giudici d’appello, premesso il rilievo in base al quale il contribuente può impugnare la comunicazione di presa in carico laddove assuma di non essere a conoscenza dell’atto impositivo o esattivo ad essa sotteso, hanno rilevato che nel caso di specie la
COGNOME era pienamente a conoscenza della pretesa erariale, avendo impugnato l’avviso di accertamento sottostante.
Hanno osservato, inoltre, che in pendenza del giudizio di impugnazione sull’avviso di accertamento, quest’ultimo era stato sospeso ai sensi dell’art. 52 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ma la sentenza d’appello, nel rigettare tale impugnazione, aveva «implicitamente annullato» la sospensione.
Il ricorso si articola in cinque motivi.
Le intimate Agenzia delle Entrate e ADER- Agenzia delle Entrate Riscossione hanno depositato un unico controricorso.
La ricorrente ha depositato memoria in prossimità dell’udienza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione degli artt. 52 e 62bis del d.lgs. n. 546/1992.
Assume, al riguardo, che la comunicazione di presa in carico le era stata notificata quando l’atto impositivo ad ess a sotteso era stato sospeso in pendenza del giudizio di impugnazione pendente davanti alla C.T.P. di Milano, dal che la sussistenza di un suo interesse a impugnare detta comunicazione; la decisione della C.T.R. sarebbe dunque errata nella parte in cui ha ritenuto che la sentenza di merito poi intervenuta avesse «implicitamente annullato» la sospensione vigente, peraltro successivamente conferm ata in pendenza del ricorso per cassazione sull’avviso di accertamento.
Con il secondo motivo la ricorrente denunzia la «nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 23, 94 e 53 Cost. , della l. n. 448 del 2001 e dell’art. 19 d.lgs. n. 546/1992», ribadendo l’impugnabilità della comunicazione di
presa in carico a fronte delle contrarie deduzioni svolte nel giudizio d’appello dall’Agenzia delle Entrate .
Con il terzo motivo, deducendo «nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1-11 D.M. 55/2014», la ricorrente lamenta uno «squilibrio nella liquidazione delle spese di giudizio» all’esito del primo grado di contenzioso, quantif icate «in misura di gran lunga superiore a quanto prevede la tariffa», assumendo che, sul punto, i giudici d’appello avrebbero omesso di pronunziarsi «pur riportando detta doglianza nella premessa».
Il quarto mezzo denunzia «nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1 c. 2 del d.lgs. n. 546/1992 e dell’art. 118, comma 1, disp. att. cod. proc. civ.».
La sentenza d’appello è criticata nella parte in cui non ha esplicitato «le ragioni per le quali non ha inteso conformarsi agli orientamenti consolidati del Supremo Collegio sulle eccezioni puntualmente sollevate dal ricorrente, chissà magari inaugurando un nuovo filone giurisprudenziale».
Infine, con il quinto mezzo è dedotta la «nullità della sentenza impugnata per l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio».
La ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui, ricostruendo la vicenda in fatto, ha dato atto dell’avvenuto deposito, da parte sua, dell’ordinanza di sospensione e della successiva sentenza emesse nel giudizio concernente la società RAGIONE_SOCIALE e i due soci della stessa, affermando che si trattava di provvedimenti «che nulla hanno a che vedere con quanto oggetto di causa»; assume, infatti, che il corretto inquadramento di tali documenti avrebbe «portato a un esito diverso della controversia».
6. Occorre preliminarmente dar conto del fatto che, nella memoria depositata in prossimità dell’udienza, la ricorrente ha chiesto a questa Corte di rilevare che «i principali capisaldi del ricorso rimangono acquisiti in base al principio di non contestazione», in quanto l’Agenzia controricorrente non li avrebbe espressamente confutati; la stessa ricorrente, in ogni caso, ha sostenuto che «sui medesimi temi si sono già formati i giudicati per i ricorsi-fotocopia in risposta ad altrettanti accertamenti-fotoco pia concernenti l’annualità precedente».
Entrambi gli assunti sono immeritevoli di àdito.
Quanto, infatti, all’affermata «non contestazione» dei motivi di ricorso, è appena il caso di osservare che, al contrario, l’Amministrazione ne ha dedotto l’inammissibilità o l’infondatezza sotto distinti e specifici profili.
Quanto, poi, all’affermata sussistenza di un giudicato esterno, formatosi in seguito al rigetto della pretesa erariale concernente l’anno di imposta 2008, l’assunto della contribuente non è munito di un sufficiente grado di specificità.
Questa Corte, infatti, ha affermato in più occasioni (v. ad es. Cass. n. 36741/2022; Cass. n. 19199/2022; Cass. n. 9710/2018; Cass. n. 21395/2017) che in questi casi l’ efficacia esterna del giudicato richiede che l ‘ accertamento compiuto nel giudizio definito con decisione irrevocabile abbia ad oggetto elementi costitutivi della fattispecie, i quali, estendendosi ad una pluralità di periodi di imposta, assumano carattere «tendenzialmente permanente»; esso, per contro, non può avere alcuna efficacia vincolante laddove l’ accertamento relativo ai diversi anni di imposta si fondi su presupposti di fatto potenzialmente mutevoli.
Ed invero, la ricorrente non ha fornito elementi significativi della sussistenza di tale indefettibile presupposto per l’invocata
operatività del giudicato esterno; essa, infatti, si è limitata a invocare l’esistenza di « giudicati già formati per i ricorsi-fotocopia in risposta ad altrettanti accertamenti-fotocopia riguardanti l’annualità precedente (2008), che spiegano i propri effetti anche in quella successiva (2009 oggetto del contendere)», senza con ciò fornire alcuna indicazione circa la tipologia di accertamento compiuta nel giudizio definito.
Ciò posto, e passando allo scrutinio del ricorso, il primo motivo è infondato.
Il Collegio intende, infatti, dare continuità alla giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale la comunicazione di presa in carico non è atto autonomamente impugnabile.
In particolare -richiamando, a tal fine, l’articolata ed esaustiva motivazione di Cass. n. 21254/2023 -occorre in questa sede ribadire:
che l’elenc azione degli atti impugnabili, contenuta ne ll’art. 19, primo comma, del d.lgs. n. 546/1992, non deve intendersi tassativa quanto al novero dei provvedimenti nominativamente individuati, bensì all’indicazione delle relative categorie in relazione agli effetti giuridici che producono;
che l ‘avviso di presa in carico è un atto con cui il concessionario della riscossione comunica al contribuente di aver ricevuto in carico le somme dell’accertamento ormai definitivo, emesso dall’Agenzia delle Entrate, che si limita ad informare il contribuente che la competenza amministrativa è passata dall’Ufficio preposto all’accertamento del maggior reddito a quello preposto ad ottenere il pagamento del debito ormai accertato;
-che si tratta, pertanto, di atto privo di valenza provvedimentale, in quanto sprovvisto di forza cogente e idonea
a modificare unilateralmente la situazione giuridica del destinatario;
-che a nulla rileva l’argomento, pure correttamente fatto proprio dai giudici d’appello, secondo cui tale avviso diventa impugnabile quando costituisce la prima notizia di un debito tributario, del quale è stata omessa la notifica dell’accertamento , poiché in tale prospettiva la legittimazione ad impugnare non deriva dall’atto in sé, ma dalla lesività insita nell’atto presupposto (ed ignorato), che solo in tale occasione si palesa;
che, pertanto, il contribuente destinatario di tale atto non è assistito da alcun interesse attuale alla sua impugnazione.
Da tale, complessiva impostazione non si è discostata la sentenza impugnata che, sul punto, merita dunque conferma, a nulla rilevando, in particolare, il fatto che la contribuente abbia ricevuto la comunicazione di presa in carico durante la sospensione de ll’atto impositivo ad essa sotteso.
In tale statuizione resta assorbito l’esame del quinto motivo di ricorso.
8. Il secondo e il quarto motivo sono inammissibili perché non rivolgono alcuna censura alla sentenza impugnata, né indicano i punti della stessa sottoposti a critica perché interessati dai profili di illegittimità dedotti.
Essi, pertanto, risultano redatti in modi difforme dal canone di specificità fissato a presidio dell’ammissibilità del ricorso (cfr. Cass. n. 17224/2020; Cass. n. 11603/2018; Cass. n. 19959/2014)
Il terzo motivo è, del pari, inammissibile per come formulato.
La ricorrente, infatti, si duole della mancata statuizione, da parte dei giudici regionali, sulla sua richiesta di riliquidazione delle
spese di lite del primo grado; essa, tuttavia, non indica dove, nel proprio atto di appello, sarebbe stato formulato il relativo motivo, il cui scrutinio assume essere stato trascurato.
Né, a tale fine, soccorre il fatto che la sentenza appellata riporti un breve stralcio delle sue deduzioni nella parte in fatto, poiché quanto riportato (« si spera che l’importo liquidato sia altrettanto generoso di quello riconosciuto alle controparti nel primo grado ») non assume certamente la veste di specifico motivo di gravame.
Il ricorso è dunque complessivamente meritevole di rigetto.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in € 3.500,00 oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di