Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 7968 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 7968 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 25/03/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 10605/2017 R.G. proposto da:
COGNOME , rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO, elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO, presso l’AVV_NOTAIO, il tutto come da procura a margine del ricorso in cassazione;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, e presso la stessa domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente –
Avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. della CAMPANIA, n. 9154/15/16, depositata il 17 ottobre 2016.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21 febbraio 2024 dal consigliere NOME COGNOME.
Dato atto che il Sostituto Procuratore Generale ha chiesto l’integrale rigetto del ricorso.
L’Avvocatura generale ha chiesto a sua volta il rigetto.
FATTI DI CAUSA
L’Agenzia delle Entrate accertava un maggior reddito in capo alla società RAGIONE_SOCIALE, e dunque imputato all’odierno ricorrente qual socio, in relazione alla rilevata ristretta base sociale che caratterizzava la società medesima, in proporzione alla quota posseduta (51 %).
Il contribuente proponeva così ricorso e la CTP, in un primo tempo, sospendeva il giudizio ai sensi dell’art. 295 cod. proc. civ. in attesa della definizione della causa relativa al ricorso proposto dalla società suddetta. A seguito della sentenza della CTR che definiva in secondo grado quel giudizio, il primo giudice decideva accogliendo parzialmente le doglianze, in particolare riducendo l’IVA.
Il contribuente proponeva allora appello, e la CTR adìta confermava la sentenza impugnata, pur sostituendone la motivazione. Il COGNOME propone così ricorso in cassazione, affidato a tre motivi. L’Agenzia si è costituita con controricorso per resistere all’impugnativa
A seguito della proposta formulata ai sensi dell’art. 380 -bis , cod. proc. civ., e successivamente alla memoria depositata dal ricorrente, con ordinanza interlocutoria 7 giugno 2018 la controversia era rimessa alla Sezione Quinta in relazione alla pendenza dei procedimenti Rg 5012/2013 e 21715/2013, inerenti peraltro ad altre annualità d’imposta. Tali procedimenti risultano comunque definiti con sentenza 23 ottobre 2019, n. 27097.
In relazione invece alla controversia inerente alla medesima annualità d’imposta, già rubricata sub NUMERO_DOCUMENTO, intercorrente con la società (RAGIONE_SOCIALE), di cui appunto l’odierno ricorrente è socio, rilevatane la pendenza, la presente controversia veniva rinviata a nuovo ruolo in relazione all’opportunità della trattazione congiunta.
Successivamente tale ultima controversia risulta essere stata definita con ordinanza depositata da questa Corte al n. 5299/2023.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il contribuente denuncia violazione dell’art. 295, cod. proc. civ., nonché dell’art. 1, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ.
Osserva il contribuente come sussista un rapporto di pregiudizialità giuridica fra la presente controversia e quella relativa alla società, censurando quindi l’operato dei giudici d’appello i quali, nonostante la pendenza di quella causa, avevano ugualmente deciso.
1.1. Come premesso, le controversie relative alle stesse parti richiamate dall’ordinanza interlocutoria sono state definite con sentenza di questa Corte, e riguardano in realtà precedenti annualità d’imposta. Quella, sempre concernente la società RAGIONE_SOCIALE, relativa però alla medesima annualità d’imposta (2006), rubricata al r.g. 12103/2015, risulta come premesso anch’essa definita con ordinanza n. 5299/2023.
Certamente va in primis escluso che la CTR abbia violato la norma processuale indicata dal contribuente.
Deve infatti ricordarsi come il prevalente orientamento della Corte sia nel senso che l’art. 295, cod. proc. civ., sia applicabile nelle sole ipotesi in cui la causa pregiudicante sia ancora pendente in primo grado. Diversamente, come accade nel caso di specie in cui la stessa risulta già definita in secondo grado, non vi è spazio per la sospensione necessaria del giudizio pregiudicato, ma semmai per l’applicazione della sospensione facoltativa prevista dall’art. 337, cod. proc. civ., che appunto regola l’ipotesi in cui il suddetto rapporto riguardi una causa ormai pendente in sede d’impugnazione
‘Qualora tra due giudizi esista un rapporto di pregiudizialità, la sospensione ex art. 295 c.p.c. della causa dipendente permane fintanto che la causa pregiudicante penda in primo grado, mentre, una volta che questa sia definita con sentenza non passata in giudicato, spetta al giudice della causa dipendente scegliere se
conformarsi alla predetta decisione, sciogliendo il vincolo necessario della sospensione, ove una parte del giudizio pregiudicato si attivi per riassumerlo, ovvero attendere la sua stabilizzazione con il passaggio in giudicato, mantenendo lo stato di sospensione (ovvero di quiescenza) attraverso però il ricorso all’esercizio del potere facoltativo di sospensione previsto dall’art. 337, comma 2, c.p.c., ovvero decidere in senso difforme quando, sulla base di una ragionevole valutazione prognostica, ritenga che tale sentenza possa essere riformata o cassata’ (Cass. 23/03/2022, n. 9470).
Tale affermazione deriva dal principio per cui ‘il diritto pronunciato dal giudice di primo grado, qualifica la posizione delle parti in modo diverso da quello dello stato originario della lite, giustificando sia l’esecuzione provvisoria, sia l’autorità della sentenza di primo grado’ (così Cass. Sez. U. 19/06/2012, n. 10027; Cass. 04/01/2019, n. 80)
Né una differente decisione poteva essere assunta dal giudice d’appello in virtù della specialità del processo tributario.
L’art. 39, comma 1 -bis, d.lgs n. 546/1992, introdotto dal d.lgs. 24 settembre 2015, n. 156, in vigore dal 1° gennaio 2016, riporta quasi letteralmente il testo dell’art. 295, cod. proc. civ., in precedenza applicabile direttamente in virtù del rinvio di cui all’art. 1, comma 2, d.lgs n. 546/1992.
L’unica rilevante differenza letterale consiste nel fatto che ivi si configura la necessarietà della sospensione da parte della commissione, ove penda una controversia davanti alla stessa od altra commissione, e ciò in ogni ‘altro’ caso, laddove l’aggettivo ‘altro’ allude al caso di cui al comma 1, dal che potrebbe dedursi che, a differenza dell’ipotesi di cui all’art. 295 cod. proc. civ., la disposizione aggiunta trovi applicazione anche nell’ipotesi in cui la controversia penda davanti alla commissione regionale, dunque a fronte di un giudizio già definito in primo grado.
Siffatta conclusione non convince, coincidendo il campo di applicazione dell’art. 295, cod. proc. civ., con quello di cui all’art. 39, comma 1bis, d.lgs. n. 546/1992, nonché alla luce del generale rinvio di cui al già citato art. 1, d.lgs. n. 546/1992, che comporta l’applicabilità anche al processo tributario quanto disposto dall’art. 337, cod. proc. civ.
In ogni caso, anche ove si accedesse a tale conclusione, l’ambito applicativo della norma non riguarderebbe la presente controversia, dal momento che pacificamente al momento della decisione d’appello, non vi era alcuna controversia che doveva essere decisa dalla stessa o altra commissione, visto che lo stesso ricorrente dà atto che quella concernente la società era allora ormai pendente davanti a questa Corte.
Anzi poiché al momento della proposizione del ricorso pendeva il giudizio, prospettato come pregiudicante, davanti a questa Corte, in applicazione del principio per cui non si può far luogo alla sospensione necessaria (e si deve ritenere neppure a quella facoltativa di cui all’art. 337, cod. proc. civ.), ove comunque sia possibile garantire il simultaneus processus, al più avrebbe potuto la parte proporre istanza di riunione.
Ciò tanto più che nella specie non poteva in ogni caso essere invocato un rapporto di pregiudizialità logico-giuridica, di guisa che l’efficacia di giudicato sulla causa assunta pregiudicante si riverberi su quella pregiudicata, con conseguente pericolo di contrasto di giudicati a scongiurare il quale viene posto il potere di sospensione necessaria preveduto dall’art. 295, cod. proc. civ., dal momento che manca nella specie il presupposto dell’identità soggettiva di parti, poiché il giudizio RG n. 12103/2015 risulta promosso dalla contribuente RAGIONE_SOCIALE, mentre il presente vede come unica parte privata NOME COGNOME.
E’ infatti evidente che nell’ipotesi in cui i redditi occulti di una società di capitali a ristretta base sociale siano considerati come
reddito del socio in proporzione alla sua partecipazione, siffatta circostanza, discendente da un costante e condivisibile orientamento di questa Corte, non costituisce una deroga al principio di necessaria coincidenza tra i soggetti dei giudizi tra loro in rapporto di pregiudizialità giuridica.
In tali ipotesi più precisamente l’accertamento tributario nei confronti di una società di capitali a base ristretta costituisce antecedente logico di quello nei confronti dei relativi soci, in virtù dell’unico atto amministrativo da cui entrambe le rettifiche promanano, senza necessità di litisconsorzio necessario, in ordine ai rapporti tra i rispettivi processi (Cass. 31/01/2011, n. 2214), instaurandosi fra gli stessi un rapporto di dipendenza, peraltro non qualificabile ai sensi dell’art. 295, cod. proc. civ.
Con il secondo motivo il contribuente denuncia violazione dell’art. 47, TUIR, dell’art. 39, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, nonché degli artt. 2697, 2727 e 2729, cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ.
Ritiene infatti il contribuente che, in pendenza del giudizio che deve accertare la sussistenza di maggiori redditi in capo alla società, l’accertamento di utili non riportati nelle scritture non potrebbe essere oggetto del presente giudizio, ma appunto di quello inerente alla società.
L’infondatezza del primo motivo determina l’assorbimento anche del secondo motivo.
Con il terzo motivo si denuncia violazione degli artt. 132, secondo comma, num. 4, cod. proc. civ., 36, d.lgs. n. 564/1992, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ.
La sentenza d’appello, infatti, a parere del contribuente, sarebbe nulla essendo la relativa motivazione meramente apparente, in quanto essa nulla direbbe in ordine agli utili accertati e di come siano stati gli stessi accertati e provati.
Il terzo motivo è infondato anch’esso, poiché la sentenza impugnata non è affetta da motivazione apparente, che si ha quando la sentenza ‘benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche, congetture’ ( ex plurimis Cass. 01/03/2022, n. 6758). Nella specie invece la sentenza giustifica la propria decisione indicando come l’atto di accertamento fosse basato su elementi che la stessa commissione riteneva inequivocabilmente ‘segno di evasione’, procedendo ad individuarli nell’esiguo numero di soci e nel carattere familiare della società, rispetto alla quale erano accertati utili non riportati nelle scritture contabili, ma affluiti nella disponibilità di soggetti specificamente individuati, sottolineando come a fronte di tali elementi fondanti la presunzione semplice operata dall’amministrazione, l’appellante nulla aveva dedotto o provato.
Il ricorso merita dunque rigetto, con aggravio di spese i capo alla contribuente soccombente.
Sussistono i presupposti processuali per dichiarare l’obbligo di versare, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della l. 24 dicembre 2012, n. 228, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato.
P.Q.M.
Respinge il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite che liquida in € 6.000,00, oltre alle spese prenotate a debito.
Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per dichiarare l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 21 febbraio 2024