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Prelevamenti soci: quando diventano reddito tassabile

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 15919/2024, ha stabilito che i prelevamenti soci, se ingiustificati e ripetuti, possono essere considerati reddito da lavoro autonomo occasionale e quindi soggetti a tassazione IRPEF. La sentenza chiarisce che l’onere di dimostrare la natura di finanziamento di tali prelievi spetta ai soci, i quali devono fornire prove concrete come la restituzione delle somme o il pagamento di interessi. In assenza di tali prove, l’Agenzia delle Entrate può legittimamente presumere la natura reddituale delle somme.

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Pubblicato il 26 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Prelevamenti Soci: quando il Fisco li considera reddito tassabile

La gestione della liquidità aziendale è un’attività quotidiana per ogni imprenditore. Una pratica comune, soprattutto nelle società di persone, è quella dei prelevamenti soci dal conto corrente della società. Ma cosa succede quando questi prelievi non sono adeguatamente giustificati? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 15919/2024) fa luce sui rischi fiscali, stabilendo che, in assenza di prove contrarie, tali somme possono essere riqualificate come reddito imponibile.

I Fatti del Caso

Due soci di una società in accomandita semplice (s.a.s.) avevano effettuato ripetuti e ingiustificati prelievi dal conto corrente aziendale durante l’anno 2008. L’Agenzia delle Entrate, notando queste operazioni, ha emesso due avvisi di accertamento, contestando un maggior reddito non dichiarato. Secondo il Fisco, le somme prelevate non erano state destinate all’attività d’impresa né erano state indicate come utili distribuiti. Di conseguenza, le ha qualificate come compensi per lavoro autonomo non abituale, sottoponendole a tassazione IRPEF.

I soci si sono difesi sostenendo che si trattasse di semplici finanziamenti, adducendo la natura finanziaria del conto da cui erano stati effettuati i prelievi. Tuttavia, non hanno fornito alcuna prova a sostegno di questa tesi, come un piano di rientro, il pagamento di interessi o la loro capacità economica di restituire le somme.

Le commissioni tributarie di primo e secondo grado hanno dato ragione all’Agenzia delle Entrate, sottolineando la totale assenza di prove da parte dei contribuenti. Il caso è quindi giunto dinanzi alla Corte di Cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso dei soci, confermando la legittimità dell’operato dell’amministrazione finanziaria. I giudici hanno ritenuto infondati i motivi di ricorso relativi all’onere della prova e alla violazione delle norme sull’accertamento. La decisione si basa su un meccanismo presuntivo che, partendo da fatti noti, giunge a provare un fatto ignoto: la percezione di un reddito non dichiarato.

Le Motivazioni: l’Importanza delle Prove nei Prelevamenti Soci

Il cuore della motivazione risiede nel principio dell’onere della prova. La Corte ha spiegato che l’Agenzia delle Entrate ha correttamente costruito un quadro probatorio basato su una serie di indizi gravi, precisi e concordanti:

1. I prelevamenti ripetuti dal conto societario.
2. Il mancato rientro delle somme nelle casse della società.
3. L’assenza di accredito di interessi, che avrebbe potuto avvalorare la tesi del finanziamento oneroso.
4. L’inesistenza di una disponibilità economica adeguata da parte dei soci per poter restituire quanto prelevato.

Di fronte a questo quadro indiziario, l’onere di fornire la prova contraria – ovvero di dimostrare che le somme avevano una natura diversa da quella di un compenso – gravava interamente sui soci. La semplice indicazione contabile di “prelevamento soci” è stata giudicata insufficiente, in quanto priva di qualsiasi supporto probatorio che ne attestasse la natura di finanziamento.

La Cassazione ha quindi concluso che l’amministrazione finanziaria ha legittimamente presunto che tali somme costituissero un reddito personale non dichiarato, derivante da un’attività di lavoro autonomo occasionale, e lo ha correttamente recuperato a tassazione.

Conclusioni

Questa ordinanza rappresenta un monito importante per tutti i soci di società di persone e di capitali a ristretta base proprietaria. La pratica dei prelevamenti soci deve essere gestita con la massima trasparenza e rigore documentale. Per evitare contestazioni fiscali, non è sufficiente una semplice registrazione contabile. È essenziale poter dimostrare, con prove concrete e oggettive, la natura di tali operazioni. In caso di finanziamento, è consigliabile redigere un contratto scritto che preveda chiare modalità di restituzione ed, eventualmente, la corresponsione di interessi. In caso contrario, il rischio che il Fisco riqualifichi tali somme come reddito imponibile, con le conseguenti sanzioni e interessi, è estremamente elevato.

I prelevamenti dei soci dal conto corrente della società sono sempre considerati reddito tassabile?
No, non sempre. Diventano tassabili quando mancano prove che li qualifichino diversamente, come un finanziamento. In assenza di evidenze come la restituzione delle somme, il pagamento di interessi o la capacità economica di rimborso, l’amministrazione finanziaria può legittimamente presumere che si tratti di compensi per lavoro autonomo non dichiarato.

Su chi ricade l’onere di provare la natura di un prelevamento dal conto societario?
L’onere della prova ricade sul contribuente, ovvero sul socio che ha effettuato il prelievo. Se l’Agenzia delle Entrate presenta un quadro di indizi gravi, precisi e concordanti che suggeriscono una natura reddituale, spetta al socio dimostrare, con prove concrete, che le somme prelevate avevano una finalità diversa, ad esempio quella di un prestito.

È sufficiente indicare in contabilità i prelievi come “prelevamento soci” per evitarne la tassazione?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che la generica denominazione contabile “prelevamento soci” è del tutto insufficiente a dimostrare la natura di prestito delle somme. Per superare la presunzione dell’amministrazione finanziaria, sono necessarie prove sostanziali e documentali.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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