Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 33418 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 33418 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 19/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1728/2016 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOMECODICE_FISCALE
-ricorrente-
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-resistente- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. della LIGURIA-GENOVA n. 1240/2014 depositata il 05/12/2014.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
In punto di fatto, dalla sentenza in epigrafe si evince quanto segue:
Il contribuente RAGIONE_SOCIALE ricorreva avverso avvisi di accertamento con il quale l’Agenzia delle Entrate – Ufficio di Genova 1 – rettificava la dichiarazione annuale IVA per gli anni 2003, 2004, 2005 disconoscendo il diritto alla detrazione IVA relativamente alle fatture passive ricevute dalla società RAGIONE_SOCIALE operante come RAGIONE_SOCIALE nel campo della pubblicità, che riceveva dalle società concessionarie di spazi pubblicitari, tra le quali la RAGIONE_SOCIALE, dei “premi impegnativa”.
La Commissione di prima istanza con decisioni 110/5/10, 11/5/10,112/5/10 accoglieva i ricorsi, spese compensate.
Su appello dell’Ufficio, previa riunione delle cause, la CTR della Liguria, con la sentenza in epigrafe, così decideva:
In riforma delle sentenze appellate conferma gli accertamenti e condanna OPE alle spese di giudizio del grado in € 800,00.
2.1. Così motivava:
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 17021 del 25 luglio 2014 (cfr. anche Cass. n. 215 del 10 ottobre 2002) ha affermato la non sussistenza del diritto alla detrazione Iva qualora lo scambio di servizi a titolo oneroso non sia regolamentato all’interno di un contratto fra aziende. L’assenza del vincolo sinallagmatico tra il versamento di tale somma e l’obbligo della controparte di effettuare una determinata prestazione, determina la non assoggettabilità al tributo. Secondo la Corte “non costituisce prestazione di servizio soggetta ad Iva l’attività svolta da un soggetto a vantaggio di un altro autonomamente e senza obbligo nei confronti di quest’ultimo”.
Chi chiede il diritto a detrarre l’imposta, ha l’onere di dimostrare quale sia la prestazione a fronte della quale il corrispettivo è stato pagato poiché l’art. 19 del Dpr 633/72, limita il diritto alla detrazione agli acquisti di beni e servizi inerenti l’attività dell’impresa, dell’arte e della professione.
La disciplina degli sconti e abbuoni trova fondamento nel co. 2 dell’art. 26 Dpr 633/72 che prevede che, se un’operazione per la quale è stata emessa fattura, successivamente alla registrazione, venga totalmente o parzialmente meno se ne riduce l’imponibile in conseguenza di abbuoni o sconti previsti contrattualmente. Per attivare questa procedura di variazione è indispensabile che l’applicazione di sconti sia prevista nel contratto e non deve trattarsi di ”premio o bonus” il quale non dà diritto a detrazione (cfr. anche Cassazione n. 5006 del 5 marzo 2007).
In definitiva se i premi in denaro, elargiti anche sotto forma di sconti e contributi, vengono corrisposti a fronte di un rapporto con natura sinallagmatica, i premi si configurano come il corrispettivo di autonome prestazioni di servizi che assoggettate ad Iva. Se invece si configurano come mere erogazioni di denaro per il perseguimento di obiettivi di carattere generale, queste rappresentano operazioni da considerarsi fuori campo di applicazione Iva ai sensi del c. 3 lettera a) art. 2 del Dpr 633/72.
Nella fattispecie non si rinvengono elementi certi, che era onere della parte fornire, che permettano di affermare che oggetto della pattuizione fossero degli sconti e non premi in denaro – così come indicato nelle fatture con la dicitura ”premi impegnativa” – che non danno diritto alla detrazione.
In mancanza di prova sulla natura dei rapporti fra una concessionaria di pubblicità e il suo intermediario e sulle relative pattuizioni contrattuali, il compenso erogato per
“premi impegnativa” sulle vendite di spazi della concessionaria di pubblicità, non può qualificarsi corrispettivo per la prestazione di un servizio di mediazione, e le relative fatture esulano dal campo Iva, e sono pertanto indetraibili.
La contribuente propone ricorso per cassazione con due motivi; l’Agenzia delle entrate si costituisce ai soli fini dell’eventuale partecipazione all’udienza. La contribuente deposita – una prima volta il 28 novembre ed una seconda il 3 dicembre 2024 – breve memoria telematica, mediante la quale insiste per l’accoglimento del ricorso e la liquidazione delle spese in favore dell’unico difensore superstite (Avv. NOME COGNOME dichiaratosi antistatario.
Considerato che:
Primo motivo: ‘ Violazione o falsa applicazione degli artt. 2, comma 3, lett. a); 3, comma 1: e 19, comma 1, del d.p.r. n. 633/1972. Denunzia a sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 3 c.p.c. richiamato dall’art. 62, 1° comma, d.lgs. n. 546/1992’.
1.1. ‘ L’art. 2, comma 3, del d.p.r. n. 633/1972 stabilisce, alla lett. a), che non sono considerate cessioni di beni le ‘le cessioni che hanno per oggetto denaro o crediti in denaro’, ma la disposizione riguarda appunto le sole ‘mere erogazioni fatte al di fuori di operazioni commerciali ‘inter partes’, comportanti uno scambio di prestazioni, come nel caso, dove ad un’attività di intermediazione e di procacciamento di clientela per la negoziazione di spazi pubblicitari corrisponde il pagamento dalla parte che se ne avvantaggia di un corrispettivo ‘. ‘L’art. 19 del d.p.r. n. 633/1972, al comma 1, postula l’inquadramento della cessione o del servizio nell’ambito dello svolgimento di un’attività d’impresa, ma non richiede affatto la specifica individuazione di una fonte contrattuale, né, tanto meno, la stipula di un contratto scritto tra i soggetti coinvolti nell’operazione economica realmente svoltasi informalmente secondo la logica e la prassi del mercato’. Dalle sentenze della Corte di giustizia dell’Unione europea ‘emerge, con
netta chiarezza, che quello che occorre, e che è sufficiente, ai fini dell’assoggettabilità all’Iva è l’esistenza di un nesso di correlazione fra prestazione (intermediazione) e controprestazione (pagamento del corrispettivo). In queste sentenze si parla di ‘onerosità’, ma non in senso assoluto ‘. ‘Sempre dall’esame della giurisprudenza dell’Unione, risulta, inoltre, specificamente, che la sussistenza o la non sussistenza del nesso di connessione tra prestazione e controprestazione deve essere valutata (anche) in funzione strumentale del risultato che si ottenga attraverso la dichiarazione di rilevanza o di irrilevanza dell’operazione posta in essere’.
Secondo motivo: ‘Violazione o falsa applicazione dell’art. 26, comma 2, del d.p.r. n. 633/1972. Denunzia a sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. richiamato dall’art 62, 1° comma, d.lgs. n. 546/1992’.
2.1. ‘Nella specie non si tratta in nessun modo di abbuoni o sconti. Le fatture emesse da RAGIONE_SOCIALE nei confronti di RAGIONE_SOCIALE non rappresentano abbuoni, sconti o riduzioni di corrispettivi qualsivoglia. Al contrario, rappresentano i corrispettivi pretesi da RAGIONE_SOCIALE come da fatture emesse nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, e da questa pagati ad RAGIONE_SOCIALE in ragione dei servizi di procacciamento di clientela e degli affari realizzati grazie all’intermediazione da essa svolta come ‘centro media”.
Entrambi i motivi, congiuntamente scrutinabili per evidente comunanza di censure, sono infondati e devono essere disattesi.
3.1. A partire dal fondamentale insegnamento secondo cui,
ai fini della assoggettabilità ad IVA di una prestazione di servizi, e del conseguente diritto alla detrazione dell’imposta assolta, l’onerosità dell’operazione è riconoscibile solo quando tra l’autore della prestazione ed il suo destinatario intercorra un rapporto giuridico di scambio di adempimenti sinallagmatici, per cui il compenso ricevuto dal primo
costituisce il controvalore effettivo del servizio prestato al secondo, con la specificazione che il fatto generatore dell’IVA va identificato nella materiale esecuzione di una prestazione ‘individualizzabile’, tale, cioè, da costituire condizione di esigibilità del corrispettivo (così Cass. n. 14406/2017, la quale ha escluso l’assoggettabilità ad IVA dell’ipotesi dei cd. ‘premi impegnativa’, per mancanza di un legame diretto ed immediato tra prestazione e corrispettivo, conseguentemente escludendo il diritto del destinatario della prestazione alla detrazione dell’IVA, possibile solo quando l’imposta assolta sia dovuta) ,
la giurisprudenza di questa S.C. insegna che
i “premi impegnativa” non sono assoggettabili ad IVA ove manchi un legame diretto e immediato tra prestazione e corrispettivo, sicché, mancando il requisito della corrispettività di cui all’art. 3 del d.P.R. n. 633 del 1972, il destinatario della prestazione non ha diritto alla detrazione dell’Iva, la quale è ipotizzabile soltanto quando l’imposta assolta sia dovuta (Cass. n. 25257/2020).
Invero,
ai sensi dell’art. 3, comma 1, del d.P.R. n. 633 del 1972, l’imponibilità delle prestazioni di sevizi presuppone la configurabilità di un rapporto giuridico da cui scaturiscano attribuzioni patrimoniali e la reciprocità delle stesse, in ragione della sussistenza di un nesso diretto tra il servizio fornito al destinatario ed il compenso da costui ricevuto (Cass. n. 5721/2018, la quale, in applicazione del principio, ha annullato la decisione impugnata, escludendo l’imponibilità dei cd. ”premi impegnativa”, stante l’assenza di una correlata obbligazione sinallagmatica a carico dell’altra parte, per la corresponsione degli stessi in virtù dell’importo complessivo annuo del fatturato dell’investimento pubblicitario).
Siffatti principi – appartenenti ai repertori massimati – sono costantemente ossequiati in giurisprudenza (cfr., a mero titolo d’esempio, Cass nn. 7103/2019, 7102/2019, 19832/2017, 19831/2017, 19557/2017).
Di essi la CTR ha fatto puntuale applicazione.
Ciò è a dirsi, in particolare, laddove essa osserva che, indicando le fatture la dicitura ”premi impegnativa”, la contribuente non ha fornito prova ‘che oggetto della pattuizione fossero degli sconti e non premi in denaro ‘: talché, rimaste indimostrate la ‘natura dei rapporti fra una concessionaria di pubblicità e il suo intermediario e relative pattuizioni contrattuali, il compenso erogato per ‘premi impegnativa’ non può qualificarsi corrispettivo per la prestazione di un servizio di mediazione, e le relative fatture esulano dal campo Iva, e sono pertanto indetraibili’.
Con siffatto accertamento in fatto compiuto dalla CTR, che, come visto, ne ha tratto le corrette conseguenze giuridiche conformemente alla giurisprudenza di legittimità, entrambi i motivi in definitiva omettono alcun confronto: ciò votando il ricordo al rigetto, con le ulteriori statuizioni come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente a rifondere all’Agenzia le spese di lite, liquidate in euro 5.900, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso stesso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso a Roma, lì 12 dicembre 2024.